Cammino sinodale

Sintesi per la fase profetica diocesana

Il contributo della chiesa bolognese al seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, che si è svolta a Roma dal 31 marzo al 3 aprile 2025

Nella Diocesi di Bologna sono stati coinvolti, insieme al Consiglio pastorale diocesano (CPD) e al Consiglio presbiterale, anche i Consigli pastorali parrocchiali (CPP) e le Associazioni laicali, lasciando la libertà di lavorare sulle schede più coerenti con il percorso intrapreso da ciascuna istanza negli anni precedenti.

Ai Consigli pastorali è stata suggerita la scheda 14 («Organismi di partecipazione»). Ai Consigli per gli Affari economici (CPAE), la scheda 17 («Il rinnovamento della gestione economica dei beni»). Ma l’indicazione non era vincolante.

Il Consiglio pastorale diocesano ha lavorato sulle schede 7-8 e sulla scheda 14. Il Consiglio presbiterale sulla scheda 12 (proseguendo la sua riflessione sulla guida sinodale delle comunità).

Non tutte le istanze hanno restituito un loro contributo. In alcuni casi, lamentando i tempi stretti imposti in questa fase; in altri, probabilmente, per una certa «fatica» e distanza maturate rispetto al Cammino sinodale (che è stato poco conosciuto o ritenuto inefficace).

Procederemo in questa sintesi secondo le tre grandi sezioni dello Strumento di lavoro.

(1) Il rinnovamento missionario della mentalità ecclesiale e delle prassi pastorali

Sulla scheda 1 («cultura della pace e del dialogo») ha lavorato l’Assemblea delle Aggregazioni laicali. Tra le scelte operative la convergenza si è registrata sulla proposta (c) e sulla proposta (e), riconoscendo il valore di iniziative comuni di carità sia per l’ambito ecumenico sia per la costruzione di una cultura della pace. Si propone di creare un tavolo di lavoro territoriale con una rappresentanza civile e interreligiosa dedicato ai temi della pace e della nonviolenza.

Le maggiori resistenze sui temi trattati dalla scheda vengono ravvisate dalla concentrazione eccessiva delle energie parrocchiali sulla catechesi per l’iniziazione e sulla preparazione ai sacramenti, che non lasciano nessuno spazio a temi come la pace e il dialogo.

La stessa considerazione viene fatta rispetto ai temi della scheda 2, («Sviluppo umano integrale e cura della casa comune») sulla quale hanno lavorato il Tavolo diocesano per la custodia del creato (TDCC) e una parrocchia. Anche in questo caso si è rilevato come in larga parte si tratta di preoccupazioni quasi del tutto assenti dalle agende delle nostre comunità cristiane.

Trova consenso la proposta (g) dove si chiede la promozione della Dottrina sociale «quale fonte generativa di percorsi e processi educativi», strutturati in forma contenutistica ma anche attraverso esperienze concrete di impegno sociale. Viene sostenuta anche la proposta (h) che impegna a mappare e far conoscere dentro le nostre comunità le buone pratiche di economia civile, sociale, solidale già esistenti (consumo etico, commercio equo e solidale ecc.).

Si incoraggia una collaborazione più regolare e fattiva tra il TDCC e gli Uffici di curia dedicati alla scuola, all’educazione e alla formazione. Si propone alla Diocesi la creazione in ogni Zona pastorale di un gruppo ad hoc sui temi ambientali e sugli stili di vita collegato al TDCC.

Sulla scheda 3 è giunto il contributo dell’Ufficio diocesano delle Comunicazioni Sociali (UCS). Le scelte operative che hanno raccolto consenso sono la proposta (b) e la proposta (e), a livello diocesano; la proposta (h) e la proposta (i), a livello di raggruppamenti di chiese. Le proposte ulteriori che vengono avanzate sono: 1) curare la formazione di operatori pastorali della cultura e della comunicazione; 2) curare la formazione delle nuove generazioni per sostenere il loro protagonismo, favorendo tematiche sensibili alla cultura dell’incontro, della pace e del dialogo, il racconto di storie di vita dove emergano testimonianze di bene e di speranza; 3) curare una maggiore comunicazione tra Uffici di curia, parrocchie, associazioni e movimenti per una maggiore condivisione della vita delle comunità, delle proposte e delle iniziative; 4) condividere , progetti comuni con la Caritas, l’Ufficio scuola e università e l’Ufficio IRC tenendo presente il valore della cultura e della comunicazione quali forme genuine di carità.

