Inizio molto semplicemente spiegando i due termini che compongono il titolo
di questa conferenza. Saranno due premesse necessarie prima di entrare in
medias res.
01. Inizio a spiegare cosa intendo per “senso morale”. Esiste
un senso che mi fa distinguere i sapori: è il senso del gusto; esiste
un senso che mi fa distinguere i colori: è il senso della vista. E così via.
Esiste un «senso morale» che mi fa distinguere …? Cercherò in
questa prima premessa di rispondere a questa domanda, e lo faccio partendo
da un esempio.
Se ci trovassimo di fronte alla Pietà di Michelangelo in S. Pietro ed
uno ci chiedesse: che cosa è? Noi potremmo dare due risposte. è un “pezzo
di marmo”: è una risposta vera. Se facessimo un’analisi
chimica risulterebbe che è un pezzo di marmo. è una “bellissima
opera d’arte”: è un risposta vera. Le due riposte divergono
poiché la seconda afferma la presenza in quel pezzo di marmo di un valore
estetico, di una bellezza artistica che lo configura e lo trasfigura in modo
tale da rendere quel pezzo di marmo assolutamente unico: dotato di una preziosità unica.
C’è un’altra osservazione da fare, assai importante. La
prima risposta non è falsa, ma essa denota quella realtà di fronte
alla quale mi trovo solo nel suo puro esserci, nella sua semplice fatticità .
La seconda la denota nel suo valore e nella sua preziosità . La prima è una
risposta descrittiva; la seconda è una risposta valutativa. Insomma,
questo esempio ci fa cogliere una distinzione assai importante per la nostra
riflessione: la distinzione fra essere e valore, Fra ciò che è e il
valore di ciò che è.
Una persona può essere incapace di cogliere il valore artistico della
Pietà di Michelangelo. Diremmo che manca di senso estetico: è incapace
di discernere ciò che è artisticamente bello da ciò che è brutto
o comunque privo di valore artistico.
Ora chiediamoci: le azioni umane, più precisamente le scelte libere che
noi compiamo hanno un valore loro proprio? Loro proprio significa: tutte e solo le
scelte libere posseggono questo valore.
Riflettiamo sulla nostra esperienza quotidiana. Pensiamo alla scelta compiuta
da p. Massimiliano Kolbe di sostituirsi ad un condannato innocente e di prendere
il suo posto nel forno crematorio. Pensiamo ad uno che ha commesso un grave
delitto e vede condannato un innocente al suo posto senza che egli confessi.
Confrontiamo le due scelte. Noi scorgiamo una differenza essenziale fra
esse, ben più profonda della differenza fra un pezzo di marmo e la Pietà di
Michelangelo. Nella scelta di p. Kolbe noi scorgiamo una grandezza, una bontà ,
una bellezza che la rende degna di un rispetto e di una venerazione assoluti.
Nella seconda scelta noi scorgiamo una pusillanimità , una malizia, una
bruttura che suscita in noi come una specie di repulsione.
Questo esempio ci ha fatto capire una verità assai importante: le nostre
scelte possono avere in sé una valore che non è riducibile al
valore del piacere, dell’utilità , della forza fisica. è un
valore che possiamo trovare solo in esse: nessuno dice che un cane ha compiuto
una scelta giusta o ingiusta. è un valore che troviamo in ogni scelta
libera non solo umana: anche nel Signore noi diciamo che agisce con bontà e
misericordia. è un valore di cui solamente la persona è responsabile:
nessuno ritiene la persona responsabile di non sapere scrivere poesie, mentre
la ritiene responsabile di un atto di furto. è un valore che è necessario
possedere: nessuno condanna una persona perché non sa scrivere poesie,
ma se commette un furto.
Il senso che mi fa distinguere i colori è il senso della vista; il senso
che mi fa distinguere un’opera [musicale, poetica…] bella da un’opera
brutta è il senso estetico; il senso che mi fa distinguere un’azione
buona da un’azione cattiva è il senso morale. è il senso
morale che mi fa discernere se in una possibile scelta che sto per compiere è presente
il valore morale di cui ho parlato.
