Messa per la Giornata dei Poveri

Il Vangelo ci apre gli occhi, ci sveglia dal sonno della rassegnazione o dell’impotenza, ci rende tutti consapevoli perché ci aiutiamo tra fratelli, ci spinge a scegliere in tempo per non venire travolti dai fiumi che straripano, strappandoci dall’irrisolutezza che fa credere di avere sempre tempo o di non essere mai preparati. Ci aiuta a vedere il mondo intorno così com’è, per non cambiare canale e scegliere qualcuno che non faccia vedere e pensare. Rassicura ma non evitando i problemi, perché così sarebbe un’illusione! Oggi vediamo le Nazioni che si sollevano contro le Nazioni, in quella logica della forza, del nemico, che tanta violenza provoca, piccola e grande. E quanta responsabilità grava su coloro che hanno responsabilità pubbliche e che con le parole e con gli enormi interessi bellici seminano inimicizia! C’è sempre un legame tra la piccola violenza e l’esplosione della guerra. Sono i fatti terrificanti e i segni grandi nel cielo che sgomentano, tanto sono grandi e rivelano la nostra piccolezza.

Quante notizie di guerre, e la maggior parte ignorate! Quante pestilenze, che significano dolore, angoscia, disperazione! Le lacrime sono davvero tutte uguali, e se ci fermassimo a vedere gli occhi di chi perde il proprio caro forse capiremmo qualcosa di più di questo mondo di dolore che sta alla porta della nostra casa ed avremmo meno paura. Gesù parla di inganni che rivelano solo dopo, e dolorosamente, il tanto tempo e il cuore che ci hanno preso, lasciandoci soli, con l’ossessione del denaro, del benessere senza il prossimo. In piccolo sperimentiamo anche noi il mondo che ci crolla addosso, raggiunti dalla malattia, presi da quell’abisso che ci si apre dentro e che si chiama tristezza o depressione, quando nulla sembra possa più aiutarci e tutto appare inutile. Quanto facilmente ci rassegniamo di fronte al popolo che alza le mani contro un altro popolo! Sono anche le mani che stringono un coltello, che si abituano alla violenza, quella verbale e quella fisica, che fa credere forti, importanti, che fa sentire l’amicizia di qualcuno anche se è per stare insieme soltanto per distruggere. Quanta violenza nelle parole, nelle condanne facili, generali, nei giudizi impietosi, dei quali ci vergogniamo sempre meno, che non accetteremmo minimamente se fossero rivolti a noi! La paura fa credere di essere in diritto di perdere anche i più elementari sensi di pietà, le proporzioni dei fastidi, l’idea che se uno è povero lo è per colpa, che i poveri non soffrono il freddo o di vivere in condizioni disumane.

Non è una risposta la vita disordinata, di cui parla l’Apostolo, sempre in agitazione perché presi dalle proprie sensazioni, senza la preoccupazione di costruire e di lavorare, dove si vive in modo nichilista, dove nulla vale la pena e si viene così travolti dalla forza del male. Noi istintivamente siamo come i discepoli che cercano la sicurezza nelle belle pietre del tempio, nella grandezza dell’uomo, nell’esibizione della forza. Gesù ci mostra le conseguenze del male non per spaventarci – ci spaventa il male! – anzi, proprio per indicarci qual è la via per non restare turbati, per non scappare, per non credere di salvare se stessi da soli. Gesù il mondo lo cambia amando e amandoci. La sicurezza è il suo amore così personale, attento, che conserva tutto mentre il male sembra rendere tutto inutile. Neppure un capello del vostro capo perirà. Nulla è insignificante perché amato.

Oggi è la domenica dei poveri. Il Corpus Pauperum è insieme al Verbum Domini e al Corpus Domini la presenza di Gesù nella nostra vita. E si tratta sempre di corpi, di presenza concreta, da amare spiritualmente e in maniera molto umana. Lo spirituale non è estraniarsi dal mondo ma entrare dentro, capirne la profondità, l’essenziale, vedere e far vedere riflesso l’amore di Dio. La Giornata dei poveri non celebra qualche attività benemerita, importante certamente, ma la fraternità che ci unisce. Il povero è fratello, non oggetto.

Questa è la differenza per la quale la Chiesa non può diventare una Ong, peraltro importante e da difendere dalla polarizzazione che insulta anche l’umanitario, facendone oggetto di interpretazioni e strumentalizzazioni. Non è assistenzialismo, dall’alto in basso, ma amore. «I poveri sono “dei nostri”» (DT 104). La Dilexi te ci insegna ad amare un tu, non una categoria. Si chiede Papa Leone XIV: «Tante volte mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni». «Diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero», commenta Papa Leone XIV (DT 93).

«In quanto è Corpo di Cristo, la Chiesa sente come propria “carne” la vita dei poveri». Sono i nostri fratelli più piccoli se noi siamo fratelli di Cristo. Quando Cristo è ridotto a una morale, o ad astratta spiritualità che rassicura l’amore per noi stessi e non chiede amore, i poveri sono senza volto, senza nome, non sono i nostri fratelli più piccoli, quindi da amare e proteggere come deve fare un fratello verso chi è più piccolo di lui. «Per essere vicini a Dio, bisogna essere vicini ai poveri» (DT 54). L’amore di Cristo aiuta a «prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni degli altri e ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come strumenti per la diffusione del suo amore». La Chiesa è una madre e troverà anche tanti modi non solo per aiutare chi è nella difficoltà, ma pure per sconfiggerne le cause. «La Chiesa, quando si china a prendersi cura dei poveri, assume la sua postura più elevata» (DT 79).

E si tratta di amore, non di attività sociale. E se c’è amore anche l’attività sociale troverà sempre nuovi stimoli, e conquiste, non si accontenterà della burocrazia ma piegherà questa alla persona. Siamo in un tempo in cui i poveri aumentano, come le disuguaglianze (ma non siamo fratelli?) e la povertà si cronicizza. Un mondo diverso inizia dall’attenzione al povero. A quel prossimo che incontriamo e che diventa vicino se noi ci facciamo vicini fisicamente e con il cuore. Dilexit te. “Ti ho amato” (Ap 3,9).  È l’amore, è la preferenza che Dio ci dona, ma anche che ci affida, liberandoci dall’idolatria dell’individualismo che riduce l’amore a benessere individuale. L’antico saggio diceva: “Il giorno in cui non hai prestato aiuto a qualcuno è un giorno perduto”. “Il servizio reciproco è in sostanza una forma di ufficio divino, una forma di preghiera”, diceva Padre Aleksandr Men’. Solo un rapporto di amore (“Dilexi”) permette di vedere con benevolenza, cioè riconoscendo quello che c’è di bello in ogni donna e in ogni uomo, di spirituale, persino là dove gli altri non lo notano, al punto che vedendo un volto sofferente sentirà la compassione. “Una persona del genere è sempre felice, perché è in unità con tutti, vive di amore”, ricordava sempre Padre Men’.

Il paradiso per il ricco comincerebbe fin da questa terra se invece di apparecchiare per sé (non a caso si parla solo di lui e delle cose e non c’è nella sua vita nessun altro) avesse invitato a pranzo Lazzaro. Avrebbe trovato il suo paradiso dandolo e liberando da quell’inferno Lazzaro che pure vedeva accanto alla sua porta. Impariamo tutti a dire, negli infiniti e personali modi dell’amore, “dilexi te” ai poveri che incontriamo. Amando il tu che è il povero troveremo anche l’amore di Dio per noi.

Bologna, Cattedrale
16/11/2025
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