La celebrazione presieduta dal Cardinale e l’inaugurazione dei locali della Comunità intitolata al sacerdote nel 1º anniversario dalla scomparsa
Subito dopo l’inaugurazione dell’illuminazione nuova in Santo Stefano, nella chiesa dei Santi Vitale e Agricola l’Arcivescovo ha celebrato la Messa nella festa dei santi protomartiri Vitale e Agricola e in suffragio di monsignor Giulio Malaguti, nel primo anniversario della morte. Dopo la celebrazione, il cardinale Zuppi ha benedetto i locali al secondo piano della canonica che ospiteranno quattro giovani laureati. L’Università era uno dei tanti interessi di don Giulio Malaguti, in particolare gli studenti, a cui ha dedicato gran parte del suo lunghissimo ministero. Questa iniziativa, maturata in collaborazione con il Centro Poggeschi, darà vita alla «Comunità don Giulio Malaguti».
Monsignor Stefano Ottani, parroco ai Santi Vitale e Agricola ha ricordato che nella festa dei protomartiri bolognesi, i santi Vitale e Agricola, «si celebrano servo e padrone, resi fratelli dalla fede del martirio. È festa per tutta la Chiesa, ma particolarmente in questa chiesa costruita sul luogo della loro testimonianza suprema. E questa memoria è arricchita quest’anno dalla preghiera e dal ricordo di monsignor Giulio Malaguti, che qui è stato parroco per 35 anni, fino all’età di 101 anni».
Nell’omelia della Messa, il Cardinale ha affermato che: «I nostri santi protomartiri Vitale e Agricola sono due, e questa è una cosa particolare: non smettiamo di contemplare il fatto che abbiamo la grazia di avere due fratelli che ricordiamo insieme. Perché una grazia? Perché noi passiamo la vita, molte volte, a distinguerci dagli altri. Sappiamo così poco lavorare insieme, pensarci insieme, cercarci, tanto che qualche volta quando riusciamo e soprattutto mettiamo in pratica il Vangelo perché il Vangelo è molto personale ma non è mai individualista». «Per questo io credo – ha concluso l’Arcivescovo – che avere come patroni i santi Vitale e Agricola ci ricorda il dono della fraternità. Come sappiamo erano uno schiavo e un padrone, quindi la loro è una fraternità insolita. Al massimo ci sarebbe stato rispetto, ma neanche, perché il padrone non aveva rispetto per lo schiavo, lo schiavo era una non persona, era un “non nome”; e purtroppo ancora oggi tanti non hanno neppure il minimo rispetto verso gli altri. Certe volte gli altri sono solo manodopera, forza lavoro, tanto che non riconosciamo loro neanche la loro dignità, i loro diritti: non li trattiamo da persone».
Chiara Unguendoli