Il tema sul quale intendo riflettere con voi questa sera è il seguente:
a chi appartiene in primo luogo l’educazione della persona umana? Dicendo «in
primo luogo» intendo dire a chi il diritto-dovere di educare appartiene
originalmente, cioè non per delega-concessione di altri, e primariamente,
cioè in modo tale che altri eventuali soggetti che intervengono sul
processo educativo, lo possono e devono farlo solo in aiuto e in subordine.
Spiegata la domanda nel senso suddetto, la tradizione cristiana ha risposto
nel modo seguente: «Avendo dato la vita ai loro figli, i genitori hanno
l’originario, primario e inalienabile diritto di educarli; essi devono
perciò essere riconosciuti come i primi e principali educatori dei loro
figli»[Carta dei diritti della famiglia art. 5; in Enchiridion della
Famiglia (d’ora in poi EF) 1499]. Ho detto “tradizione cristiana”.
Trattasi infatti di una convinzione largamente condivisa all’interno
anche di chi non professa più in modo esplicito la fede cristiana.
Se quest’affermazione è ragionevole, e vedremo che è tale,
sono tuttavia innegabili alcuni fatti che richiamo assai brevemente. Lo Stato
attraverso soprattutto la scuola è entrato sempre più pervasivamente
dentro alla gestione dell’educazione della persona. Le leggi anzi dello
Stato si sono orientate sempre più verso una scolarizzazione pressoché completa
del tempo, della giornata del bambino/adolescente/giovane. Ci sono poi libere
associazioni che con diverse modalità intervengono nel processo educativo.
Esistono inoltre altri luoghi nei quali si produce il consenso delle persone
specialmente quelle più deboli, a valori [o sedicenti tali]. Da questa
situazione può derivare nelle famiglie e nella coscienza dei singoli
la convinzione che «l’originario, primario e inalienabile diritto» di
educare sia destinato a restare solo sulla carta, e quindi cominci a formarsi
una sorta di rassegnazione al ruolo di fatto secondario della famiglia nel
campo educativo.
La riflessione di questa sera vuole in primo luogo offrire un orientamento
dentro ad una situazione obiettivamente complessa e difficile: un orientamento
in primo luogo sul piano del pensare ed anche sul piano dell’agire. E
per dare un certo ordine alla mia riflessione, la dividerò nelle parti
seguenti. Nella prima cercherò di chiarire perché i genitori
hanno «l’originario, primario ed inalienabile diritto» di
educare i propri figli; nella seconda cercherò di mostrare come questo
diritto debba e possa essere oggi custodito e promosso.
La famiglia come primo soggetto educativo.
La riflessione cristiana, e non solo, ha sempre connesso l’affermazione
del diritto dei genitori ad educare al dono della vita che da loro ha avuto
origine. L’intuizione è profonda: il dono della vita in forza
del quale i due sposi diventano padre e madre, non si riduce ad un fatto
biologico puramente. Radicate nella biologia, la paternità -maternità la
superano poiché il dono della vita significa porre una persona nella
realtà : generare una persona.
Che cosa significa «generare una persona»? una risposta completa
e motivata a questa domanda presuppone che noi conosciamo la verità sulla
persona, termine del processo generativo. C’è una formulazione
molto ricca di significato e profonda scritta da S. Paolo: «figliolini
miei, che io continuo a partorite fino a quando Cristo sia formato in voi».
L’apostolo parla di un parto che continua fino a quando la persona ha
raggiunto la sua perfetta maturazione. L’atto di concepire e partorire
una persona umana è solo il momento di inizio di un processo che non
finisce fino a quando l’umanità della persona abbia raggiunto
la sua completezza [si leggano le pagine profonde di Giovanni Paolo II in Gratissimum
sane, Lettera alle Famiglie; EF 929-935].
Questa connessione inscindibile fra il dono della vita e l’educazione
della persona è il punto di convergenza di un sistema coordinato di
affermazioni che nel loro insieme esprimono una profonda visione della persona
umana, del matrimonio e della famiglia. Le voglio brevemente richiamare.