Vorrei ora fare una precisazione che però non è così facile
da comprendere, ma è troppo importante per essere tralasciata. Parto
ancora da un esempio. Come noi sappiamo ciò che fa distinguere i colori è la
luce: al buio nessun occhio per quanto sano distingue i colori. Possiamo
dunque dire che l’occhio vede la luce e nella luce i colori. Non sono
due atti visivi separati: vedo nello stesso tempo luce e colori.
Avviene così anche nella nostra vita spirituale [è questo il
passaggio difficile]. Ciò che ci fa distinguere un scelta giusta e buona
da una scelta ingiusta e cattiva è l’intelligenza, è la
visione che ho del bene come tale e quindi per contrario del male. La luce
non è colorata; se lo fosse non vedrei più i colori. La visione
spirituale di cui parlavo fa vedere il bene, non questo bene, il
bene come tale. Quindi in questa visione ed a causa di questa visione
quando devo prendere una decisione, so se è buona o cattiva.
Questa visione spirituale è una capacità naturale della nostra
ragione. Essa è fatta in modo tale da sapere che cosa è il bene
e che cosa il male. Questa naturale capacità della nostra ragione è il
senso morale.
Siamo arrivati
alla fine della prima premessa. Ci eravamo chiesti che cosa è il senso
morale. Risposta: è la naturale capacità della nostra ragione
di discernere la bontà / il valore morale dalla malizia/ dal disvalore
morale.
è quella “luce” nella quale e mediante la quale la persona
può discernere le azioni buone dalle azioni cattive.
02. Ora spiego brevemente il primo termine: «educazione». è più facile
in prima battuta il concetto di educazione. è quel processo mediante
il quale una persona – l’educatore – guida un’altra
persona – l’educando – alla piena maturazione della sua umanità e
delle sue capacità . Parlare dunque, come inizieremo a fare subito, dell’educazione
del senso morale significa portare a perfezione la naturale capacità della
ragione dell’educando di discernere il bene dal male. Se l’educazione
morale riesce ho generato una persona – come si dice – di grande “finezza
morale”: una persona che si sente profondamente attratta da tutto ciò che è buono,
giusto, nobile; e profondamente respinta da tutto ciò che è cattivo,
ingiusto, ignobile.
Noi ora dobbiamo fare alcune riflessioni su questo mirabile e difficile processo
educativo.
1. Partiamo da una constatazione assai importante. Avviene nella educazione
del senso morale quello che avviene in medicina quando ci ammaliamo. Le medicine
che noi assumiamo aiutano la natura, aiutano le funzioni naturali. Il ricupero
della salute quindi è opera sia della natura sia delle medicine.
Ogni persona umana possiede come in seme il senso morale, e quindi la capacità di
discernere ciò che è bene da ciò che è male. Tuttavia
il seme ha bisogno di essere … irrigato; il terreno in cui è piantato
ha bisogno di essere coltivato. In una parola: il senso morale ha bisogno di
essere educato.
Questa osservazione è di importanza decisiva per evitare due errori
fatali: l’errore dello spontaneismo; l’errore dell’autoritarismo.
Un processo educativo autentico è quello che sa muoversi fra questi
due scogli. Ritorneremo su questo punto.
2. C’è un momento in cui il senso morale, la capacità di
vedere il bene, comincia a funzionare? Un momento in cui, per così dire,
la luce si accende?
Questo momento esiste e costituisce uno dei più grandi avvenimenti che
accadono nel nostro universo. Ciascuno di noi arriva in questo mondo come un
estraneo in una regione completamente sconosciuta. L’estraneo in queste
condizioni si fa subito due domande: dove sono arrivato? L’ambiente in
cui mi trovo mi è favorevole o nasconde pericoli?
