Messa al Meeting di Rimini

Lasciamoci guidare dalla Parola di Dio. Non l’abbiamo scelta noi! Non è frutto dell’attenta e sapiente regia del Meeting, che desidero ringraziare, ad iniziare dal suo Presidente Bernard Scholtz, per il tanto lavoro fatto con entusiasmo – qualcuno avrebbe detto baldanza – che diventa incontri, relazioni, storie, presenze, avventure. Mattoni nuovi, insomma, che si confrontano con tanto deserto. È una gioia celebrare insieme oggi con il Vescovo di Rimini, Nicolò Anselmi, che ringraziamo di cuore per l’accoglienza così appassionata e personale, ma anche con alcuni Vescovi pastori di popolazioni segnate da tanta profonda, terribile e, purtroppo, tanto dimenticata sofferenza: Christian Carlassare, Vescovo di Bentiu, nel Sud Sudan; Pavlo Honcharuk, Vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia dei Latini; Hanna Jallouf, Vicario apostolico di Aleppo, in Siria. Ricordo anche gli altri: Filippo Santoro, di casa e a casa, Erik Varden, che ci unisce alla Chiesa della Scandinavia, e il Cardinale Jean-Paul Vesco, Arcivescovo metropolita di Algeri, che ci affida ancora la memoria dei martiri di Tiberine, che hanno voluto il loro martirio seme di fede, di riconciliazione e di dialogo. Vorrei salutare anche Davide Prosperi, Presidente della Fraternità, e ringraziarlo per il suo servizio alla comunione. Papa Leone XIV, che ringraziamo di cuore per la paternità, proprio parlando dei martiri dell’Algeria e della mostra che ce li fa vivere, vi ha scritto: «È questa via di presenza e di semplicità, di conoscenza e di “dialogo della vita” la vera strada della missione. Non un’auto-esibizione, nella contrapposizione delle identità, ma il dono di sé fino al martirio di chi adora giorno e notte, nella gioia e fra le tribolazioni, Gesù solo come Signore». Che gioia la Chiesa cattolica, che non ha altri confini che non la carità! E che gioia contemplare in questa Eucarestia la nostra comunione, che unisce cielo e terra, i tanti che non ci sono ma ci sono! La comunione è dono dello Spirito Santo da custodire, difendere, arricchire e richiede il mattone di ognuno, perché circolare: tutto è mio, tutto è nostro nella comunione. Papa Benedetto XVI disse con chiarezza e lungimiranza: «È proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne». Nessun lamento o condanna ma opportunità per scoprire e riscoprire la gioia di credere e quanto questa sia vitale. Aggiungeva, inoltre: «Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita». Implicita o negativa, ma sete di Dio. E Dio non è formalista, ma è un Padre che riconosce la richiesta dei figli, non aspetta altro che vederli tornare e risponde a questa. Altrimenti restiamo tutti come il fratello maggiore della parabola, infallibile e “giusto” nel condannare, che credeva di difendere la verità tradita dal padre e, invece, così offendeva l’uno e l’altra. E ancora Papa Benedetto XVI diceva: «E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra Promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada». Ecco perché siamo qui ed ecco la gioia di tanti mattoni che ci aiutano a scegliere di esserlo, ci ricordano che ognuno lo può essere e che non è mai inutile. C’è bisogno di mattoni e di costruire case dove riparare le relazioni, vivere l’amicizia che dà dignità e protezione a tutti.

C’è bisogno di aiutare il seminatore che continua a mettere un seme nella terra del nostro giardino, un seme sempre nuovo e sorprendente, che ci fa sentire oggi l’emozione di scoprirlo, contemplando i frutti che ha fatto crescere e scegliendo anche noi di gettarlo in tanti cuori che lo attendono. È come la visione del Profeta, il raduno di tutte le genti e di tutte le lingue, Pentecoste delle genti che vedono la Sua gloria, così umana e condivisa, nostra nella comunione. Questa è la correzione del Signore. Ci tratta da Padre. Noi lo trattiamo come Padre, siamo figli o lui è un estraneo, un direttore da temere? Perché ci difendiamo da chi ci ama? Dio non umilia, ma coinvolge nel Suo amore perché sa che solo questo rende piena la nostra vita e la corregge. Il mondo individualista ci asseconda, guarda e non dice nulla, lascia fare, anzi costringe a fare da soli, individualisti e senza comunità, e poi giudica e scarta chi non ce la fa! La correzione di Dio è il Suo amore, è speranza per ognuno di noi, che libera da ciò che fa male e che è motivo di scandalo, che ci unisce gli uni agli altri. Se saremo liberi dall’orgoglio che ci fa difendere e dall’idea distorta di perfezione e di adulto a cui non si può dire niente, cercheremo la correzione del Padre perché abbiamo bisogno del Suo giudizio per capire chi siamo e scegliere noi, in coscienza, il cammino dell’amore che ci unisce. Infine Gesù non si chiude in una città, facendo di questa un’oasi tranquilla, il Suo regno distinto o contrapposto al mondo.

