Non avendo potuto celebrare con voi la solennità della dedicazione
della nostra Cattedrale l’anno scorso, ho voluto nel corrente anno interrompere
la consuetudine di invitare un fratello nell’episcopato per vivere con
voi interamente questo grande momento di gioia e di comunione. Dall’anno
prossimo, a Dio piacendo, riprenderemo la tradizione.
La celebrazione odierna è giorno favorevole per approfondire la nostra
coscienza della Chiesa, e questi pensieri che intendo sottoporre alla vostra
meditazione non vogliono essere altro che un piccolo aiuto per questo approfondimento.
A modo di premessa parto da una domanda: che cosa accade in un battezzato,
in un sacerdote quando prende coscienza di essere, di vivere nella Chiesa? Rispondo
molto semplicemente: incontra veramente, realmente la persona vivente di Cristo
ed in Cristo i fratelli nella fede. Questo è l’avvenimento che
accade quando prendo coscienza di essere, di vivere nella Chiesa. La Chiesa
diventa esistenzialmente il luogo nel quale la “pretesa”, con cui
l’annuncio evangelico si presenta all’uomo, trova la sua possibilità concreta.
Esso infatti afferma che Dio è apparso nel tempo nella persona di Cristo,
e che l’uomo si salva per l’eternità incontrando Lui.
Questa coincidenza che ho posto fra «essere-vivere nella Chiesa» ed «incontrare
Cristo ed in Cristo i fratelli», descrive l’intero contenuto della
nostra coscienza di Chiesa.
è quando vivo questa esperienza, quando vivo questa coincidenza divento
capace dello sguardo adeguato sulla Chiesa: la guardo nel modo giusto.
Per capire la Pietà di Michelangelo una domanda sul suo peso non è adeguata: è inutile;
ugualmente la domanda sulla composizione chimica del marmo di cui fatta. Queste
domande non sono adeguate perché sono generiche: il peso e la
composizione chimica sono di tutti i pezzi di marmo. Ora di fronte ad
una scultura di Michelangelo ciò che stupisce non è ciò che
essa ha in comune con ogni pezzo di marmo [peso e composizione chimica], ma
ciò che ha di assolutamente unico: incorporare ed esprimere un
evento spirituale, l’ispirazione artistica.
Per avere un’intelligenza adeguata della Chiesa e quindi per conoscere
l’intima verità , non si deve considerarne il “generico”:
ciò che la accomuna, nel bene e nel male, con altre comunità umane.
La Chiesa infatti si presenta esibendo all’uomo una singolarità unica,
che ovviamente l’uomo può accettare o rifiutare, ma che chiede
di essere riconosciuta per ciò che è.
Quando noi viviamo questa esperienza, quando ci sentiamo dentro a questa singolarità unica,
siamo salvi.
La giornata di oggi è un dono di grazia che il Signore ci offre perché viviamo
più consapevolmente la realtà della Chiesa.
1. Il primo “luogo” in cui la vita nella Chiesa coincide con l’incontro
con Cristo ed in Cristo coi fratelli è la liturgia eucaristica.
Non è questo il luogo di fare lezioni di teologia sulla celebrazione
eucaristica – non ne sarei neppure capace – dal momento che vogliamo
piuttosto vivere questo momento celebrativo in un’atmosfera di preghiera.
Desideriamo percepire con l’occhio semplice della fede tutta la forza
creativa e formativa della liturgia eucaristica.
Il prefazio della IV Preghiera eucaristica dice: «Tu solo sei buono e
fonte della vita, e hai dato origine all’universo, per effondere il tuo
amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della tua luce». è la
narrazione dell’atto creativo di Dio, che è sostanzialmente un’effusione
di amore, nel senso che la decisione di rendere partecipi del suo essere altri
da sé trova la sua spiegazione solo nella gratuità dell’amore.
Per questa ragione l’atto creativo fa sorgere un interlocutore della
Parola d’amore consapevole e libero. Il testo liturgico continua infatti
nel modo seguente: «Schiere innumerevoli di angeli stanno davanti a te
per servirti, contemplano la gloria del tuo volto, e giorno e notte cantano
la tua lode». La prima inter-locuzione avviene fra Dio e le persone create
puri spiriti: essi stanno davanti a Lui per compiere nell’istante permanente
dell’eternità il servizio, la liturgia celeste.