Ogni persona che giunge in questo mondo si fa queste due domande fondamentali:
che cosa è questo universo in cui sono arrivato? è la domanda di
verità . L’altra domanda è: questo universo in cui mi
trovo è buono o è ostile? E’ la domanda circa il bene.
Ci fermiamo a considerare la seconda.
Il bambino trova la sua risposta all’interno del rapporto interpersonale
in cui entra dal momento del suo concepimento ed ancora più della sua
nascita, quello coi suoi genitori. Un grande poeta latino rivolgendosi al bambino
appena nato gli dice: «incipe, parve puer, risu cognoscere matrem».
Fra le molte persone che lo circondano egli ne riconosce “una fra tutte” dal
modo cioè con cui gli sorride, cioè dal modo con cui lo accoglie. è l’esperienza
vissuta, non ancora pensata, di essere il ben-venuto che dona alla nuova persona
la possibilità di percepire la bontà del suo esserci, o meglio
di percepire che il suo esserci è buono, dotato di un valore che gli
altri gli riconoscono. Ricordate l’esempio della luce e dell’occhio. è l’occhio
che ha la capacità visiva, ma se non è illuminato dalla luce
non può esercitarla. è la ragione dell’uomo che ha la capacità di
percepire il bene, ma è la luce dell’accoglienza che la mette
in esercizio.
è questa luce che deve accompagnare poi il bambino nella sua infanzia,
lungo le varie tappe della sua vita, fino alla maturazione. Detto in altri
termini. è all’interno di una relazione di amore che la persona
da educare percepisce il bene: non solo sa di esserci, ma anche vede il bene,
il valore che è intrinseco al suo esserci.
3. è precisamente a questo punto che entra in gioco decisivo l’opera
dell’educatore: decisivo, perché è a questo punto che si
immunizza o non la persona dall’insidia esiziale del relativismo morale.
Quell’originaria esperienza di cui parlavo nel punto precedente è “ambigua”:
il bambino può intendere il bene come ciò che è “bene
per me” e non giungere mai a vedere il “bene in sé”.
Perché l’intendimento, il senso morale prenda la seconda via è necessaria
l’educazione morale: lo «essere ben guidati nei costumi»,
come scrive Aristotele. Sia chi non è stato educato, sia chi è stato
educato male, rischia di non essere in grado di cogliere il bene in sé,
ciò che è bene per se stesso, ma solo ciò che è utile
o piacevole. «L’educazione, allora, è necessaria come via
maestra per arrivare alla verità , anche se poi ciascuno ha gli strumenti
per percorrerla. Funziona da bussola non da mezzo di trasporto. Il viaggio è a
carico dell’interessato» [P. Premoli De Marchi, Etica
dell’assenso, Franco Angeli, Milano 2002, pag. 261].
L’educazione
del senso morale opera nei confronti dell’educando a due livelli strettamente
correlati. E ciò a causa della natura propria della verità pratica.
Partiamo da un’esperienza umana molto semplice. Esistono due tipi di
conoscenze e quindi di verità conosciute. Ci sono conoscenze tese a
verità che conosciute non hanno nessuna rilevanza in ordine all’esercizio
della nostra libertà . Un solo esempio: sul pianeta Marte esiste/non
esiste qualche forma di vita? Sia la risposta affermativa che negativa non
ha nessuna rilevanza sull’esercizio della mia libertà , sull’assetto
fondamentale della mia vita. Le chiameremo “verità puramente formali”.
Ci sono però conoscenza tese a verità che conosciute hanno una
grande, perfino decisiva rilevanza circa l’esercizio della nostra libertà .
Un solo esempio: esiste/non esiste una vita dopo la morte? L’assetto
che uno dà alla vita cambia a seconda che risponde negativamente o affermativamente
a questa domanda. Chiameremo queste verità “verità formali-esistenziali”.
Le verità morali, le verità circa ciò che è bene/male
appartengono a questa seconda categoria.
Chiediamoci ora se la trasmissione della conoscenza delle verità formali
a chi le ignora ha la stessa natura e logica della trasmissione delle verità formali-esistenziali
e quindi delle verità morali.
