giubileo della vita consacrata

Bologna, Cattedrale

Sempre atteso e caro arriva a me questo incontro con quanti vivono, entro la nostra Chiesa, la generosità di una speciale consacrazione. E’ un incontro che, secondo la nostra consuetudine, felicemente si colloca in un giorno ancora illuminato dagli ultimi riverberi della serena e lieta chiarità natalizia, ma già segnato dal presagio del dramma e dello splendore della Pasqua.

Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio abbiamo contemplato una giovane madre gioiosa e fiera di offrire il suo figlio primogenito al Dio d’Israele, ma insieme abbiamo ascoltato il preannuncio del grande strazio che le sarà riservato: “A te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Nella vicenda di Maria troviamo riassunta l’intera storia della salvezza ed è esemplarmente raffigurata ogni nostra esistenza di donazione al Signore; esistenza che è sempre intessuta di consolazioni ineffabili e di prove penose.

Oggi però il nostro abituale appuntamento ha una valenza singolare: possiede, per così dire, un supplemento di luce e di grazia, poiché si iscrive nella grande esperienza ecclesiale del Giubileo.

Che cosa chiede ai cristiani – e dunque in modo speciale a noi – questo Anno Santo del Duemila? Ci chiede un impegno accresciuto di conversione, un impegno di rinnovamento non fittizio, un impegno di adesione totale a Gesù, Signore dell’universo e dei cuori.

“Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). E’ la prima parola della predicazione del Redentore: da essa deve partire ogni vita cristiana. E non è un atteggiamento soltanto iniziale: ispira, guida, arricchisce l’intero pellegrinaggio terreno.

Perciò la realtà battesimale – il sacramento fondamentale della conversione, da cui poi nasce e fiorisce ogni consacrazione – marchia indelebilmente e adorna per sempre il nostro mondo interiore.

Siamo tutti chiamati quest’anno con straordinaria urgenza prima di tutto alla conversione del cuore; un’impresa che non può mai dirsi compiuta, dal momento che si tratta di adeguarsi alla trascendenza del Regno cui dobbiamo partecipare. Il che vuol dire riconoscere e detestare fattivamente quanto in noi c’è ancora di non perfettamente coerente con il Regno di Dio, la nostra vera patria che si è avvicinata e si è fatta imminente.

A questo fine, sarà importante riscoprire e riscattare da una ripetitività convenzionale e spenta il sacramento della riconciliazione: potremo così trovare in questo continuo regalo della divina misericordia l’aiuto decisivo a superare gli immancabili momenti di stanchezza spirituale, di apatìa, quasi di rassegnazione a non elevarci.

Essere cristiani poi vuol dire essenzialmente “camminare in novità di vita” (Rm 6,4), come dice l’apostolo Paolo.

Ma sul rinnovamento bisogna intendersi bene. Non ogni mutazione, non ogni comportamento insolito, non ogni arbitrarietà è autentico rinnovamento.

Non lo sono le alterazioni nella struttura della Chiesa voluta dal Signore; non lo sono i cedimenti alle opinioni mondane quando esse non hanno niente di evangelico; non lo sono gli sconti fatti sull’osservanza dei comandamenti di Dio, che non vanno mai in prescrizione. Tutto ciò è piuttosto indulgere alla vecchiezza mondana di sempre.

Bisogna altresì prendere decisamente le distanze da quegli innovatori che ritengono di poter modificare le parole e gli atti tassativamente stabiliti dalle norme ecclesiali per le celebrazioni liturgiche, pur se ci sia la buona intenzione di rendere il nostro culto e la nostra preghiera più accettabile e comprensibile alla sensibilità odierna e al linguaggio attuale. Nessuno di noi deve ritenersi in questo campo più illuminato ed esperto della Chiesa.

Il rinnovamento, più che i gesti e le cose, deve riguardare l’intima realtà del nostro spirito, come ci viene con chiarezza insegnato ancora una volta da san Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).

Solo dal Signore Gesù possiamo attingere l’energia e il modello concreto per rinnovarci. Egli è l’unico uomo autenticamente nuovo e rinnovatore che è comparso sulla terra. In lui c’è l’eterna giovinezza di Dio; lontano da lui tutto invecchia e perisce.

Ma il frutto più saporoso del Giubileo sarà la riconquistata totalità di adesione a colui che è “il più bello tra i figli dell’uomo” (cf Sal 45,3). La nostra piena consapevolezza, l’intera nostra potenza affettiva, tutte le fibre del nostro essere vanno chiamate in causa e coinvolte in questa avventura d’amore, che renderà indimenticabile la grande festa bimillenaria dell’Unigenito eterno del Padre che è divenuto il Primogenito tra molti fratelli, e ha affascinato i nostri cuori e la nostra vita.

Il Signore ci doni in questo Anno Santo l’indomabile speranza di Simeone: egli non si è lasciato disanimare né dai divini ritardi, che sembravano eludere continuamente le sue appassionate implorazioni, né dall’indifferenza e dalla sfiducia di tutti coloro che gli stavano attorno.

Ci doni la fedeltà concreta di Anna, che “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2,37).

Soprattutto ci doni l’anima colma d’amore della Vergine Maria. Anche lei, come spesso càpita anche a noi, probabilmente non ha inteso subito nella sua pienezza, dalle parole profetiche di Simeone, la sorte che le veniva riservata entro il disegno della redenzione umana.

Ma ella amava, e nell’amore trovava una gioia inalienabile e suprema: quella di unirsi strettamente al Figlio suo nel compiere senza riserve l’ineffabile e difficile volontà del Padre.

02/02/2000
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