festività di san Giacomo

Bologna, Cattedrale

L’apostolo Giacomo è un santo caro al popolo bolognese, che fin dall’antichità ha dedicato al suo nome numerosissime chiese. Soprattutto è caro a quanti lo riconoscono come loro particolare patrono.
Ma è importante che nella coscienza dei fedeli il suo non resti solo un nome, sia pure amato e venerato. Dobbiamo perciò tentare di accostarci alla sua personalità e conoscere la sua vicenda umana, facendo tesoro delle sparse notizie che su di lui ci offre il Libro di Dio.

La sua famiglia – in società con quella di Simone e di Andrea – aveva una piccola azienda di pesca sul mare di Tiberiade. E proprio mentre è intento al suo lavoro viene chiamato alla sequela ravvicinata del Signore. Lui e suo fratello Giovanni ascoltano l’invito del Maestro mentre stanno riassettando le reti; ed essi – ci dice il vangelo di Marco – “lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono” (Mc 1,20).

Ma se gli fu facile staccarsi dal padre, non gli fu altrettanto facile staccarsi dalla madre. La troviamo infatti tra le donne che “avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo” (Mt 27,55). Anzi, secondo il primo vangelo, “la madre dei figli di Zebedeo” è spettatrice della morte del Signore, in quel Venerdì Santo che ci ha redenti.
Con Pietro e Giovanni, anche Giacomo è ammesso a una particolare intimità col Figlio di Dio ed è testimone di alcuni momenti privilegiati della sua vita pubblica.

Assiste alla risurrezione della figlia di Giairo, capo della sinagoga (cf Lc 8,51), contempla lo splendore del Signore trasfigurato, è vicino al Salvatore durante la prova tremenda dell’agonia del Getsemani.
A tutti e tre però tanto la visione della gloria quanto lo spettacolo della sofferenza fanno un effetto curioso: non riescono a rimanere svegli. Sul Tabor “erano oppressi dal sonno” (Lc 9,32) e nel giardino degli ulivi “dormivano per la tristezza” (Lc 22,45).
Volevano sinceramente bene a Gesù, ma il suo mistero era troppo più alto della loro capacità di attenzione. Il Signore li ha sempre voluti lo stesso accanto a sè; e dunque la loro scarsa attitudine a concentrarsi può essere di conforto a quelli che si scoprono spesso distratti nelle celebrazioni liturgiche e nei momenti di preghiera.

Giacomo, come del resto il fratello, aveva un carattere impetuoso, portato a spazientirsi e a invocare con facilità i castighi di Dio; tanto che tutti e due erano stati soprannominati “boanerghès”, cioè “figli del tuono”.
“Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54), domandano irosi e indignati per l’ostilità di un villaggio samaritano verso la loro predicazione. Ma Gesù non apprezza questo tipo di zelo e corregge con severità i due fratelli (cf Lc 9,55).

Eppure questi “figli del tuono”, questi giovanotti irruenti, hanno bisogno di farsi accompagnare dalla mamma quando vogliono avanzare le loro ardite richieste: “gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo Regno” (Mt 20,20–21).
E così ci insegnano che nell’enigma del cuore umano possono coesistere i sentimenti più disparati, e non c’è molta distanza tra la spavalderia e la timidità, la prepotenza e la debolezza, il coraggio di programmi ambiziosi e la pusillanimità delle concrete esecuzioni.

Giacomo aveva chiesto, con una buona dose di temerarietà e di incoscienza, di essere al primo posto nel Regno di Dio (cf Mc 10,37). Ed è stato accontentato dall’umorismo imprevedibile del Signore: è il primo degli apostoli a essere ucciso per il Vangelo. E’ il suo più grande titolo di gloria, e ci viene più volte richiamato anche in questa liturgia.
Nella sua non lunga esistenza non ha potuto compiere troppe imprese. Non ha avuto tempo di fare molti discorsi come Pietro, nè di scrivere molte lettere come Paolo; non ha avuto tempo di vedere la Chiesa largamente diffusa fuori dalla Palestina, come il suo più giovane fratello.
Ha trovato però il tempo di versare il suo sangue per Cristo, vittima dell’odio dei suoi connazionali e di un re vanitoso e crudele.

Così ha ottenuto, in un modo che certo non avrebbe mai immaginato, il primato che ardentemente desiderava.
Non ha avuto il primato dell’autorità come Pietro, nè quella dell’acuta penetrazione del messaggio divino come Paolo, nè quello della vita più lunga spesa al servizio dell’amore come Giovanni.
Il suo primato è stato quello di battere tutti gli apostoli sull’ultimo traguardo. È riuscito a bere per primo al calice del Signore, come Gesù gli aveva promesso.
In fondo, il suo è stato il primato del fare sul dire e del sacrificarsi sul fare. È stato il primato nell’adeguarsi senza esitazioni e senza riserve alla volontà sorprendente di Dio.
Aveva chiesto di essere il primo, e anche di lui si può dire, con le parole della lettera agli Ebrei: “Fu esaudito per la sua pietà” (cf Eb 5,7). L’intercessione di San Giacomo ci aiuti tutti a metterci su questa difficile strada.

25/07/1998
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