Ma questa persone create non sono né le uniche né le principali
interlocutrici della Parola di Dio. è l’uomo il cardine di tutta
la creazione, il vero interlocutore di Dio. Il testo liturgico infatti conclude
dicendo: «Insieme con loro anche noi, fatti voce di ogni creatura, esaltanti
cantiamo». Notate bene: «fatti voce di ogni creatura». è l’uomo
che è destinato ad assumere in sé tutto il creato, se è vero,
come insegna Rom 8, che il mondo creato condivide il destino della persona
umana, nella corruzione della morte come nell’incorruttibilità della
vita. L’uomo «ha pertanto una identità dialogale che realizza
nella misura in cui è “rivolto”, è “proteso” al
suo Creatore. L’effusione d’amore che dal cuore della Trinità Dio
riversa sul creato, la Parola rivolta, aspetta una risposta che è la lode
e la celebrazione della grandezza del suo Nome, cioè della sua Presenza» [T.
Spidlik – M. Rupnik, Teologia pastorale. A partire dalla bellezza,
LIPA ed., Roma 2005, pag. 402].
Come è noto a voi tutti, la lettera agli Ebrei applica il Sal 8, 5-7
(LXX) a Cristo stesso, ed alla sua opera salvifica-sacerdotale [cfr. Eb 2,5-9]. è Cristo
nella sua umiliazione e glorificazione il vero uomo profeticamente indicato
dal Salmo, ed è nel suo mistero pasquale che il destino essenzialmente
liturgico dell’uomo si realizza. Pertanto, soprattutto quello scritto
neotestamentario lo rivela, la liturgia cristiana è Gesù Cristo: è la
sua morte e risurrezione ed ascensione al cielo, dove Egli è sempre
vivo ad intercedere per noi.
E la nostra liturgia? «La liturgia cristiana nel senso paolino è questa
stessa realtà , Gesù Cristo in noi… e consiste nel vivere
la sua vita, come egli ci ha mostrato, morendo al peccato per risorgere a vita
nuova in lui» [R.F. Taft, Oltre l’Oriente e l’occidente. Per
una tradizione liturgica viva, LIPA ed., Roma 1999, pag. 262]. La liturgia
eucaristica poi è il momento privilegiato di questa nostra identificazione
con Cristo; è il luogo della suprema rivelazione dell’incontro
in Cristo di Dio coll’uomo e della risposta dell’uomo al dono di
Dio. è il momento in cui in piena verità l’uomo “fatto
voce di ogni creatura”, ritorna al Signore che lo ha destinato all’incontro
con Lui.
Non voglio procedere oltre, rimettendomi alla vostra riflessione e preghiera
personale. Mi piace ritornare al nostro punto di partenza, che costituisce
la ragione del nostro incontro odierno.
è la celebrazione eucaristica che genera la nostra coscienza di Chiesa
perché semplicemente genera il nostro essere Chiesa. E pertanto
la consistenza della nostra soggettività ecclesiale è misurata
dall’oggettività della celebrazione. è questo un punto
centrale nella nostra esistenza sacerdotale.
Vi dicevo che quando prendiamo coscienza del nostro essere Chiesa avviene l’incontro
con Cristo; che l’incontro con Cristo è il contenuto completo
del nostro essere Chiesa; che questo è vero in grado eminente nella
liturgia eucaristica. Ora vorrei suggerirvi semplicemente alcuni itinerari
di riflessione per entrare nei vari significati di queste affermazioni.
Il nostro essere Chiesa non è un «mettersi assieme», ma è una «con-vocazione» che
ha la sua origine nella gratuita decisione del Padre di con-vocarci in Cristo
mediante il dono dello Spirito Santo. Questo primato della grazia deve
essere custodito gelosamente nella nostra coscienza, è chiaramente manifestato
nelle nostre celebrazioni.
C’è un’altra dimensione dell’esperienza della Chiesa
che oggi chiediamo al Signore di vivere con forza e che ci è svelata
in modo eminente dalla liturgia eucaristica. Pensiamo alla preghiera di presentazione
dei doni del pane e del vino. In essa mettiamo a disposizione del Signore il “frutto
della terra e del lavoro dell’uomo” e lo stesso frutto ci viene
restituito come “pane di vita eterna” e come “bevanda di
salvezza”. è la stessa realtà che “viene dal basso” e
che ci ritorna “donata dall’alto” intimamente trasformata. è il
punto in cui emerge – culme? – la redenzione della creazione.
