La Parola di Dio ci parla e genera vita nuova perché comunica l’amore di Dio. Se la mastichiamo e non ci accontentiamo delle impressioni, di risonanze che spesso coincidono con l’epidermide, essa parla al cuore, all’interiorità e ci aiuta a trovare il profondo, colma l’abisso della nostra anima, illumina la mente, accende l’ispirazione, ci propone di cambiare. Essa conferma e guida le nostre scelte, ci sorprende sempre se apriamo ad essa il nostro cuore. Questo avviene solo a chi ascolta e “fa” la Parola, la mette in pratica, la unisce alla sua vita così come lei si unisce alla nostra! Oggi ascoltando quella che ci è stata proclamata pensiamo ai nostri ragazzi, tutti, anche quelli che non si avvalgono ma che noi sentiamo ugualmente nostri, che portiamo nel cuore perché anche loro sono “perduti” alla nostra ora di lezione, così importante eppure troppo maltrattata da orari e da vuoti che la rendono distante o poco attraente.
A volte, lo sappiamo, la vita sembra un deserto spirituale e spesso anche umano! Non dimentichiamo, però, che è proprio nel deserto, dove ci sembra che non possa esservi nulla di bello, che si ha più sete e si cerca, a volte con disperazione e in modi inconsapevoli, l’acqua, perché di quella abbiamo bisogno. Proprio nel deserto il Profeta ci invita a preparare la via al Signore. Nessun vittimismo, quindi! Nessuna impotenza, per la quale non è mai un problema nostro, perché possiamo preparare la strada al Signore che viene, pur di fronte ad una dimensione difficile, anzi, quasi ostile. Viene e se non c’è una via non lo incontriamo e non lo possono trovare! Ma se c’è la via avviene quell’incontro imprevedibile, sorprendente, che cambia tutto. La Parola ci libera dalla rassegnazione e ci aiuta a capire che è possibile, nella dispersione del deserto, nell’assenza di vita, preparare una strada perché gli uomini trovino vita, consolazione, futuro, perché la vita sia trasformata. Gesù viene proprio nel deserto! Viene come un pastore, perché il gregge senza pastore si disperde.
È un pastore che protegge la debolezza, non la disprezza, non la tratta con sufficienza, dall’alto in basso, con il sottile senso di superiorità. La caratteristica che viene indicata è portare gli agnellini sul petto e condurre dolcemente le pecore madri. Un pastore tenero, che ha cura, che non lascia indietro quelli che non ce la fanno. È il contrario della logica della forza, in questa stagione che la esalta in tanti modi, e che quindi disprezza e condanna la fragilità.
È questa la vera forza, l’unica che non umilia la vita e non la distrugge come avviene per la competizione, l’arroganza, il consumo, la violenza, l’affermazione di sé a tutti i costi. Il nostro pastore, e quindi noi sue pecore, non è distratto, non ha paura di avvicinarsi a chi va protetto, non calcola se conviene farlo, se costa troppo tempo prendere in braccio o aspettare le pecore madri. Alcuni arrivano a teorizzare, catturati dalla logica della prestazione e della convenienza, che è giusto lasciare indietro, e così chi vuole correre può farlo e disinteressarsi di chi non è come lui. In realtà è esattamente il contrario: tutti capiscono la fragilità proprio aiutando quella degli altri, e non si rallenta ma si cammina insieme.
Per Gesù è normale cercare l’unica pecora perduta. Se ne accorge, perché tutte, una per una, sono importanti. L’educazione è curare tutte le 99 ma una per una, così ti accorgi di quell’unica, irripetibile, che è la singola persona! Abbiamo un enorme bisogno di questa attenzione perché altrimenti c’è solo la prestazione, con le diseguaglianze che non possiamo accettare. Quanta dispersione scolastica! Quanti si perdono! Per ognuna persona dobbiamo garantire un amore e un’attenzione singolare, perché possa inserirsi nella fraternità con le altre. Certo, qualcuno avrebbe sicuramente criticato il pastore, con la malevolenza così diffusa e pericolosa, dicendo che un atteggiamento come questo era irresponsabile verso le 99! La volontà del Padre vostro che è nei cieli è che nulla vada perduto, tutte ma anche ciascuna. Il mondo pensa sia normale perdere qualcuno se non vince.
Addirittura succede che la si perde perché si pensa che non ce la può fare. Gesù non giudica perché si è perduta, ma la cerca. Gli uomini giudicano pensando così di essere giustificati al loro non far nulla, come se non dipendesse da loro. Va cercato, conosciuto e amato. È quello che succede a ragazzi e ragazze che hanno dei problemi, o che non possono esprimersi bene o che vivono momenti di grande difficoltà perché si sentono soli, si perdono dentro di sé e non sanno bene perché. Gesù non li interpreta, non certifica la loro condizione: li cerca, li fa sentire amati, li prende con sé e li riporta insieme a “tutte le altre”. Spesso, purtroppo, si crede di non avere tempo, attenzione, pazienza per ascoltare le tante cose importanti che quella persona, che ha bisogno di attenzione, custodisce. Ogni persona ha dentro di sé un tesoro prezioso e, per esprimerlo ed usarlo, ha diritto a studiare e ad imparare.