Nella già citata Carta dei diritti della famiglia si dice: «Il
matrimonio è l’istituzione naturale alla quale è affidata
in maniera esclusiva la missione di trasmettere la vita» [cfr. EF 1494C].
Perché il matrimonio, anzi più precisamente l’amore coniugale
in forza del quale i due sposi diventano «una sola carne», è l’unica
culla degna di generare una nuova persona umana? Perché solo questa
modalità di venire all’esistenza pone la persona umana dentro
ad un’appartenenza che le impedisce di sentirsi uno spaesato e uno sradicato
nella regione dell’essere. Il legame biologico è il simbolo reale, è il
segno che realizza una relazione per cui la nuova persona umana non è sola
nella vita: appartiene a qualcuno. Non vi è gettata da non si sa chi,
e subito abbandonata. Ma è l’appartenenza non di «qualcosa» a
qualcuno: oggetto di un desiderio soddisfatto. E’ l’appartenenza
di «qualcuno» [di una persona!] a qualcuno. Ora esiste un solo
modo vero di appartenersi fra le persone: l’amore che si dona. Il figlio
appartiene ai genitori come dono che va accolto nella sua dignità di
persona.
Abbiamo purtroppo oggi una contro-prova di ciò che accade all’uomo
quando viene a mancargli l’esperienza di questa appartenenza originaria:
l’uomo è come se soffrisse il mal di mare in terra ferma. «Una
delle metafore che traducono meglio la condizione dell’uomo contemporaneo è senz’altro
lo sradicamento. L’uomo sradicato, o peggio, privo di radici, non ha
più letteralmente un ubi consistam, un fondamento, una base
morale. Dentro si sé il vuoto di senso, fuori il deserto. Non gli resta,
allora, che incamminarsi. Sapendo però che nessuna stella polare indicherà più la
via. Né illuminerà più la meta. Un cammino assurdo: alla via
recta della tradizione si è sostituito il circolo vizioso. Ulisse
senza Itaca, navigante senza approdo: questo è l’uomo che l’arte,
la letteratura e la filosofia contemporanea ci hanno consegnato» [M.
Stolfi, Kafka, Straniero in cammino, in F. Kafka, Lameta e la via, BUR, Milano
2000, pag. 5]. Non a caso ogni ideologia, da Platone a Marx, che abbia pensato
di dover ricostruire ex integro l’uomo ha negato l’originaria appartenenza
dell’uomo alla famiglia.
La descrizione dell’uomo fatta sopra è esattamente la descrizione
dell’uomo al quale sia stata negata una vera e propria educazione. L’educazione è introdurre
l’uomo nella realtà ; indicare la «mappa della realtà »,
i suoi sentieri e i suoi pericoli, e soprattutto la meta dove siamo indirizzati:
l’uomo non si sente più spaesato.
Proviamo a pensare ad un soggetto originario dell’educazione diverso
dalla famiglie. In forza di che cosa? O meglio, in ragione di che cosa esso
avrebbe originario potere educativo? Inevitabilmente si introdurrebbe all’origine
della vita spirituale della persona non un rapporto di appartenenza, ma di
dipendenza istituita dal potere. Oppure si accetterebbe la vacua commedia della
vita umana come un vuoto nomadismo senza meta.
La questione che stiamo affrontando, come vedete, è decisiva per il
destino della persona umana.
Famiglie ed altri soggetti educativi
Vorrei ora, per così dire, uscire dalla considerazione della famiglie
in se stessa e prenderla in esame nei suoi rapporti con altri soggetti educativi.
Non voglio esporre questa sera la teoria dei rapporti, ma piuttosto limitarmi
ad alcune considerazioni che orientino piuttosto le nostre scelte dentro a
questa problematica di non facile soluzione.
La prima considerazione è che dalla famiglia come soggetto educativo
dipende l’esistenza stessa della società civile in cui viviamo
in quanto società che vuole configurarsi «democraticamente».
Intendo qui «democraticamente» come l’insieme di quei valori
di libertà della persona, di pluralismo, di salvaguardia dei diritti
fondamentali della persona che caratterizzano le nostre società occidentali.