Non resta a Nazareth, al sicuro tra i suoi: va per “città e villaggi”, si espone all’imprevedibilità della strada e degli incontri. Ma la salvezza è per pochi? È impegnativa ed esigente tanto che la ottengono solo alcuni puri e perfetti? Forse quell’uomo lo chiedeva perché aveva sbagliato, si era ritrovato lontano dal Signore e, quindi, temeva di essere escluso. Quelli incerti, attraversati da dubbi, che si scoprono contraddittori o che provano paura e incertezza, si salvano? Gesù non dà una risposta falsamente rassicurante, minimizzando i problemi per farci stare tranquilli. Non fornisce uno dei tanti narcotici per addormentare l’inquietudine senza trovare la risposta. Gesù aiuta quell’uomo, e tutti noi, a superare le difficoltà ricordando che la porta è stretta. Lui per primo passerà per la porta stretta di non salvare se stesso ma di amare fino alla fine. Nessuno è già dall’altra parte della porta: dipende da lui attraversarla.

Ma nessuno è anche così lontano o peccatore da essere escluso! Anzi, quelli più lontani, i peccatori, gli umili, la cercano e la attraversano! La porta è stretta per chi ha una valutazione alta di sé, per chi si è lasciato gonfiare dall’orgoglio, ha messo il cuore nei tesori di questo mondo, pensa tutto un diritto, scontato. Quante volte abbiamo cantato che la porta sarà chiusa per il ricco e per il forte, per tutti quelli che non hanno amato, per chi ha giocato con la morte, per gli uomini perbene, per chi cerca la sua gloria, per i grandi della storia! E guardate che ci vuole davvero poco per credere di esserlo, perché l’adulatore sa fare il suo mestiere e ci fa credere di star bene con il denaro o con il potere che deforma tanto chi ce l’ha a tal punto che si dimentica chi è lui e a cosa serve.

L’adulatore intiepidisce il cuore e spegne le passioni, rassicurando falsamente. È proprio vero: se non diventiamo come bambini non passiamo quella porta e ci teniamo la nostra grandezza e l’amore che non abbiamo voluto donare; se non vendiamo la nostra casa per acquistare il campo dove è nascosto il tesoro più prezioso di tutti, e che rende prezioso tutto, anche il non avere nulla, restiamo soli; se non abbiamo fame e sete di giustizia, se non affrontiamo la persecuzione, come i tanti martiri nostri contemporanei, se non gettiamo nella terra il seme della nostra vita, questa resta sola e inutile; se non piangiamo nella notte perché venga presto l’aurora della pace, o della consolazione per chi è nel pianto, non troveremo noi la gioia della pace e della consolazione. La porta è aperta per tutti quelli che sono diventati un mattone, che hanno amato come potevano e hanno donato la loro vita trovandola. E la tavola dell’amicizia che hanno vissuto sulla terra diventa quella del cielo, dove è il padrone stesso che si mette a servire, perché Lui per primo ci ama, ci vuole amati e amanti. Diventiamo, dunque, come bambini, perché lo Spirito rende nuovo ciò che è vecchio, come venne detto a Nicodemo.

Appare stretto il perdono, che ci costa più del rancore, dell’odio, della vendetta e della giustizia stessa. È stretta all’inizio la via dell’amore per chi è sempre contento quando riceve e triste quando deve dare. Ma è solo donando che troviamo gioia vera! L’unico limite alla misericordia di Dio siamo noi stessi. Costruiamo case di fraternità, dove l’amicizia sia reale, perché l’amicizia è via della pace, come ha ricordato Papa Leone XIV. Nel 1987 mons. Giussani diceva: «L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: “Zaccheo scendi subito, vengo a casa tua”.

Costruttori di fraternità, bene così prezioso e nel quale capiamo la pietra d’angolo che rende stabile con la sua parola la nostra casa. Se uno ha scoperto la verità reale, Cristo, avanza tranquillo in ogni tipo di incontro, sicuro di trovare in ognuno una parte di sé […]: si è trascinati da un totalizzante stupore del bello. È dalla bellezza che nascono continuamente immagini di possibilità insospettate per riparare le case distrutte e costruirne di nuove. Questa apertura fa trovare a casa propria presso chiunque conservi un brandello di verità, a proprio agio dovunque». Papa Leone XIV ha indicato alla Chiesa italiana di essere presente lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili, proprio perché ha detto: «Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono, dove si ascolta e ci si innamora di Gesù mettendo in pratica la Sua parola». La pace o è per tutti o non è pace. Senza il mattone della pace tutto viene distrutto. «Senza le vittime della storia, senza gli affamati e gli assetati di giustizia, senza gli operatori di pace, senza le vedove e gli orfani, senza i giovani e gli anziani, senza i migranti e i rifugiati, senza il grido di tutta la creazione non avremo mattoni nuovi», vi ha scritto Papa Leone XIV.

Molti di noi da giovani cantavano: mattone su mattone. Vale anche da grandi e pure da vecchi, forse con ancora maggiore convinzione! Solo così, mattone su mattone, con pazienza e disponibilità, pensandoci insieme, viene su una grande casa. È venuta su una grande casa di tanti mattoni, dove noi abbiano incontrato il Signore che non smette di voler abitare con noi. E i tanti che nei deserti del mondo e dei cuori cercano Dio, la Sua verità di amore, possano trovare una casa, ascoltare il segreto della Sua presenza che ci fa “spalancare la porta, guardar fuori” e capire che “fare a metà del tempo” vuol dire raddoppiarlo. Mattone su mattone, perché la speranza richiede pazienza, ma anche il nostro mattone. Ne capiamo solo così il valore! Casa dove tutti possano sentirsi amati, casa di Fratelli Tutti, dove tutti incontrano l’Amore di Gesù, casa che anticipa quella dove abiteremo insieme, quella del cielo.

Rimini, Fiera
24/08/2025
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