Come buona prassi della nostra chiesa locale si segnala l’esperienza di un gruppo sinodale costituito spontaneamente da alcune Associazioni laicali (ACLI, AC, CDO, CISL, MLAC, MCL, UCID) appartenenti alla Pastorale sociale e del lavoro. Il Gruppo (nato a gennaio 2022) ha scelto di fare rete sul territorio con il sindacato e con alcune aziende per sollecitare gli enti locali (ingessati dalla burocrazia) e promuovere un cambiamento culturale che aiuti i giovani a dare un senso al lavoro oltre la dimensione della remunerazione economica, aiutando a riconoscerlo come spazio di crescita, di espressione della propria creatività e come impegno genuinamente spirituale. Il Gruppo, denominato «San Giuseppe lavoratore», diffonde le proprie iniziative attraverso lo strumento digitale. Essendo costituito di laici impegnati nella vita professionale, civile e sociale, si è scelto di comunicare tramite la piattaforma maggiormente utilizzata per il lavoro (Linkedin).

La scheda 4 è stata affrontata dall’Ufficio liturgico diocesano, che ha segnalato il suo consenso sulla proposta (f). Come ulteriori scelte operative vengono suggerite, a livello locale: la ricerca e di momenti di preghiera comunitaria e la ripresa di precedenti esperienze di liturgia domestica, la promozione della pastorale del canto e della musica. A livello regionale/nazionale: proporre alla CEI di stabilire le circostanze e i casi in cui ammettere i laici alla predicazione in una chiesa o in un oratorio; aprire spazi concordati e condivisi di sperimentazione liturgica.

L’Ufficio per la Pastorale familiare, l’Ufficio per la Pastorale della salute e la Caritas diocesana si sono confrontati sulla scheda 5. Anzitutto, rilevando il «corto circuito» provocato dal tentativo di assumere un metodo sinodale in una struttura ancora «verticistica»: senza un sistema efficace di deleghe (da definire e verificare) sarà impossibile avviare una riforma sinodale. Come proposta operativa si chiede che gli uffici che si occupano di persone vulnerabili, compreso il servizio tutela minori, si incontrino (una o due volte all’anno) per condividere e confrontare i rispettivi percorsi affinché possano nascere strategie e sinergie tra le attività dei singoli uffici ed eventi comuni. A questo scopo è fondamentale che ci sia un soggetto che convochi.

Si auspica una riflessione articolata e profonda sul tema del potere che la Chiesa detiene nell’accompagnamento pastorale delle persone, nell’esercizio della carità e in generale nel guidare le coscienze: questo apre, evidentemente, anche sul tema degli abusi che possono essere inflitti alle persone più deboli e prive di strumenti adeguati a livello di maturità personale.

(2) La formazione missionaria dei battezzati alla fede e alla vita

La «formazione alla fede e alla vita» è stato l’ambito su cui la Diocesi ha puntato durante la fase sapienziale. Il lavoro fatto allora – che resta un patrimonio della Diocesi – è raccolto nella sintesi dello scorso anno. Nella fase profetica soltanto il Consiglio pastorale diocesano (CPD) ha ripreso in considerazione due schede afferenti a questa sezione, ovvero le schede 7-8.

