Omelia per la festa di Ognissanti

Celebriamo la Festa di tutti i Santi. Insieme. La ricompensa è una sola, per tutti, lo stesso amore, diverso per ognuno eppure unico per tutti. Celebriamo anche la nostra gioia di essere suoi. Non siamo un caso, non dobbiamo difenderci da soli, o disperarci a cercare le sicurezze che non troviamo mai come chi può affidarsi solo a se stesso. Siamo suoi e Lui è nostro! Chiunque di noi, che non sia deformato dall’orgoglio, guarda a distanza e con ammirazione i Santi del cielo. Chi, infatti, potrebbe dirsi da solo: io sono santo? Anzi, proprio i Santi chiedevano perdono più di tutti e cercavano sempre di cambiare, cioè di imparare ad amare. Bernanos diceva dell’amore della Chiesa per i poveri (l’ospite regale) che era una “strana armata, dove i caporali si accontentano di dare così una pacca di amicizia protettiva sulla spalla dell’ospite regale, mentre i marescialli si prostrano ai suoi piedi”. I Santi ci mostrano con la loro vita la bellezza dell’umanità piena di Dio, sono il riflesso del suo amore.

I Santi sono amati da Lui, lo sentono, lo vivono e lo trasmettono. Dio ci vuole suoi ma non ci possiede come chi non sa amare. Non si impone, ma resta fuori dalla porta ed entra solo se apriamo. Non ci lega a una legge ma al suo amore e chiede solo il nostro; non ci umilia, ma ci solleva e non smette di avere fiducia in noi. Non allontana i nostri problemi e fragilità, non fa finta di non vederli, non si mette a giudicare ma li fa suoi e li illumina con la sua presenza. Salva e rende santi dei peccatori e non può fare nulla con chi si giudica da solo, si difende dal suo amore, lo tratta da giudice e non da padre. I Santi sono i forti? No, sono coloro che si sono lasciati amare ed hanno, come potuto, amato, si sono fatti volere bene, si sono lasciati addomesticare dall’amore, imparando da chi ci ama a chiedere, ad ascoltare, a prendere sul serio, a legarsi per davvero. Santo è chi si lega a Dio e quindi al prossimo. Noi viviamo in una generazione con legami molto esili, con tanti contatti e pochi amici, e un po’ sempre in remoto anche quando siamo in presenza.

Ci può essere un amore senza legame? Amare significa legarsi a Lui e al prossimo. Ciò non significa però legarsi stretti in sé ma in un amore più grande di noi, e questo non è un limite ma la libertà dal legame più pericoloso che è l’amore per noi stessi. Dio è santo e noi siamo santi perché Lui è santo, cioè Dio ci prende con sé, si lega a noi. Noi ci lasciamo prendere da Lui? Dio non è nemmeno un’entità diffusa e ridotta a benessere individuale, a stabilizzatore dell’umore, a garanzia di una felicità individuale. È un Padre pieno di attenzione per i suoi e santo è il figliolo che torna e si ritrova vestito da Lui. Il Padre non ci tratta da estranei come fa il fratello maggiore della parabola, che pensa non avere più niente a che fare con quello che non riconosce come fratello (vi ricordate, disse al Padre “quel tuo figlio”). Dio è un Padre la cui verità è la misericordia ed è questa che ci rende santi. Misericordia da ricevere e da dare. Amati da Dio, per amore suo combattiamo ciò che lo offende e ci offende, le nostre miserie, i tradimenti, le piccinerie, le volgarità.