L’evento redentivo non passa accanto o sopra la realtà creata;
non le è estraneo. La creazione non è irrimediabilmente perduta.
In quel punto essa è salvata e trasfigurata, nelle due dimensioni che
la costituiscono: la materia e la cultura – lavoro umano. «Tramite
il simbolo liturgico … ci è posto davanti ciò che
deve avvenire in pienezza, il nostro uomo nuovo definitamente separato dal
suo uomo di carne, la nuova creazione, la comunione perfetta di Dio tutto in
tutti» [T. Spidlik – M. Rupnik, Teologia pastorale … cit.,
pag. 409].
2. Vorrei ora riflettere sulla celebrazione che stiamo vivendo e sul suo significato
da un altro punto di vista; vorrei riflettere su un’altra dimensione
della nostra coscienza di Chiesa. è la dimensione mariana.
Non si tratta di opzioni devozionistiche. La Lumen Gentium insegna il
legame profondo fra il mistero della Chiesa, corpo mistico del Cristo, e Maria,
e quindi «il Santo Concilio, mentre espone la Chiesa, nella quale il
divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare attentamente … la
funzione [munus] della beata Vergine nel mistero del Verbo incarnato e del
corpo mistico» [54].
Nella riflessione breve che intendo sottoporre alla vostra meditazione e preghiera,
mi riferisco soprattutto al suo essere «quasi a Spiritu Sancto plasmatam
novamque creaturam formatam» [56]. In questa prospettiva, il legame che
unisce Maria a Cristo e alla Chiesa acquista la forma dell’archetipo
ecclesiale, della “forma ecclesiae”.
Pensiamo all’esperienza di Abramo, di Mosè: i due grandi momenti
fondativi del popolo di Dio. Essi sono stati “plasmati” dalla decisione
del Signore. Ireneo parla dell’uomo come argilla plasmata dal Signore.
Il momento fondativo – come dice un testo liturgico – della
Chiesa nel grembo di Maria è costituito dal punto di vista mariano dal
suo consenso. è ancora il Conc. Vaticano II che ci dona un profondo
insegnamento: «Maria, acconsentendo con tutto l’animo senza che
alcun peccato la trattenesse, alla volontà divina di salvezza, consacrò totalmente
se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio
suo, servendo al mistero della redenzione in dipendenza da lui e con
la grazia di Dio onnipotente» [56]. Orbene – continua l’insegnamento
del Concilio – « Deipara est Ecclesiae typus». Noi sappiamo che
il termine “typus” nel vocabolario cristiano ha un significato
non riducibile semplicemente a “modello da imitare”.
Ciò che è avvenuto in Maria accade nella Chiesa; ciò che
accade nella Chiesa accade in ogni discepolo del Signore. La Chiesa ha una “forma
marialis”; ogni autentico discepolo ha una “forma marialis”.
E ciò nel senso che «Ecclesia in beatissima Virgine ad perfectionem
iam pertingit, qua sine macula et ruga existit» [65].
Ella in questo senso è arche-tipo. Senza questa dimensione mariana il
nostro discepolato non è vero perché sarebbe sostanzialmente
non completa la nostra vita nella Chiesa.
Tutto questo prende corpo in modo eminente, ancora una volta, quando celebriamo
l’Eucarestia.
In tutte le preghiere eucaristiche noi compiamo un atto di offerta sacrificale: «offriamo
alla tua maestà divina … la vittima pura, santa ed immacolata» [Can.
romano]; «ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio
vivo e santo» [Pa. Euc. III]; «ti offriamo il suo corpo e il suo
sangue, sacrificio a te gradito, per la salvezza del mondo» [Pr. Euc.