Tra le scelte operative suggerite, quelle che hanno ottenuto il maggiore consenso sono:

  • la proposta (b) della scheda 8 – sulla necessità di «ripensare l’annuncio e dei percorsi formativi per gli adulti e i giovani» puntando su «piccole comunità in ascolto della Parola, di preghiera e di condivisione fraterna, diffusi sul territorio e nei contesti di vita delle persone, per rendersi prossimi, incontrare chi è ai margini della comunità o in situazioni di fragilità, (…) facendo risuonare la parola del Vangelo e del kerygma in situazioni di cambiamento, o di particolare fragilità, rendendole vere e proprie soglie di accesso o di approfondimento alla fede»;
  • la proposta (d) della scheda 7 – che sottolinea la necessità di «accrescere i momenti di formazione unitaria e condivisa tra tutti i componenti del popolo di Dio – laiche e laici, Pastori, consacrate e consacrati, religiose e religiosi – al di là dei compiti e dei ruoli delle persone, offrendo spazi di narrazione di sé, di confronto sul vissuto comunitario e pastorale e di aggiornamento biblico, culturale, socio-politico, teologico e ministeriale».

Il CPD ha individuato cinque linee operative lungo le quali orientare le scelte pastorali della Diocesi: (1) i percorsi formativi non siano pensati in funzione della celebrazione dei sacramenti ma per accompagnare la crescita della vita cristiana; (2) allargare lo sguardo e il linguaggio delle nostre comunità per non emarginare persone LGBTQ e altre persone presenti nelle comunità che richiedono un cambiamento di visione e linguaggio; (3) partire dai bisogni concreti e esigenze pratiche emergenti dalle comunità; (4) censire le buone prassi già attive in Diocesi; (5) sviluppare nuove vie pastorali a sostegno della famiglia, «curando percorsi in grado di accompagnare i primi anni della vita matrimoniale, le situazioni complesse e le crisi, i bisogni legati alla genitorialità, senza trascurare tutte le altre fasi della vita delle famiglie».

Tra le risorse per la riforma sinodale vengono indicate quelle che possono sviluppare e arricchire l’esercizio del discernimento comunitario («ecclesiale»). In particolare la presenza di facilitatori formati per guidare i processi di discernimento; la presenza nelle nostre comunità di competenze laicali che devono essere riconosciute e valorizzate; la creazione di percorsi di formazione condivisa tra pastori, religiosi/religiose, laici/laiche che sviluppino e rafforzino una coscienza ecclesiale diversa, la conoscenza reciproca tra le vocazioni e la capacità di collaborare.

Tra le resistenze, tutto quanto ostacola questo cammino: una diffusa mancanza di abitudine e fatica a esprimersi e parlare con franchezza e «alla pari»; la mancanza di facilitatori preparati per diffondere l’assunzione di un metodo sinodale; la possibilità dei parroci di bloccare la riforma se in disaccordo; il rischio di rimanere alle teorie senza cambiare le prassi.

(3) La corresponsabilità nella missione e nella guida della comunità

È stata la sezione che ha raccolto il numero maggiore di contributi.

Il lavoro sulla scheda 11, relativa alla ministerialità laicale, ha trovato convergenza in particolare su due scelte operative tra quelle proposte:

  • la proposta (f), di affidare «a laici, dotati di adeguato livello di formazione, competenza specifica e senso ecclesiale, la direzione di Servizi e Uffici diocesani», precisando però che sarà necessario retribuire questi incarichi se si vuole trovare laici e laiche disponibili ad assumerli, liberando i presbiteri per il compito pastorale che maggiormente compete loro.
  • la proposta (d), che esprime l’importanza di imparare a decidere insieme e a costruire il consenso sulle questioni importanti. Non ritenendo opportuno che a decidere sui ministeri sia il parroco da solo, e immaginando che tutte le scelte pastorali debbano essere maturate in forma sinodale, si ritiene importante «accompagnare le parrocchie a vivere incontri di “discernimento comunitario” dei carismi presenti tra i membri della comunità, al fine di individuare persone che potrebbero impegnarsi – dopo adeguata formazione – in servizi e ministeri pastorali».

