Il primo modo per osare la pace è non smettere di cercarla. Ciò richiede di credere, come diceva Turoldo, “che la notte passa e che tutto ha un senso, che le guerre finiscono, che la storia ha uno sbocco e che l’amore alla fine vincerà l’oblio e la vita sconfiggerà la morte”. Altrimenti si finisce per accontentarsi di non avere problemi. La pace non è un tasto che ottiene facilmente il risultato, che lo impone automaticamente, con l’illusione della rapidità, come l’idea della forza può suggerire e una speculare pigrizia digitale immagina. Il risultato sarebbe inevitabilmente rifugiarsi in quella che Papa Leone XIV ha giustamente chiamato la globalizzazione dell’impotenza: “Davanti all’ingiustizia e al dolore innocente siamo più consapevoli, ma rischiamo di stare fermi, silenziosi e tristi, vinti dalla sensazione che non ci sia niente da fare”. “Sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. Alla globalizzazione dell’indifferenza si oppone la cultura dell’incontro, alla globalizzazione dell’impotenza si oppone la cultura della riconciliazione. Oggi questa è una bellissima e grande opposizione!
Anno dopo anno – ormai sono quasi quaranta – la Comunità di Sant’Egidio non ha smesso di farle. Crede alla pace e osa la pace, insieme a tanti cercatori di pace, perché sa bene che non si vive senza, che la guerra distrugge tutto e tutti, oscura ogni umanità, e che bisogna fare crescere la pace. Per capire l’orrore delle inutili stragi e anche quanto sono inutili ci dobbiamo scontrare con essa? Le stragi sono doppiamente inutili quando non impariamo! “E per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone prima che vengano bandite per sempre? E quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia che troppa gente è morta?”. Ascoltiamo il vento e scegliamo la pace! Questo è il problema: bisogna scegliere la pace, combattere la guerra, le sue cause, tutto quello che la favorisce e la rende possibile.
Osa la pace chi sceglie di cercarla, amarla, difenderla, costruirla nelle relazioni quotidiane e nella necessaria architettura della pace che regoli i rapporti tra le Nazioni. Non sono i grandi che cercano la pace, ma gli umili! I grandi calcolano le convenienze e i loro interessi, dispongono degli altri ma non cambiano. Gli umili sanno che la pace conviene a tutti. Solo gli umili compiono cose grandi. Spero ci siano tanti umili che fanno cose grandi e anche tanti grandi che sanno scegliere la pace, perché si ricordano che sono umili. Mai più senza gli altri, mai più contro gli altri, mai più sopra gli altri! In questi mesi abbiamo visto nei nostri Paesi molte persone scendere in piazza per protestare contro la guerra. E non dimentichiamo che ogni guerra è un pezzo dell’unica Guerra Mondiale, ciò ci aiuta ad essere attenti verso tutti gli altri conflitti. Molti dicono: “Rassegnati, accettala, la guerra è una triste ma ineluttabile realtà della storia dell’uomo”. Addirittura qualcuno pensa che sia necessaria, perché purifica e genera cambiamento. Nessuno dice davvero di volerla ma molti si arrendono ad essa.
Dimentichiamo che Dio non vuole la guerra dell’uomo contro l’uomo. Dio in realtà difende solo l’uomo. Dio è consapevole dell’istinto, se non lo dominiamo, che ci domina, tanto che nel fratello vediamo un nemico, un concorrente. Dio ci aiuta sempre a trovare la fraternità e ci chiede conto di dove sta nostro fratello, perché finalmente impariamo ad esserne custodi. Lui Abele, nostro fratello, lo cerca sempre e ci aiuta a cercarlo. Dove sono i tanti Abele uccisi dalla follia della guerra? Sono un popolo infinito, di cui gli uomini non conoscono nemmeno il nome. Dio, al contrario, ricorda il nome di ognuno e ci chiede conto di Abele. Dov’è tuo fratello? Ecco perché osiamo la pace, per rispondere a Dio che Abele è qui, è con noi, lo difendiamo noi, lo accogliamo noi, lo facciamo studiare noi, perché è un pezzo di noi, è un pezzo di me!
Questo non è troppo complicato? Non riguarda persone importanti? Io che posso fare? Certo, è anche per i reggitori della terra, quelli a cui scriveva San Francesco chiedendo, imponendo, loro la pace. Tutti, nel piccolo e nel grande, possiamo fare la pace. Nel 1934, un anno dopo l’ascesa al potere di Hitler e solo cinque anni prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il pastore evangelico luterano, Dietrich Bonhoeffer, s’interrogava con profonda e consapevole inquietudine: “Chi invoca la pace, così che il mondo ascolti, sia obbligato ad ascoltare? Perché temiamo l’ululato di rabbia delle potenze mondiali? Perché non sottraiamo loro il potere e lo restituiamo a Cristo? Oggi possiamo ancora farlo. L’ora incalza: il mondo è armato fino ai denti e la diffidenza brilla terribile in ogni occhio, alle fanfare di guerra si può dar fiato domani stesso, che altro aspettiamo? Vogliamo divenire complici come mai lo siamo stati prima?