Se facciamo un po’ di attenzione alla nostra vita spirituale, vediamo
che si tratta di due modi diversi. Partiamo da un esempio.
Se comperate una lavatrice vi danno il libretto delle istruzioni di uso. Di
fronte a queste istruzioni, una persona normale non muove obiezioni. Le ritiene
vere: dona cioè il proprio assenso. Ma queste istruzioni diventano
guida per l’uso che faccio della lavatrice, solo se effettivamente metto
in movimento la macchina perché devo lavare. Questo atto della volontà che
trasforma le istruzioni in guida effettiva del mio agire è il consenso.
Provate a riflettere con attenzione su questo esempio.
è molto più “facile” dare l’assenso che il
consenso: assentire che consentire. Infatti il consenso presuppone certo l’assenso,
ma anche che io abbia un “interesse”. Il consenso pertanto è molto
più esposto alle influenze extra-razionali a causa del coinvolgimento
pratico della persona.
Le verità “formali-esistenziali” in genere, ed in particolare
le verità morali sono precisamente quelle verità che chiedono
di diventare princìpi normativi della libertà della persona:
chiedono non solo il nostro assenso, ma anche il nostro consenso.
In sintesi. Educo la persona nel suo senso morale istruendolo nella
verità circa il bene e motivandolo a consentire alla verità trasmessa
mediante la testimonianza della vita. è attraverso la coniugazione simultanea
di istruzione-motivazione-testimonianza che il senso morale viene educato.
Vi mostro la necessità di tutti quei momenti da due episodi evangelici:
il dialogo fra Gesù e gli apostoli dopo la moltiplicazione dei pani
[cfr. Gv 6,67-70] e l’incontro di Gesù col giovane ricco [cfr.
cfr. Mc 10,17-22]. Pietro ha visto in Cristo l’unica possibilità concreta
di esistenza vera, eterna; il giovane ha confrontato la possibilità prospettata
ed incarnata in Cristo e la possibilità reale offertagli dalle
ricchezze. Il primo ha consentito a Cristo; il secondo ha consentito alle ricchezze.
La forza attrattiva della verità si realizza pienamente grazia al fascino
che emana da coloro che vivono conformemente ad essa e ne fanno vedere la bellezza,
come tutti i grandi maestri dello spirito hanno insegnato.
4. Ma non voglio tacere sopra una verità drammatica: la persona umana
può rifiutarsi alla verità e può scegliere le tenebre
piuttosto che la luce.
Quattro sono soprattutto le cause principali che possono impedire, bloccare
l’assenso ed il consenso alle verità morali. La prima è costituita
dal fatto che la “forma mentis” di chi ascolta, il “paradigma
interpretativo” di cui fa uso nel suo approccio alla realtà , è contrario,
non solo diverso, a quanto l’educatore trasmette. Si pensi alla influenza
negativa che sul giovane possono esercitare certi mezzi di comunicazione. La
seconda è costituita dalla “tentazione di alleggerire il
carico”. Non volendo vivere come la verità sul bene chiede, si
finisce col ridurre la verità alla misura del nostro vivere. La
terza è costituita dall’orgoglio che impedisce di ammettere
che la vita finora vissuta è sbagliata. La quarta è dovuta
a quella sorta di torpore intellettuale che può giungere fino alla cecità interiore
che impedisce di andare oltre al piacere e all’utile (Tommaso dice che
questo è normalmente conseguenza del disordine in ambito sessuale) [cfr. J.
Finnis, Gli assoluti morali, ARES ed., Milano 1999, tutto il cap.
primo].
Conclusione
Sono sempre più convinto della bellezza, della grandezza dell’opera
educativa così come della sua drammatica urgenza. è solo con
un forte impegno educativo che si ricostruisce la vita buona di cui oggi la
società civile ha un così urgente bisogno. è la più profonda
esigenza dell’uomo: è ad essa che risponde l’educatore del
senso morale.
