1. «Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del
Dio vivente, alla Gerusalemme celeste». Carissimi, fin dall’inizio
ciò che per il popolo dell’antica alleanza era Sion, la città di
Dio cioè ed il Santuario della sua presenza, è per il popolo
della nuova alleanza la Chiesa. Non solo, ma il testo santo appena proclamato
ci fa comprendere una duplice trasformazione di questa visione. Da una parte
questa città santa è diventata il Corpo vivente di Cristo, e
dall’altra in essa l’uomo – in forza del sangue di Cristo – diventa
partecipe di una santità che trasforma ontologicamente la nostra persona,
così da divenire noi stessi il tempio nel quale entra la Gloria di Dio.
Fin dall’inizio, la Chiesa apparve agli occhi dei fedeli la santa «adunanza
festosa», nella quale in una «eucarestia» che unisce la lode
umana alla lode «dei primogeniti inscritti nei cieli», viene celebrata
la grandezza del Padre.
In uno dei primi scritti non biblici, S. Clemente papa esprime in modo mirabile
questa «beata pacis visio»: «miriadi e miriadi stavano intorno
a Lui e mille migliaia lo servivano e gridavano: santo, santo, santo il Signore Sabaoth,
tutta la creazione è piena della sua gloria. E noi, riuniti nella concordia
e dall’intimo come da una sola bocca, gridiamo con insistenza verso di
Lui che ci renda partecipi delle sue grandi e gloriose promesse» [Lettera
ai Corinzi XXXIV, 6-7; in I Padri Apostolici, CN ed., Roma 1989,
pag. 71-72].
Questa visione del mistero della Chiesa non è la fuga in un imprecisato “mondo
spirituale”. è mistero che in tutto il suo splendore prende
corpo in senso letterale nelle nostre comunità . Il santo padre infatti
aggiunge: «Si conservi dunque nella sua integrità il corpo
che noi formiamo in Cristo Gesù e ciascuno di sottometta al suo prossimo,
secondo la grazia in cui fu posto. Il forte si prenda cura del debole, e il
debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero benedica Dio
per avergli dato chi supplisce alle sue indigenze» [XXXVIII, 1-2; ibid.
pag. 74] .
Noi stiamo vivendo questo avvenimento mirabile narrato dalla Scrittura. Ci
siamo accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla
Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, ma soprattutto «al Mediatore della
Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente
di quella di Abele». Quel sangue di cui – come amava dire Caterina – la
Chiesa è «bottiga».
2. «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio
di Abramo»; «la gloria del Signore entrò nel tempio
per la porta che guarda ad Oriente». Qui si parla dello stesso ingresso.
La gloria di Dio entra nel tempio che ne era stato privato quando la salvezza
donata gratuitamente al pubblicano ridona all’uomo la figliazione di
Abramo. Tutti infatti avevamo peccato ed eravamo privi della gloria di Dio,
ma siamo giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della
redenzione realizzata da Cristo Gesù [cfr. Rom 3,23-24]. La giustificazione
per pura grazia fa rientrare nell’umanità la gloria di Dio, e
nasce la Chiesa “immaculata ex maculatis”. La casa di Zaccheo diventa
il tempio della gloria di Dio ed accade quanto S. Clemente aveva detto circa
il corpo di Cristo [«il ricco soccorra il povero»]: «ecco,
Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri».
Carissimi è dentro a questo contesto che scopriamo il senso e la verità del
ministero apostolico di cui oggi celebriamo il suo simbolo più forte:
la cathedra episcopalis.
Ci facciamo aiutare ancora una volta da un Padre della Chiesa, S. Agostino. è il
commento ad un testo del Cantico che recita: «Aprimi, sorella mia, mia
amica …» «Mi sono tolta la veste, come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi, come ancora sporcarli?» [5,2-3]. Nella sua meditazione,
Agostino vede nell’amato che bussa alla porta Cristo stesso e nell’amata
la Chiesa, cioè le persone unite a Cristo nella fede e nell’amore.
Ma come ci si può sporcare i piedi andando incontro a Cristo? La risposta
ci tocca profondamente. Chi non vuole aprire è chi si dedica alla pura
contemplazione del Signore, chiuso nella sua solitudine. Proprio allora Cristo
bussa e dice: «tu riposi e la porta è chiusa dinanzi a me, tu
godi della quiete riservata a pochi mentre, per il moltiplicarsi dell’iniquità ,
la carità di molti si raffredda… Aperi mihi, praedica me.
Come potrò entrare in coloro che mi hanno chiuso la porta, se non c’è chi
mi apre? e come potranno udire, se non c’è chi predica?» [Comm.
al Vangelo di Giov. 57,4; NBA XXIV, pag. 1091]. Siamo chiamati ad andare
ed annunciare Cristo, anche e soprattutto a coloro ai quali non si arriva per
nessuna strada se non per quella sporca del mondo. Anche a coloro che come
Zaccheo sono saliti sull’albero della Chiesa ma senza porvi il loro nido,
la loro dimora.
La cathedra episcopalis che oggi celebriamo non indica né connota
un “ministero seduto”, ma un ministero che possiede la forza «per
ottenere l’obbedienza alla fede» [Rom 1,5], dal momento che non
ci dobbiamo vergognare del Vangelo «poiché è potenza di
Dio per la salvezza di chiunque crede» [16].
Ecco, carissimi fratelli. Partiamo da questo giorno tanto solenne rapiti dalla
bellezza della nuova Gerusalemme presente ed operante nella nostra Chiesa,
e perciò decisi a “sporcarci i piedi” lungo le strade del
mondo, alla ricerca dell’uomo perché non sia più privo
della gloria di Dio.