IV]. Quale è il vero significato di quel «offriamo»? non è qualcosa,
ma Qualcuno ciò che è offerto. Come è possibile
offrire una persona? Solo se essa acconsente ad essere offerta. Cristo acconsente
ad essere offerto da noi? Egli si è già offerto una volta per
sempre con un’oblazione eterna. Ed allora non è possibile che
una spiegazione di quelle parole: siamo noi che acconsentiamo all’offerta
che Cristo fa di Se stesso. Offriamo perché entriamo per così dire
dentro all’atto di Cristo; ne diventiamo consapevolmente e pienamente
partecipi. Ma quale è la figura di questa partecipazione? Come possiamo
pensarla?
Cristo ci coinvolge nella sua azione; ci lasciamo co-involgere nella sua azione
ed immettere dentro alla sua donazione; ci lasciamo accordare con l’atto
umano che unicamente vale di fronte a Dio: l’atto con cui il Verbo offre
il suo Corpo ed il suo Sangue. Come può accadere tutto questo?
In tutte le preghiere eucaristiche l’offerimus è sempre
accompagnato dall’invocazione allo Spirito Santo. Lo stesso Spirito che
ha spinto Cristo al dono di sé, spinge noi, spinge la Chiesa a lasciarsi
co-in-volgere nel dono sacrificale di Cristo. L’offerimus si può intendere
e realizzare solo come opera dello Spirito Santo. Cristo e la Chiesa diventano
una sola carne nell’Eucarestia, pur restando due: Cristo – sposo è Colui
che agisce e la Chiesa-sposa è colei che viene fecondata.
Tutto questo però – è una delle grandi lezioni della Lumen
gentium – è vero solo se l’elemento centrale e finale
dell’ecclesiologia è la mariologia. «Poiché tutto
quel che s’è detto aveva sempre un presupposto segreto: che nella
realtà da qualche parte esiste il “sì” perfetto dell’Ekklesia,
l’accordo e il consenso perfettamente amante col sacrificio dello Sposo.
La dizione patristica personam Ecclesiale gerens, in persona Ecclesiae,
esprime una specie di rappresentanza, che tuttavia è realmente valida
solo quando il ruolo giocato (la persona) rappresenti adeguatamente
la soggettività della Chiesa sposa» [H.U. von Balthasar, Spiritus
Creator, Morcelliana, Brescia 1972, pag. 203]. Ora questo avviene in Maria «a
Spiritu Sancto plasmata».
Ora penso risulti meno oscuro che cosa significa che la forma ecclesiale è la
forma mariana e che quindi non è possibile essere, vivere nel mistero
della Chiesa senza aver impressa in sé questa forma mariana.
Non mi soffermo a mostrare che cosa questo significa per la nostra esistenza
quotidiana, l’essere stati cioè coinvolti, immessi dentro all’atto
con cui Cristo redime l’uomo. Mi limito solo ad una riflessione che reputo
di straordinaria importanza e che in sintesi enuncio nel modo seguente: il
mistico congiungimento dei “due in una sola carne” quale si ha
nell’offerimus del canone è l’origine vera della
missione.
è ciò che Teresa del Bambin Gesù ha capito quando ha compreso
quale era il cuore che teneva in vita ogni ministero nella Chiesa. Se
il nostro ministero non è continuamente irrorato da questo cuore, diventa
secco e muore.
3. Sono già così entrato nel terzo ed ultimo punto della mia
riflessione; sul quale voglio attirare ora la vostra attenzione orante perché questa
sia giornata di grazia, giornata in cui il nostro sensus Ecclesiae si
approfondisce. E lo faccio «cum timore et tremore». Capirete la
ragione.
è la dedicazione della Cattedrale che noi celebriamo. In un certo senso è la
solennità della cattedra del Vescovo. è la solennità in
cui celebrando la cattedra, celebriamo l’evento mirabile e misterioso
della successione apostolica: il fatto della presenza dell’apostolo [e
dei suoi necessari cooperatori]. Non c’è esperienza di Chiesa
senza la profonda intelligenza ed accoglienza della successione apostolica.
Vorrei che meditassimo un poco su questo punto che in un certo senso è il
contesto oggettivo dei due punti precedenti, e la sua radice e fondamento.