Queste società sono oggi entrate in una crisi assai profonda dovuta
alla pressoché totale assenza di qualsiasi tessuto connettivo, di qualsiasi
vincolo interiore che costituisca una vera comunità . La regolamentazione
sempre più pervasiva cui siamo sottoposti, indica al contempo e la situazione
di crisi e la via sbagliata di risolverla. La libertà dell’individuo
ridotta ad essere pura neutralità [«scelgo x, ma avrebbe lo stesso
senso se io scegliessi il contrario di x»] non è più capace
di costruire alcun rapporto vero. Ora in un contesto di totale anomia di valori è più che
mai necessaria l’esperienza della vita familiare come luogo in cui si
vivono quei valori di cui la società civile ha urgente bisogno: l’amore,
la fedeltà , il reciproco rispetto, la responsabilità , per esempio.
Da questa considerazione deriva una conseguenza assai importante. La rilevanza
sociale della famiglia diventa sempre più decisiva proprio nel momento
in cui è meno riconosciuta: è il luogo in cui si prepara il futuro
della società civile, se ne avrà uno.
La seconda considerazione è che le famiglie devono diventare come tali
soggetti di azione nei confronti di chi interviene nel processo educativo.
Mi limito ad indicarvi due ambiti di questo intervento.
Il primo è costituito dall’ambito scolastico. La legge sull’autonomia
offre spazio di intervento precisamente nella proposta educativa; l’associazionismo
dei genitori deve quindi essere promosso.
Il secondo è costituito dall’ambito più propriamente amministrativo-politico.
Bisogna prendere coscienza che è in atto una vera e propria strategia,
a veri livelli istituzionali, di distruzione dell’istituzione matrimoniale
e della famiglia, e che pertanto è attorno alla famiglie e alla difesa
della vita che si svolge oggi la battaglia fondamentale per la dignità della
persona umana. Mi limito ad alcuni accenni.
Esistono già tutte le premesse culturali, e non solo, per introdurre
la legittimazione dell’eutanasia, portando così a termine la negazione
del diritto alla vita che compete ad ogni persona umana innocente.
L’attribuzione, chiesta oggi da alcuni e già introdotta in alcune
legislazioni europee, del valore di «matrimonio» a tipi di unioni
diverse dall’unione stabile fra un uomo e duna donna o degli stessi diritti
e vantaggi sociali di coloro che sono sposati anche ad altre modalità di
convivenze, contribuisce ad indebolire la stima dell’istituzione matrimoniale
e quindi della famiglia.
La grave crisi economica colpisce durante la famiglia e forse sta creando
un nuovo proletariato, quello delle famiglie che hanno perso o stanno perdendo
la loro autonomia, dovendo dipendere sempre più dallo Stato per quanto
riguarda i servizi (scuola e sanità ). Si è cioè capovolto
il principio della sussidiarietà : anziché essere lo Stato ad
aiutare le famiglie a svolgere i loro servizi fondamentali, fra i quali quello
educativo, è la famiglia che deve sopperire spesso alle disfunzioni
dello Stato nei servizi sociali da esso svolti. Viene sempre più negata
una vera e propria «autonomia» della famiglia, e la sua precedenza
nei confronti dello Stato, già affermata anche da Aristotele [cfr. Aristotele,
EN III, 12,18].
In una situazione come questa, è necessario che le famiglie si associno.
La coordinazione giusta fra la famiglie e gli altri soggetti educativi dipende
in larga misura da questo impegno culturale e civile delle famiglie stesse.
Conclusione
Vi dicevo, all’inizio, che la famiglia oggi può essere insidiata
dal pericolo di sentirsi inevitabilmente sconfitta di fronte ad un’organizzazione
antifamiglia, dotata di poteri di ogni genere. E’ l’insidia più grave,
soprattutto quando affrontiamo il tema dell’educazione, perché porta
ad una resa incondizionata di fronte all’anti-umanesimo insito in quell’organizzazione
culturale.
Ci si immunizza contro questa resa attraverso la consapevolezza sempre più profonda
che la fedeltà al compito semplice e quotidiano proprio della famiglia è in
realtà la forza invincibile di un servizio alla verità dell’uomo.