Altre proposte che trovano consenso sono quella di favorire la «formazione teologica» – ma anche biblica – di laici e laiche in vista della loro ministerialità pastorale, immaginata «anche a tempo pieno o con incarichi di responsabilità e guida» (proposta j); quella di promuovere nelle parrocchie di un «ministero di cura, di ascolto e di accompagnamento», rivolto a malati e anziani, e di accompagnamento nel lutto (proposta c); quella di immaginare ministeri a tempo, che sembrano più compatibili con i ritmi di vita e la condizione dei laici. Anche la mappatura a livello diocesano dei ministeri (istituiti e di fatto) trova consenso, per conoscere esperienze già in atto, poterci riflettere insieme (potenzialità e aspetti di limite) ed eventualmente replicarle.

Tra le criticità segnalate, il fatto di rilevare nelle schede dello Strumento di lavoro un linguaggio ancora molto tecnico e non immediatamente comprensibile, poco invitante: un aspetto a cui fare attenzione in ordine alla trasformazione dei linguaggi ecclesiali (cf. scheda 3).

Sulla scheda 12 («Forme sinodali di guida della comunità») ha lavorato soprattutto il Consiglio presbiterale diocesano, trovando convergenza su quattro scelte operative:

  • la proposta (c): «Programmazione pastorale unitaria tra le parrocchie e le altre realtà ecclesiali presenti nel territorio (istituti religiosi, cappellanie, centri pastorali)», che di fatto sembra corrispondere al compito delle Zone pastorali. Si tratta di promuovere le Zone pastorali perché funzionino come «soggetto pastorale» effettivo, in modo da non replicare su due livelli attività e strutture. Si evidenzia come lo stesso rischio di moltiplicare e sovrapporre strutture e competenze torni spesso anche a proposito degli organismi di partecipazione (scheda 14).
  • La proposta g, per la quale si guarda con favore alla possibilità di esplorare e approfondire esperienze di delega o procura da parte rispetto ad alcuni aspetti amministrativi e gestionali che possano alleggerire il carico di incombenze che attualmente gravano sul parroco.
  • La proposta (f): «Creare e sostenere l’esercizio di una modalità condivisa di guida pastorale del parroco, con la “cooperazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici” (can. 519)». Si incoraggia l’idea che la ministerialità e la guida pastorale siano svolte non individualmente, ma in equipe (con un mandato definito e a tempo), arricchendo il confronto in equipe di sensibilità diverse che provengono da vissuti differenti, «tenendo conto della parità di genere, delle qualità, delle competenze e dei carismi di ciascuno e con l’apporto di consacrati/e». In questo caso – come segnalato sulla scheda – sarà importante chiarire il ruolo dell’equipe pastorale in relazione al compito di discernimento che è proprio del Consiglio pastorale.
  • La proposta (h): attivare e incentivare le figure di «cooperatori pastorali», di «equipe pastorali» e di «gruppi ministeriali» nelle comunità piccole e senza parroco residente.

Menzionata anche la possibilità che in diocesi – dal punto di vista della ministerialità – esistano parrocchie «che, per la presenza di ospedali o università o la presenza rilevante di gruppi etnici, culturali o religiosi, possano assumere una configurazione “specializzata” in relazione alle caratteristiche della popolazione locale o delle istituzioni presenti sul territorio» (proposta d).

La scheda 14 è risultata quella sulla quale si è maggiormente lavorato. Tra le questioni più dibattute, si segnala la proposta (a) relativa alla richiesta di definire – a livello italiano – l’obbligo dei Consigli pastorali «specialmente in riferimento ai nuovi “raggruppamenti di parrocchie”». Qui non è emerso un consenso chiaro né in senso favorevole né contrario. Il timore, da un lato, è il rischio di rendere obbligatorio l’organismo anche là dove le comunità ecclesiali sono ormai poco vitali (senza forze per sostenerlo sensatamente); e, dall’altro, il rischio non meno temuto di una moltiplicazione di livelli e strutture che appesantiscono le decisioni, senza renderle più efficaci né condivise, nei casi in cui i «raggruppamenti di parrocchie» (le Zone pastorali) prevedano ancora l’esistenza di parrocchie «in forza», con parroco e risorse sufficienti per autogestirsi.