La mia riflessione parte dal punto precedente. Paolo definisce l’apostolo
come servizio a Cristo, l’apostolo come servo di Cristo. Il titolo
istituisce una relazione, così che l’esistenza dell’apostolo è un’esistenza
relazionata a, e relativa a Cristo. Proprio per questo, l’apostolo è relazionato
alla Chiesa. è la stessa relazione; non la somma di due. Essere riferito
a Cristo significa porsi dentro al Suo [di Cristo] essere riferito, al
suo servizio della Chiesa. Proprio perché appartengo a Cristo e sono
il servo di Cristo appartengo all’uomo e sono il servo dell’uomo
perché questi, ogni uomo diventi “membro di Cristo”. è a
causa di questo che il ministero apostolico pone in una condizione ontologica
ed esistenziale che non ha paragone con altre funzioni pubbliche. A me sembra
che questo sia il significato profondo della verità di fede che afferma
il carattere episcopale e presbiterale. è il segno di un’appartenenza,
frutto di una presa di possesso da parte di Cristo, in forza della quale il servo diventa minister,
causa efficiente strumentale capace di donare nei santi segni e nella predicazione
del Vangelo ciò che di per sé e da per sé non sarebbe
mai stato in grado di dare. Egli dona lo Spirito Santo, celebra l’Eucarestia,
annuncia la parola di Dio. In una parola: fa essere la Chiesa. è la “voce” che
fa risuonare la “Parola”, come ha lungamente meditato Agostino
[cfr. Sermone 293,1-3]. è adempimento non di un’impresa carismatica
personale, ma di un mandato autorizzato, legittimato e delegato all’apostolo
da Dio stesso, perché Cristo sia oggi presente e riporti l’uomo
alla sua dignità originaria [cfr. Rom 15,16]. «Pietro col suo
ordinamento è istituzione che deriva dal Figlio, e perciò rappresentanza
virile del Figlio e della sua autorità nella Chiesa» [H.U.
von Balthasar, Spiritus … cit. pag. 206-207].
Si noti bene: nella Chiesa. Cioè: Pietro deve amare Gesù più di
ogni altro; è lui che deve consentire che Cristo gli lavi i piedi. Pietro
deve dimorare in Maria ed essere mariano più di ogni altro. Così come
nessuno più di Maria è sub Petro; è sub apostolo.
Scindere la Chiesa apostolica dalla Chiesa del carisma è porsi completamente
fuori strada.
è in questo contesto che si capisce la natura teologica dell’obbedienza.
Essa è completamente diversa dalla obbedienza propria del diritto pubblico
umano. Non è – come questa – obbedienza ad un’autorità formale,
ma all’apostolo che a sua volta è obbediente a Cristo. Essa è la
via attraverso la quale il vecchio Adamo disintegrato viene ricomposto in unità .
Conclusione
Oggi noi celebriamo il metodo che Dio ha seguito nell’opera
della nostra salvezza.
Questo metodo divino ̬ stato stupendamente descritto da V. SolovՑv nel
modo seguente: «La Chiesa, fondata da Cristo, Dio-uomo, ha anche una
composizione divino-umana … La Chiesa è santa e divina perché è santificata
dal sangue di Gesù Cristo e dai doni dello Spirito Santo; ciò che
direttamente procede da questo principio che santifica la Chiesa è divino,
puro ed immutabile; invece le opere degli uomini di Chiesa, compiute secondo
il carattere umano, benché fatte per la Chiesa, hanno qualcosa di molto
relativo e, lungi dall’essere qualcosa di perfetto, solo sono in via
di perfezionamento. Questo il lato umano della Chiesa. Ma dietro
il torrente mutevole ed ondeggiante dell’umanità ecclesiale si
trova e si costituisce la Chiesa stessa di Dio, la sorgente infinita della
grazia divina, ininterrotta azione dello Spirito Santo che dà all’umanità la
vera vita in Cristo e in Dio. Quest’azione di grazia divina è sempre
esistita nel mondo; ma dall’incarnazione di Cristo ha assunto una forma visibile
e tangibile … così che, nonostante non tutto nella Chiesa visibile
sia divino, tuttavia il divino in essa è già visibile» [I
fondamenti spirituali della vita, ed. LIPA, Roma 1998, pag. 106-107]. Perché la
Chiesa? Perché il Mistero sia visibile, tangibile, incontrabile.
Il “divino è già visibile”: questa visibilità è ciò che
fa pregustare a noi ancora pellegrini sulla terra il gaudio della patria eterna.
