Quando ci troviamo – e siamo sempre tutti impreparati – di fronte al limite della vita, sentiamo la vertigine, l’abisso che questa porta con sé, la voce che si perde, lo sguardo che non riesce a vedere. Gesù nell’Orto degli ulivi provò tristezza e angoscia e anche Lui cerca, come tutti noi, la vicinanza dei suoi amici. I tre discepoli si addormentano per la stanchezza, per il peso eccessivo, per una tristezza insopportabile, senza risposta, che gravava sui loro occhi ma soprattutto sul cuore. Gesù nel nostro “orto degli ulivi” ci sarà sempre vicino, anche non richiesto. Sarà l’amico che rimane accanto alla nostra tristezza e angoscia, e che veglierà con noi. Quante domande e dubbi, davanti al limite della vita! L’enigma, incomprensibile e sconcertante, può diventare mistero se affrontato con l’amore di Gesù che illumina il buio più impenetrabile, vince la solitudine più irraggiungibile, strappa dalla morte e abbraccia con quell’affetto commovente che si chiama misericordia. Capiamo qual è la consolazione, la vera unica consolazione: Gesù con noi, Dio con noi, il Suo amore dentro di noi. Il nostro Dio, che nessuno ha visto e che Gesù ci ha rivelato, si fa pellegrino con noi. Non lo fa solo da Dio ma da uomo, perché impariamo a trovare la risposta non fuori di noi ma nella nostra vita, in quello che abbiamo dentro, e così ci aiuta a vedere le cose essenziali che, lo sappiamo, sono quelle invisibili. L’essenziale, quindi, non è fuori dalla nostra esperienza ma nel suo profondo, in quei sentimenti che non sono visibili esternamente ma che manifestano davvero le cose più importanti di noi. Altro che prestazione, esibizione, apparenza!
I due discepoli parlano fitto fitto tra loro e sono quasi infastiditi di essere disturbati da un estraneo che si inserisce nella loro conversazione. Parlano di Gesù ma non lo riconoscono. Quante volte il Signore cammina accanto a noi e non sappiamo sia Lui! Si interrogano, hanno tanti dubbi. Dicono: “Alcune donne sono venute a dirci qualcosa”. Il dubbio è l’inquietudine, quella che significa domande, incertezze, ricerche. Conoscendo Piero non è difficile pensare ad uno dei due, e ai tanti suoi amici come l’altro. Penso a Francesco, la sua amicizia più lunga. Sono complementari “nella loquacità scoppiettante di Francesco e nel controcanto smorzato e pensoso di Piero. Pensoso, aperto alla vita tanto quanto incline al dubbio, pronto alla battuta e insieme nutrito della misura e della cautela del ragionamento problematico”. Piero è capace di tanto ascolto, di raffinata sensibilità, ma anche di decisione se necessaria, come ben sa Luisa. Perché è proprio vero che la vita di ognuno è un’attesa”. “Il presente non basta a nessuno: l’occhio e il cuore sono sempre avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre le mete raggiunte con aspra fatica. In un primo momento pare che ci manchi solo qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno. E lo attendiamo”. Un grande poeta chiese al Signore di aprire occhi più grandi per contemplare la sua “immensa face e la morte mi sia un più grande nascere”.
Oggi sentiamo dolorosamente la ferita dello strappo che è la morte. E ci stringiamo a Luisa così “insieme” al “suo” Piero. «Un discepolo chiese al Baalschem: “Come avviene che uno, che è legato a Dio e sa di essergli vicino, provi talvolta un’interruzione e una lontananza?”. Il Ballaschem spiegò: “Quando un padre vuole insegnare a camminare al suo figlioletto, lo pone prima davanti a sé e gli tiene le mani vicine da ambedue i lati, perché non cada, e così il bambino avanza verso il padre tra le mani del padre. Ma quando è arrivato al padre, questi si allontana un poco e tiene le mani più discoste, e così via, perché il bambino impari a camminare”». Ecco la fatica che facciamo oggi nel vedere Piero camminare in una strada che non conosciamo. Nel buio della morte mi aiutò – ne parlai proprio con Piero – una semplice e concreta meditazione di Nouwen.
«Un giorno mentre stavo seduto con Roleigh, il capo del circo, lui disse: “Devo avere fiducia completa nel mio compagno, che mi deve afferrare al termine del mio volteggio. Il pubblico potrebbe pensare che io sia la grande stella de trapezio, ma la vera stella è il mio compagno. Lui deve essere pronto ad afferrami con precisione, e deve acchiapparmi attraverso il vuoto quando io arrivo con la mia lunga rincorsa. Il segreto è che il trapezio che volteggia non fa nulla, mentre chi fa tutto è il compagno che lo afferra. Devo semplicemente tendere le braccia e le mani ed aspettare che lui mi afferri e mi tragga al sicuro sulla piattaforma dietro la sbarra. Uno deve volare e l’altro deve afferrare ed il primo deve avere fiducia, stendendo le braccia verso il compagno che è là. Mi balenarono le parole di Gesù: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”».
