Missione

Don Davide Zangarini: a Mapanda priorità i giovani

L'intervista a tutto campo del missionario bolognese

MANDANDA – Don Davide Zangarini, sacerdote bolognese, da alcuni anni è missionario «fidei donum» in Tanzania, nella parrocchia di Mapanda. Recentemente è tornato in Africa dopo una breve permanenza a Bologna, e da lì lo abbiamo intervistato.

Come è andato il rientro?

Per prima cosa vorrei ringraziare tutti quelli con cui siamo riusciti ad incontrarci e a salutarci a Bologna. Ho dovuto rinviare il viaggio di due settimane per il passaporto in scadenza. Non è stato facile accettare questo imprevisto. Tenevo molto ad arrivare in tempo per la festa parrocchiale. La sera del 5 luglio, quando, arrivando nei villaggi della parrocchia, ho cominciato ad incontrare sguardi e volti di persone conosciute ho provato una grande commozione. Mi sono reso conto di quanto mi mancavano, di quanto questi anni avevano saputo creare un rapporto di appartenenza reciproca. Entrato nel villaggio di Mapanda tanta gente riconoscendomi spalancava la bocca in grandi sorrisi. Un gruppo di bambini che giocava, quando mi ha visto, ha iniziato a saltare e sbracciarsi gridando «Padili!» o «Baba Devi!» Che emozione! L’incontro con la gente, soprattutto la domenica seguente, è stato di sincero affetto, un vero e proprio abbraccio.

Che attività ti aspettavano?

Avevamo progettato un pellegrinaggio coi giovani della parrocchia a Bagamoyo, cosa che era già stata fatta in passato prima con le mamme, poi con i papà. Bagamoyo è stato il centro di smistamento e di commercio degli schiavi dell’entroterra ad opera dei potenti califfati arabi. Ma è anche la porta del Vangelo in tutta l’Africa Orientale. I primi missionari sbarcarono in quello che allora era il maggior porto della costa. Furono i primi a lavorare per riscattare gli schiavi, pagandone il prezzo ai Califfi. Li avviavano all’istruzione e al lavoro per renderli liberi di rifarsi una vita.

Da chi era formato il vostro gruppo?

Eravamo 22 giovani, tre seminaristi ed io. I giovani erano pochi rispetto alle mie aspettative e il motivo principale era la quota da pagare (15 euro circa) che qui è una cifra alta. Una parte delle spese è stata coperta dal contributo di un gruppo di giovani bolognesi che, tre anni, fa vennero a Mapanda. La quota richiesta aveva anche lo scopo di vagliare chi fosse realmente interessato al pellegrinaggio, come cammino spirituale e non solo una vacanza. Così è stato: il gruppetto è stato molto coeso e motivato.

Che esperienza è stata per i giovani di Mapanda?

È stata molto intensa. Abbiamo incontrato i giovani di una parrocchia vicina a Bagamoyo per fare una riflessione sulla vita cristiana e sulle sfide che essa propone. I giovani di Dar hanno una vita che assomiglia molto di più alla nostra occidentale, molti di loro studiano o lavorano. La vita dei giovani di Mapanda è molto diversa: si misura sul lavoro agricolo che ognuno si autogestisce con più libertà.
A Bagamoyo siamo stati al museo, abbiamo visitato le tombe dei primi missionari, molti dei quali morti molto giovani a causa della malaria e della febbre gialla. Abbiamo pregato in quei luoghi e celebrato la Messa nella chiesa vicina alla prima chiesa della Tanzania, che fu distrutta nel corso della prima guerra mondiale. Siamo stati anche alla grande croce sull’oceano piantata dai primi missionari. Quasi tutti i nostri giovani non avevano mai visto il mare. Vi lascio immaginare il loro stupore. Dopo pranzo li ho invitati ad andare in spiaggia. Nessuno aveva asciugamani o vestiti di ricambio. Ma si sono buttati senza indugio. Renata, una giovane disabile, aveva molta paura, ma anche molta curiosità. Si è accorta di quanto era bello lasciarsi cullare dalle onde ed ha iniziato a sguazzare come una matta. Nasira, una giovane sposata, con un bimbetto di sei mesi, mi ha detto: «Non potevo immaginare che Dio avesse da sempre creato una cosa così bella e io continuavo la mia vita senza saperlo».

Che impatto ha avuto Dar es Salaam nei tuoi ragazzi?

Dar es Salaam è una megalopoli di quasi sei milioni di abitanti: grattacieli, hotel di lusso, zone residenziali di alto livello, il tutto mescolato con quartieri molto miseri, sobborghi di case appiccicate l’una all’altra, quartieri di negozi, bancarelle, mercati e piccolo commercio. Noi abbiamo girato a piedi l’antico mercato di Kariakoo. Poi ci siamo diretti alla storica Cattedrale di Dar, St. Joseph, che è di fronte al porto. Ero molto timoroso di questa giornata. C’era il rischio di un’ubriacatura, un lasciarsi abbracciare acriticamente da quel paese dei balocchi; ma sentivo anche l’importanza di fare quell’esperienza insieme. La sera ci siamo confrontati sulle tre giornate trascorse ed io ho approfittato per chiarire luci ed ombre del mondo occidentale globalizzato, da cui non possiamo né dobbiamo scappare, ma che occorre conoscere anche nelle sue insidie e affrontare con coscienza critica.

Dalle tue parole traspare la gioia di esperienze come queste…

Se penso alla mia breve storia di prete, mi accorgo che ci sono delle costanti al di là e al di qua dell’equatore. Una di queste è la mia passione per i giovani, il mio stare con loro anche quando non è facile. In molti mi hanno ringraziato di averli accompagnati, nonostante gli impegni. Ho risposto che quando non avrò più tempo o non considererò più una priorità andare con i giovani non sarò più un vero prete.

Quali sono altre attività importanti che fate in parrocchia?

In Quaresima abbiamo fatto un ritiro per le persone impossibilitate a ricevere la comunione, per situazioni matrimoniali irregolari, donne i cui mariti sono poligami. Erano tutte persone che vivono intensamente la loro vita cristiana anelando alla mensa eucaristica. Hanno iniziato un cammino che le ha viste ritornare ai Sacramenti nel tempo pasquale. La festa parrocchiale invece ha visto protagoniste le madri senza marito, rimaste incinte per «incidente di percorso», o abbandonate, che però vogliono sapere qual è il loro posto nella Chiesa. Si sono svolte, a livello di Chiesa nazionale, le elezioni dei capi delle Jumuiya ndogondogo, le comunità di base. Noi Padri abbiamo iniziato a visitare i villaggi e a radunare i capi appena eletti per spiegare loro come guidare le liturgie della Parola nelle case, come prepararsi personalmente attraverso la preghiera personale. Ieri, infine, abbiamo celebrato le Cresime per circa 150 ragazzi che, dal mercoledì precedente, si preparavano a questo importante evento di grazia.

Intervista pubblicata su Bologna Sette del 4 settembre 2022.

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