La santità è l’amore di Dio che diventa il nostro amore, umano, e quello umano diventa di Dio. Il Padre ci rende belli per questo. Non dobbiamo pensare una dimensione altra, come se dovessimo annullare l’umanità. Anzi: la troviamo! Dio si è fatto uomo proprio per farci scoprire il suo amore e anche per farcelo vivere nel nostro amore. E per questo ci permette di essere finalmente noi stessi. San Francesco capì chi era spogliandosi della ricchezza e rivestendosi della povertà. Perse qualcosa? Trovò e aiutò, e aiuta ancora oggi a trovare quello che non finisce e rende bello tutto, perché amato. Noi, spesso, pensiamo che essere santi significhi sacrificarsi, rinunciare, come se fare qualcosa per gli altri ci facesse perdere qualcosa di nostro o non vivere come vorremmo. Non abbiamo capito. Se cerchiamo la felicità solo per noi non la troveremo mai, non sarà grande abbastanza e non sarà durevole da renderci felici. La soddisfazione del nostro egoismo ci porta sempre alla sofferenza perché ci rimpicciolisce e immiserisce. La felicità si trova nell’amore disinteressato, in un amore che cresce quanto più si dona, ed in questo donarsi non vi è mai fine e quindi illimitata è la felicità che esso racchiude. Donarsi all’infinito: ecco la legge della vita intima di Dio. Egli ha fatto del dono di noi stessi la legge della nostra esistenza: ecco perché amando gli altri amiamo meglio noi stessi. Nella costrizione non vi può mai essere felicità. Per lui esiste un solo bene: quello dell’amato che è, in pari tempo, il proprio.

Il Vangelo ci parla di una felicità che non finisce. Sarà piena nel futuro ma, in realtà, la iniziamo a vivere fin da oggi. Beato il povero perché ha trovato quello che cercava, perché ricco dell’amore smette di cercare quello che non gli serve e quello che dona è la sua ricchezza. Gesù non dice beata la povertà, anzi ci insegna a condividere, a dare da mangiare e quindi a dare lavoro, a vestire con la dignità e l’educazione, a visitare e dare, quindi, famiglia. Il cristiano è un povero che rende ricchi tutti. Siamo felici non quando facciamo finta che i problemi non ci siano, o pensiamo di schivarli, ma quando li facciamo nostri e sentiamo l’amore di Dio e dei fratelli. Siamo felici quando piangiamo con chi è nel pianto, come Gesù che piange con Marta e Maria e poi le consola con il suo amore. Beati sono gli arroganti?

Coloro che devono attaccare per sentirsi importanti, che hanno bisogno di un nemico per esistere, quelli a cui non si può dire nulla e non vogliono sentire nulla perché si parlano addosso e hanno paura di farsi vedere così come sono? Beato, invece, è chi cerca la giustizia e quindi è giusto, non ruba, non cerca il proprio interesse, non fa per convenienza e rende agli altri quello che serve a loro. Siamo felici quando usiamo misericordia, smettendo di contare i torti e le ragioni. Sapete, i puri di cuore sono beati perché vedono la bellezza nelle creature, nel creato, e in questa bellezza vedono il Creatore, perché sono liberi dalla malevolenza. Quanto sono felici gli operatori di pace, cioè coloro che ricostruiscono quello che il male rompe!

Gesù ci dona la sua pace, che non è una terapia psicologica, né l’effetto di qualche slogan efficace, né una tecnica di autocontrollo. “La pace che Cristo porta non è un oggetto, una pratica o una tecnica: è Dio stesso, in noi. Non è una ricetta per un’evasione individualistica o per una realizzazione agonistica. Non vi può essere pace nel cuore dell’uomo che cerca pace solo per se stesso”. “Per trovare la pace vera dobbiamo desiderare che gli altri abbiano pace come noi e dobbiamo essere pronti a sacrificare qualcosa della nostra pace e della nostra felicità affinché gli altri abbiano pace e possano essere felici”, scriveva Thomas Merton, che aggiungeva: “La pace si realizza dove le differenze non sono più fonte di conflitto”. È troppo difficile? Mi verrebbe da dire che è molto più difficile vivere in maniera violenta, prevaricatrice, scontrosa, pieni di diffidenze e sospetti, alla fine soli, slegati da tutti, alla ricerca continua di conferme e costretti alla prestazione o al fallimento.

“Siate santi, perché io sono santo”. Nella speranza attendiamo la pienezza della gioia nella vita del mondo che verrà. Sia benedetto Dio Santo, Santo, Santo. Amen.

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01/11/2025
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