Morire significa avere fiducia in chi è pronto ad accoglierci. Non cercare di afferrarlo, Lui afferrerà te. Stendi soltanto le braccia e le mani e abbi fiducia. Certo, morire non è un evento dolce e sentimentale, è una grande lotta per la resa completa della nostra vita. Questa resa non è una risposta umana, ovvia; al contrario, noi vogliamo rimanere attaccati a quanto ci rimane ed è per questa ragione che i morenti provano tanta angoscia. Come Gesù, i morenti sperimentano troppo la loro totale impotenza come reiezione e abbandono. Sovente il grido angoscioso “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” rende difficile dire: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. Tutti noi condividiamo la paura di essere lasciati soli ed abbandonati. Noi sentiamo che la nostra vita ci appartiene e che la morte non ha nessun posto nel nostro desiderio profondo di vita. Gesù non voleva morire. Non ha affrontato la morte come fosse un bene desiderabile. Non ha mai parlato della morte come fosse qualcosa da accettare gioiosamente. La morte ci rimane comunque nemica ed è anche quel che rende seria la vita, che fa germinare in essa, a dispetto di tutto, la presenza dell’infinito.
Eppure tutto cambia proprio quando tutto sembra finito. I due pellegrini scoprono l’amicizia. Quel pellegrino che si era messo a parlare con loro sembra vada più lontano e loro gli chiedono solo una cosa: “Resta con noi. Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. È preoccupazione per lui per non farlo camminare al buio, per loro perché sentono qualcosa e vogliono che resti insieme a loro. Gesù ascolta la loro preghiera. Non cercava altro. Resta. E spezza il pane. È proprio nell’amicizia che si rivela la presenza dell’altro. Anche dell’altro che è Dio. Ecco, penso Piero come un uomo che è stato di tanta intelligente e profonda amicizia, piena di garbo, rispetto, ma anche esigente perché cercava senso, risposte. Era un uomo di tanto riserbo e discrezione, inseparabile dalla moglie Luisa, pieno di delicatezza, gentilezza ed eleganza, ironia, con il garbo di chi, dotato di una sensibilità naturale e autentica, rifuggiva dall’urtare quella altrui. L’amicizia porta con sé inevitabili ricordi, nei quali rovistiamo per non perderli. Quel bambino che, nel dopoguerra a Pavana era giovane «mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo (…) io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai». L’amicizia, come sappiamo, non rende uguali, e quella vera non è tra uguali, ma ci rende complementari appunto, amici, uno si coricava quando l’altro andava a lavorare, uno artista e l’altro col posto fisso. “Esiste Dio?”». Padre Michele Casali lì riunì sotto lo stesso tetto notturno, l’Osteria delle Dame. Gli anni ormai sono tanti, eppure non è retorico dire che sembra ieri. Lo può ben dire Luisa, che era rimasta colpita dalla voce, dalla calma, dalla gentilezza di Piero. “Quei giorni spesi inseguendo la vita, come l’avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre”. “Sembrava che non dovesse finire, ma ad ogni autunno finiva l’estate. Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo e che senso ha mai questo nostro cammino di sogni fra specchi, tu che lavori quand’io vado a letto. Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire. E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi, ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male”.
Resta il grande desiderio di sempre e di tutti, quello che “l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito”. Appunto, all’infinito. Come sa bene Luisa e come ho visto nella fede di Piero, piena di domande, ma anche di fiducioso abbandono. Vale anche per lui “ricordarlo com’era, pensare che ancora vive, che ancora ci ascolta, che come allora sorride”. Perché è proprio vero che dev’esserci, lo sentiamo, “in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto”. Nell’impegno a spiegare all’altro cosa c’è di là dal confine, troviamo già adesso la risposta nell’amore, che resta nel legame che niente e nessuno può spezzare, che si lascia e si porta con sé. Per Piero quest’amore ha un volto, un nome, Gesù, che non si è vergognato di unirsi ai nostri sentimenti e di aiutarci a viverli pienamente.
“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti e il tuo grido vinse la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai; e anelo verso di te; gustai e ho fame e sete; mi toccasti ed arsi per il desiderio della tua pace”.
Oggi Piero scopre pienamente questo mistero di amore che ha cercato e trovato nella sua vita, nei riflessi di amore ricevuti e donati e che tutti si ricompongono con il Dio che ama fino alla fine perché la vita non abbia fine.
