giubileo degli studenti e docenti delle scuole medie superiori

Bologna, Cattedrale

Tra pochi giorni è Natale. Bella scoperta, potrà pensare qualcuno. Eppure bisogna proprio che, nel mondo interiore di ciascuno di noi, questa ritorni a essere davvero una “scoperta”, una incredibile “novità”, un’esperienza che ci segni dentro e ci cambi.

Si tratta in fondo di riscattare il fatto centrale della storia (da cui tutti contano gli anni) dall’immensa banalizzazione che troppo spesso lo nasconde alla nostra attenzione; si tratta di riconquistare la “verità” di una memoria imparagonabile, oltre i pensieri dei regali da ricevere e da fare, oltre l’attesa dei pranzi insoliti, oltre le figure giulive dei Babbi Natali che incontriamo per la strada; si tratta di ritrovare la realtà fondamentale e perennemente viva dell’Unigenito eterno di Dio che “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”.

Ci può aiutare e stimolare in questa operazione di ricupero l’occasione straordinaria (cui tra breve ci sarà dato partecipare) del compimento dei duemila anni, da che il Signore Gesù è vivo e presente in mezzo a noi. E sarà un modo davvero sostanziale ed efficace di celebrare il Giubileo.

Chi va in chiesa solo la notte di Natale, non si può certo definire un cristiano esemplare. Però, se sta attento, in quella notte riceve un messaggio che è la sintesi di tutto ciò che all’uomo importa sapere: “Vi è nato un salvatore” (Lc 2,11), sentirà proclamare. E’ la grande notizia che a Betlemme il cielo ha regalato alla terra.

Di Gesù la cosa più elementare che bisogna sapere è appunto che egli è il Salvatore. Questa è in lui una prerogativa costitutiva e intrinseca: il suo stesso nome significa “il Signore salva”.

Dal segreto dell’eterna vita divina il Creatore ha pensato a lui, al figlio di Maria, come a uno che può e vuole salvare tutti; e ha dunque ha pensato anche a me come a qualcuno che, se non si opporrà, sarà infallibilmente salvato da lui. Nessuna paura dunque e nessun avvilimento – deve dirsi ciascuno di noi – può togliermi più la speranza.

Certo gli uomini sono sempre tentati di convincersi che possono salvarsi da soli. Nell’Ottocento c’era chi era persuaso che a salvare l’uomo fosse sufficiente insegnargli la teoria copernicana, il darwinismo e il sistema metrico decimale. Poi ci fu chi predicò che bastasse l’attesa del “sol dell’avvenire”: il “sole”, cioè, di una società senza classi e senza ingiustizie. Adesso non c’è più nessuno che crede a queste cose, se non qualche vecchio nostalgico e qualche giovane disinformato.

Oggi ci sono però alcuni che indicano altre piccole strade di salvezza: per esempio, quella del “salutismo”, cioè del culto ossessivo della salute fisica (e così essi si impongono sacrifici continui e osservano diete ascetiche ferree, che li costringono a vivere da malati in modo da arrivare a morire da sani); oppure enfatizzano e mitizzano le pratiche sessuali (e così riducono l’amore a una specie di ginnastica senza significato intrinseco e senza finalità); oppure si spendono totalmente e si perdono in un’arte informatica sempre più sofisticata (e così in tempo reale riescono a sapere tutto, tranne ciò che davvero vale per dare senso all’esistere).

Sono “salvezze”, per così dire, “laicistiche” che si dissolvono appena uno si incoccia con le inevitabili e dure prove della vita.

La salvezza autentica e non illusoria sta altrove: sta appunto nel Festeggiato di questo Duemila. L’apostolo Pietro lo ricordava con chiarezza agli abitanti di Gerusalemme: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possano essere salvati ” (At 4,12).

Il Figlio di Dio nato a Betlemme, crocifisso per noi e risorto, non è quindi “un” salvatore: è “il” Salvatore, unico e necessario per tutti. Questo è un punto un po’ annebbiato nella cultura anche religiosa dei nostri giorni: molti cristiani, dal giusto apprezzamento di alcuni valori presenti nel mondo extraecclesiale ed extracristiano, deducono indebitamente che ci sia una pluralità di strade che possano redimerci e condurci a Dio.

Ma Dio non è di questo parere, e il suo è il parere che conta. Egli non ha pensato di mandare a morire in croce il suo unico Figlio perché fosse un “redentore facoltativo”: quasi un “optional” nel multiforme meccanismo del riscatto del mondo. Il disegno divino di salvezza non è schizofrenico: tutto è unificato in Cristo, perché lui solo è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), come Gesù stesso ha tranquillamente affermato di sé. E per maggior chiarezza ha soggiunto: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (ib.).

Dobbiamo allora pensare che chi non è esplicitamente cristiano per ciò stesso sia destinato ad andare perduto? Certamente no. La parola di Dio su questo punto è inequivocabile: Dio – sta scritto – “vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Nessuno quindi si perde, se non perché liberamente e colpevolmente chiude gli occhi alla luce che viene da Cristo, liberamente e colpevolmente chiude il cuore alla sua grazia.

Difatti con l’effusione del suo Spirito che non ha confini – non dobbiamo mai dimenticarlo – Gesù è in grado di illuminare e di santificare ogni coscienza, anche quelle di coloro che ignorano il suo nome e la sua azione salvifica.

In che maniera riesca a raggiungerli, lui solo lo sa. A noi tocca invece darci da fare perché egli sia conosciuto e amato esplicitamente da tutti i figli di Adamo, così che in numero sempre più grande essi arrivino alla fortuna di una comunione anche cosciente e personale con il loro Salvatore.

Gesù Cristo è uno che non si può schivare. Presto o tardi ci si imbatte in lui. E quando lo si incontra, dopo non si è più come prima, anche se magari si è fatto finta di non vederlo e ci si è messi a guardare da un’altra parte per non incrociare i suoi occhi.

Perché egli è veramente, realmente, fisicamente vivo; ci aspetta e chiede che ci si decida: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11,23), egli ci ha detto senza tanti complimenti.

Arrendersi a lui: ecco la proposta del Giubileo, la grazia della “conversione”; ecco la scelta che vi è offerta in quest’ora singolare e benedetta.

Anche Saulo di Tarso cercava di sfuggirli, e anzi gli era nemico. Ma quando l’ha incontrato e fu gettato a terra da lui sulla strada di Damasco, ha trovato la parola giusta: “Che cosa devo fare, Signore?” (At 22,10).

Arrendetevi oggi anche voi, ragazzi, al Signore della storia e dei cuori; arrendetevi a lui, che oggi ha voluto chiamarvi a questo eccezionale appuntamento, e troverete la via per rendere la vostra unica esistenza ricca di senso, di motivazione, di gioia.

Ciascuno di voi gli chieda con animo aperto: che cosa devo fare della mia unica vita? E restate in ascolto di quello lui, il solo Maestro che non delude mai, immancabilmente vi dirà.

21/12/2000
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