Ci si perde per questa fragilità che non si è vista e capita. Altre volte hanno dei nomi – discalculia, dislessia, disortografia, disprassia, disgrafia, ecc… – altre sono nascoste nelle pieghe dell’anima frutto di ferite antiche e nuove, che non vogliamo far finta che non ci siano o, peggio, guardarle con supponenza e condanna, come se fossero colpa loro. Non sono tutte uguali: c’è quella lì, quella storia di quella pecora. Nessuno deve essere lasciato indietro. Quando uno è in difficoltà mette alla prova per vedere se viene cercato, oppure se disperato si lascia andare perché pensa che tanto nessuno lo cercherà. Il pastore non interpreta, la cerca, la prende con sé, prova gioia nel trovarla e nel ripotarla insieme agli altri.
Strano questo mondo! Tutti hanno fretta e vogliono arrivare subito senza un progetto comune da condividere e verso il quale impegnarsi. Speranza e pazienza sono tanto necessarie per capire, per accettare i limiti e poi per cercare di superarli, se si riesce. Quanto servono per educare la speranza e la pazienza! Il pastore non si accontenta di aver fatto quello che doveva: la cerca. Non può farne a meno. La conosce, sa chi è, la vuole con sé e che lei sia se stessa non da sola, ma insieme. E qui si aprono tante domande sul nostro atteggiamento a riguardo.
Sentiamo lo scandalo di chi si perde? Le cerchiamo, che vuol dire anche immaginare tutti i modi per trovarle? La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto, che i fragili restino indietro, che qualcuno si perda. Il maestro autentico suscita il desiderio della verità, educa la libertà a leggere i segni e ad ascoltare la voce interiore. Papa Leone XIV nella Dilexi te scrive: «L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere». Non è così per tutti? “L’educazione cristiana è opera corale: nessuno educa da solo. La comunità educante è un noi dove il docente, lo studente, la famiglia, il personale amministrativo e di servizio, i pastori e la società civile convergono per generare vita”. Andare a cercare significa avere cura della vita interiore: “I giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio”.
Sant’Agostino dice che «il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vero maestro sta dentro» (In Epistolam Ioannis ad Parthos Tractatus 3,13), e aggiunge: «Quelli che lo Spirito non istruisce internamente, se ne vanno via senza aver nulla appreso». È necessaria l’educazione anche per quanto riguarda il digitale umano. Occorre formare “all’uso sapiente delle tecnologie e dell’IA, mettendo la persona prima dell’algoritmo e armonizzando intelligenze tecnica, emotiva, sociale, spirituale ed ecologica”. E, infine, dobbiamo educare alla pace, disarmata e disarmante: “Educhiamo a linguaggi non violenti, riconciliazione, ponti e non muri”. Facciamolo con gioia. I veri maestri educano con un sorriso e “la loro scommessa è di riuscire a svegliare sorrisi nel fondo dell’anima dei loro discepoli”. “Oggi, nei nostri contesti educativi, preoccupa veder crescere i sintomi di una fragilità interiore diffusa, a tutte le età. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questi silenziosi appelli di aiuto, anzi dobbiamo sforzarci di individuarne le ragioni profonde.
L’intelligenza artificiale, in particolare, con la sua conoscenza tecnica, fredda e standardizzata, può isolare ulteriormente studenti già isolati, dando loro l’illusione di non aver bisogno degli altri o, peggio ancora, la sensazione di non esserne degni. Il ruolo degli educatori, invece, è un impegno umano, e la gioia stessa del processo educativo è tutta umana, una «fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una sola» (S. Agostino, Confessiones, IV, 8,13)”. E una delle forme più inquietanti che ha assunto il disagio giovanile è quella della violenza. Quanti episodi riportano al centro della cronaca una violenza brutale spesso esercitata in gruppo per “futili motivi”! Come aiutare a vincere la tentazione della forza, dell’esibizione, della prestazione? Come aiutare a conoscere un Signore che entra nella vita, nella storia di ognuno? Seminando con larghezza e in tanti modi il Vangelo e il suo umanesimo formidabile, pieno di amore e di una comprensione profonda della vita, che la libera perché la apre al prossimo.
Ecco questo è il Natale che cambia la vita, diventa luce, consolazione, speranza, vita nei cuori dei ragazzi. È una gioia che forse noi non vedremo ma sappiamo che non sarà tolta. Buon Natale.
