insediamento del consiglio scientifico dell’istituto “Veritatis Splendor”

Bologna,istituto Veritatis Splendor

Ringrazio tutti i convenuti che con tanta cortesia hanno accolto il mio invito e con la loro presenza dichiarano amabilmente la propria disponibilità a entrare nel nostro gioco. Un gioco – quello dell’Istituto “Veritatis Splendor” – che si va a poco a poco configurando e determinando, e oggi compie un passo decisivo verso la piena efficacia con l’insediamento del Consiglio scientifico, cui tutti i presenti sono stati chiamati a partecipare.

La finalità precipua dell’Istituto “Veritatis Splendor” – se vogliamo dire le cose con la massima semplificazione – è quello di dare, per così dire, un arengo nuovo a un dibattito antico, quello dei rapporti tra fede e ragione. Dibattito antico, ma ancora di vibrante attualità come testimonia la recente pubblicazione dell’enciclica “Fides et ratio”.

A ben guardare però, questo problema è più del credente che del non credente.

Il non credente – non potendo assegnare alla fede una rigorosa natura conoscitiva – in fondo non si trova qui di fronte a problematicità alcuna , dal momento che ai suoi occhi viene a mancare uno degli interlocutori o, se si vuole, uno dei contendenti. Anzi, a prestar credito a qualche notizia che ci giunge dalla repubblica dei filosofi, si ha l’impressione che cominci a venir meno anche l’altro: neppure alla ragione pare che si attribuisca più da molti l’attitudine e il compito di arrivare a una conoscenza che non sia soltanto funzionale o pragmatica.

Per il credente invece, il problema fede-ragione resta acutissimo e, possiamo dire, primario. Egli, proprio in virtù di quel che gli dice la fede, non può non prendere sul serio la nativa capacità dell’uomo di ricercare e di attingere la verità. Egli sa che c’è un solo Dio, dal quale in ultima analisi tutto proviene: la natura e la salvezza soprannaturale, la Rivelazione e ogni autentica conquista del pensiero, il credere e l’analizzare criticamente. E nessuno dei doni del Padre può essere trascurato o sottostimato. Egli sa altresì che la razionalità è chiamata in causa nello stesso atto di fede; l’atto umano più complesso e più arduo da spiegare , dove interagiscono la luce dall’alto, la ragione dell’uomo e perfino la sua libera volontà. Egli sa ancora che la teologia è tanto più seria e feconda quanto più il dato rivelato viene ospitato in una corretta sollecitudine speculativa e viene gratificato da una elaborazione che, per essere sempre guidata dalla Sapienza divina, non per questo può cessare di essere razionale.

E non c’è da temere – come qualcuno in diverse epoche ha temuto – che in quest’opera si rischi il peccato dell’oste disonesto; vale a dire quello di allungare sempre più con l’acqua dei pallidi e insapori ragionamenti umani il vino spiritoso e corroborante della divina verità. Perché – come ribatte san Tommaso – coloro che “in obsequium fidei” onorano la Rivelazione divina con l’impegno delle loro capacità intellettive “non miscent aquam vino sed aquam convertunt in vinum” (in Boetium de Trinitate 2,2,5).

Il credente sa ancora che la fede non ha solo una funzione elevante, ma anche (come la grazia) una funzione sanante. Cioè, proprio l’intervento della fede può talvolta aiutare la ragione nelle sue difficoltà e nei suoi scoraggiamenti, addirittura salvarla dalle sue aporie e dal pericolo sempre incombente di finire nell’irrazionale e di rassegnarsi all’assurdo.

Il credente che pensa avverte quanto sia importante che la sua fede, senza sminuirsi nella sua identità, venga acclimatata nella temperie contemporanea, e quanto sia auspicabile che dall’incontro tra la Rivelazione e la scienza (nell’accezione più ampia del termine) possa nascere e affermarsi una vivace cultura cristiana.

Il Consiglio scientifico, che oggi insediamo, è chiamato a dare un contributo rilevante a quest’impresa.

Dobbiamo allora dire che i non credenti siano completamente estranei alla nostra attenzione? Certamente no. Ognuno di quelli che credono porta dentro il suo mondo interiore il suo piccolo miscredente, dal momento che i confini tra la fede e l’incredulità non dividono soltanto gli uomini dagli uomini, ma passano anche attraverso i cuori di tutti.

E’ come il “Fanciullino” di cui parlava Cebete dopo aver ascoltato i discorsi di Socrate sull’immortalità dell’anima; discorsi che infondo erano più persuasivi per una specie di fede che li ispirava che non per le sottili e acute argomentazioni: “O Socrate, è proprio così: noi abbiamo come paura e tu confortaci. O meglio, non noi abbiamo paura, ma è forse un fanciullino dentro di noi che ha tali timori” (Fedone, 24).

Ascoltando i non credenti esteriori, impareremo a conoscere meglio e a comprendere i dubbi e le ansietà del piccolo miscredente che alberga nel nostro intimo. E inversamente, cercando le strade per placare e persuadere il nostro fanciullino interiore, forse saremo in grado di irradiare un po’ di luce sul buio del mondo.

Un grazie a tutti e un cordiale augurio di buon lavoro.

05/07/1999
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