Altra questione molto dibattuta è stata la natura soltanto «consultiva» degli attuali organismi di partecipazione (quelli attualmente previsti e normati per consigliare il vescovo e il parroco). Si avverte qui una strettoia in ordine a una piena corresponsabilità, immaginando si debba andare verso organismi con potere decisionale (deliberativi). Per muoversi in questa direzione, servirà chiarire a un più alto livello quali sono i ruoli e le procedure (con opportune modifiche alla normativa canonica attuale perché la scelta valga per tutti e ovunque).

Per valorizzare gli organismi di partecipazione appare necessario che i membri siano formati in ordine alla gestione di processi deliberativi ecclesiali, abbiano maturato un senso ecclesiale adeguato (consapevolezza del loro servizio), siano opportunamente selezionati (bilanciando i criteri di elettività e rappresentatività degli ambiti di vita delle comunità).

Si domanda un migliore collegamento tra l’attività del CPD e dei CPP. Richiesta che tocca un altro tema sollevato da più parti: la necessità di una adeguata informazione sul lavoro dei Consigli pastorali per una esigenza di «doverosa trasparenza davanti a tutta la comunità». I CPP dovrebbero rendere conto dei temi che trattano e delle decisioni che assumono e in ordine a queste fare successivamente verifica. Si esprime questa esigenza soprattutto per il CPD.

Un’attenzione degna di nota ha riscosso la scheda 15 («Responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne»), che ha visto impegnarsi nel confronto un certo numero di gruppi parrocchiali e soprattutto l’Assemblea generale delle Aggregazioni laicali.

Si è registrato un consenso unanime su tutte le «scelte operative» presentate dalla scheda. La maggioranza dei partecipanti è tuttavia convenuta su una costatazione: la concreta realtà della nostra Chiesa rispetto al tema della responsabilità ecclesiale delle donne appare molto più ricca e vivace di quanto immaginato nella scheda e anche le «prassi sinodali» già esistenti appaiono più variegate di quelle esemplificate. Il linguaggio della scheda e la visione di fondo della stessa sono risultati, a larga maggioranza, inadeguati, troppo «addomesticati» e superficiali, incapaci di esprimere ciò che nella realtà si sta già muovendo. È stata inoltre rilevata come «mancanza grave» l’assenza di riferimenti concreti al Codice di diritto canonico che, a dispetto di quanto si afferma in alcuni punti della scheda, ostacola formalmente l’attuazione concreta di un’autentica parità e corresponsabilità delle donne nelle istanze ecclesiali di governo e di responsabilità.

Si segnala anche qui l’ambivalenza tra organismi di partecipazione «consultivi» (quelli attualmente previsti dal CIC) e la necessità di prevedere luoghi «deliberativi» affinché la corresponsabilità possa considerarsi effettiva. La proposta (a) parla di «luoghi decisionali» elencando però istanze che sono ancora soltanto consultive. Questa ambiguità di fondo va affrontata e risolta in ordine alla corresponsabilità delle donne (e dei laici in generale).

Si segnala, infine, il grande desiderio di condivisione e di dialogo emerso su questo tema, accompagnato da aspettative molto alte: non si devono lasciare cadere queste riflessioni a livello locale, dove anzi ci si attende un loro convinto rilancio nel prossimo anno pastorale. Si chiede per questo di valorizzare, sostenere e mettere in rete prassi di autentica corresponsabilità ecclesiale già esistenti nella nostra Diocesi (tra realtà religiose, aggregazioni laicali e realtà parrocchiali).

Rispetto alla scheda 17 emerge un certo consenso rispetto alla necessità di predisporre un inventario dei beni della parrocchia, di una rendicontazione trasparente dell’uso degli stessi e delle scelte e di una programmazione che tenga conto del fatto che i beni temporali sono un mezzo per la missione e non un fine. Per un simile compito si ritiene che siano da coinvolgere professionalità e competenze che non si possono assicurare soltanto attraverso il volontariato.

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