Vespro nel “Vetus Ordo” a Roma

«Spes non confundit», «La speranza non delude» (Rm 5,5). Ecco perché siamo qui, camminando nella storia dietro la Croce di Cristo, nostra unica speranza, rappresentata da Guido Reni sospesa sul mondo, come contempliamo sull’altare. Solo la croce, perché solo in essa abbiamo salvezza. Vi siete fatti pellegrini di speranza, in comunione con tutti attraverso il successore di colui che lo stesso Gesù ha indicato come la roccia su cui fonda la sua Chiesa. Sperimentiamo tanta comunione, quella che vivrete domani nella Basilica dell’Apostolo, che vi accoglie come padre per immergervi nella grandezza del popolo di Dio, sempre tanto più grande della nostra esperienza limitata. La comunione è dono dello Spirito Santo, quello per cui prega il Signore Gesù, che ci consola e ci rende una cosa sola. Non uguali, non uniformi, diversi ma uniti e obbedienti a colui che presiede la comunione, il successore dell’Apostolo che la grazia di Dio ha scelto e ci ha donato. Ed è Spirito difensore perché la nostra vera forza è Lui. Il dono dello Spirito Santo è così importante che Gesù ci ammonisce che se non lo accogliamo siamo esclusi dal perdono.

Non ci può perdonare se non ci affidiamo ad esso o non crediamo al perdono tanto da sottrarci all’abbraccio del Padre, finendo per escluderci da quella casa dove il padre non aspetta che accoglierci e fare festa con noi, con buona pace del suo figlio maggiore. La comunione però è sempre circolare: si riceve per Grazia divina ma ci impegna a viverla, a farla nostra donandola, sempre, anche quando non risponde alle nostre aspettative e condizioni. Impegniamoci tutti nella comunione, liberandoci da ciò che la limita, la offende, come la malevolenza, l’affermazione di sé, credersi nel giusto. Sappiamo quanto ci indebolisce e sottrae energie a nostra Madre Chiesa.

La comunione richiede comunione, non escludersi, non restare a guardare, non mettere condizioni. Ecco, per questo capiamo quanto è decisivo il servizio di colui che presiede la comunione, il ministero petrino al cui limes vi recate in questi giorni, al quale sempre manifestiamo obbedienza e gioia. Guai a vivere la comunione solo se corrisponde alle mie aspettative, e guai se non è reciproca, perché non sarebbe comunione ma convenienza e opportunismo e questi non hanno niente a che vedere con il mistero dell’amore di Dio. Il dono straordinario e squisitamente pastorale di accogliere il vecchio rito è un’attenzione importante che ci impegna a vivere tutti gli insegnamenti del Concilio, la sua applicazione e il cammino che ne deriva, cercando sempre, e tutti, l’unità che tanto ci rafforza. Quanto ne ha bisogno la Chiesa minacciata sempre dal divisore, che si nasconde per trarre in inganno.

La Chiesa deve annunciare al mondo, che cerca speranza, la speranza di Cristo, e solo nella comunione possiamo comunicare la speranza che non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35.37-39). Questa, solo questa è la nostra forza, straordinaria, in un mondo così segnato dalle divisioni, dalle polarizzazioni, dalle ideologie, e incapace di amare e di difendere il noi che è la comunione, pienezza della vita di ognuno proprio perché non isolato. Non umiliamola mai, tanto più di fronte al mondo e al divisore che ben conosce le debolezze, le enfatizza, cerca in tutti i modi di indebolire la nostra unità. Vivete questo pellegrinaggio per riscoprire, come ha chiesto a tutti Papa Francesco, il valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità.

Il Giubileo aiuti tutti noi a metteteci di fronte alla vita eterna e quindi a capire il senso di quella terrena, perché la vita eterna vi libera dalla tentazione di fare di noi stessi il giudizio, di enfatizzare il presente, finendo per farci giudicare da quello specchio digitale, ingannevole, che esalta ma sempre abbatte, distrugge proprio l’io che si credeva di esaltare.  Il giudizio di Dio che è amore, (cfr. 1Gv 4,8.16) e che non potrà che basarsi sull’amore, è l’esaltazione vera dell’io, proprio perché, come scriveva Benedetto XVI, “nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo e in noi. Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia”. Ecco la gioia del Giubileo. Mettiamo tutto nelle mani dell’Arcangelo Raffaele, “guaritore di Dio” delle malattie del corpo e dell’anima, di quelle che tanto condizionano la nostra vita.

Il Buon Samaritano, che tutti siamo chiamati a imitare, e l’Arcangelo Raffaele che aiuta a guarire, ci aiutano a vedere e a riconoscere, attraverso di loro, il riflesso della presenza di Dio e così per esserlo noi per tanti che sono nella sofferenza e nell’oscurità. Raffaele viene dall’ebraico «Dio guarisce» o «medicina di Dio». Egli ha il compito di far capire che Dio guarisce. Raffaele è l’angelo della quotidianità, vero e proprio “angelo custode” nelle difficoltà dell’esistenza. Egli è l’amico che consiglia e sostiene, manifesta la presenza di un Dio invisibile ma che si rivela tangibilmente alle sue creature. Nella tempesta del mondo testimoniamo in maniera viva la presenza di Dio che si rivolge a tutti, guarisce le malattie del cuore che tanto lo deformano, lo imprigionano e lo rendono ossessivo e sofferente. Dobbiamo sempre diventare angeli gli uni per gli altri, che riflettono nella parola e nei gesti l’amore di Dio.

Chiesa di San lorenzo in Lucina, Roma
24/10/2025
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