Vogliamo dire a questo mondo non una mezza parola, ma una Parola intera, una parola coraggiosa, una parola cristiana. Vogliamo pregare che ci vengano date queste parole oggi stesso; chissà se l’anno prossimo ci riuniremo ancora?”. Osiamo la pace perché ascoltiamo la dolente richiesta di aiuto che si leva dalle terre bagnate dal sangue di Abele. Lo facciamo sempre per tutti loro, ad iniziare dagli sconfinati campi profughi del Sud Sudan fino ai villaggi dimenticati del Nord del Mozambico. Tutti. Osiamo la pace perché ascoltiamo quei gemiti, il gemito di chi muore, il soffio di Abele che con l’ultima voce chiede vita e implora pace. È il gemito dei mutilati, dei feriti, degli orfani, delle vedove, di chi non sa dove piangere e se piangere il proprio caro, dei tanti che la guerra la portano nel corpo e nell’anima. Primo Levi lo disse: “La guerra non finisce mai. Chi raccoglierà le loro lacrime? Dio ha un otre dove le raccoglie tutte.
Gli uomini? Un incontro come questo ha un valore enorme, è un otre di lacrime da asciugare. Sappiamo che un incontro così disinquina l‘aria elettrica di pregiudizi e ignoranza, contrasta i produttori di odio e di armi, è un ponte per smascherare la disinformazione interessata”. Certo, ci misuriamo con quello che, come dice Andrea Riccardi, è il “tempo della forza”. E quindi inevitabilmente della violenza, ad iniziare da quella verbale, offensiva, rozza, che deve apparire risolutiva e convincente e istiga l’inimicizia e l’intolleranza. La forza distrugge e genera sempre altra forza, produce assuefazione tanto che non se può fare a meno. La forza fa credere che questa ci protegge, tanto che diventa l’unica via per risolvere il giusto problema della sicurezza. La forza costringe tutti al rialzo temibile, geometrico, pericoloso delle armi.
Sessant’anni fa Paolo VI all’ONU lanciando una visione che non ha mai perso drammatica attualità, rivolse a tutti un invito: “Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli”. Disarmiamo i cuori. Osiamo la pace per garantire la sicurezza senza le armi. Non confondiamo mai sicurezza e guerra! Che tradimento è quando questo avviene!
Le prime parole che ci ha rivolto Papa Leone XIV hanno chiarito cosa è la pace e anche come la si raggiunge: “Disarmata e disarmante”. Scegliere la pace significa disarmare il cuore da parole e gesti violenti, smaltire i semi di odio, pregiudizi, purificare la memoria, scegliere la giustizia e il perdono, perché solo se disarmati possiamo disarmare. In realtà tutti non aspettano altro, cioè di incontrare qualcuno che faccia vivere il futuro oggi e che aiuti a cercarlo. La guerra non è una condizione naturale della storia. Certo, la guerra fa credere all’uomo di essere una condizione naturale. Ma non siamo stati fatti per vivere come bruti! È un tradimento di Dio e dell’uomo vivere da bruti. Mi ha molto addolorato che il Parlamento Europeo in aprile scorso abbia votato una risoluzione in cui si parla di “educare” i giovani alla guerra: “È necessaria una comprensione più ampia delle minacce e dei rischi per la sicurezza al fine di creare (…) una nozione globale di difesa… occorre mettere a punto programmi educativi per i giovani volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate” (Risoluzione del 2 aprile 2025).
Le armi – ad iniziare dai coltellini o dalle pistole – si imparano subito! Quello che l’Europa invece deve davvero insegnare è di cercare – umanesimo cristiano e umano – una sicurezza senza armi! L’Europa è nata sul jamais plus, mai più, e non può certo accettare un’educazione che faccia illudere che se si vuole la pace bisogna preparare la guerra. Prepariamo la pace, altrimenti la guerra ci distruggerà. Osiamo la pace e diciamo che se prepari la pace, e non la guerra, questa vincerà sempre. Iniziamo ad abrogare la guerra dentro di noi e tra di noi! Non confondiamo mai difesa e guerra! Certo, lo sappiamo: la guerra è enfatizzata da miti funesti: il nazionalismo (il presidente Mitterrand diceva “il nazionalismo è la guerra!”, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 17 gennaio 1995), la sovranità assoluta, l’ossessione per la terra o per il potere, l’ideologia della razza, il disprezzo ignorante per ciò che è diverso.
Qui c’è un ruolo per le religioni: mai essere motivo di guerra, mai lasciarsi manipolare per la guerra! Restiamo uniti tra di noi in questo anelito di pace che i tanti Abele di questo mondo portano nel cuore. Se non lo facciamo per convinzione e idealità, facciamolo per sopravvivere! Erasmo da Rotterdam già nel 1517 disse: “Qualsiasi pace ingiusta è quasi sempre preferibile alla più giusta delle guerre” (Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, Torino 1990, p.59). Pace e giustizia, certamente. Ma dobbiamo anche dire che giusta è la pace. Altrimenti l’odio si fa cultura, inquina, riempie di fake news, arma i pensieri e le mani. L’odio non è mai inerte. Per questo va disarmato subito, al suo inizio, prima che si trasformi e si diffonda. Crediamo, però, che anche la pace è contagiosa. Serve uno sforzo di immaginazione creativa per superare queste convinzioni e interessi, iniziando sempre a “vedere” gli altri, Papa Benedetto XVI infatti parlava di un “cuore che vede”, a riconoscerli, a capire il loro dolore e a pensare che è uguale al nostro. Non c’è una classifica delle vittime per i morti in guerra. È per loro, ormai senza voce ma che parlano tuttora, che oggi siamo qui a osare ancora a parlare di pace. Assieme è più facile, anzi, appare l’unica via possibile e quindi facile.
Camus diceva: “Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga”. San Francesco ci insegna a osare la pace e a “vedere” gli altri. Credeva che ogni uomo fosse suo fratello, anche se questi, al contrario, lo vedeva come un nemico. Lui no. Per questo osò andare dal lupo: lo vedeva suo fratello e per questo sapeva perché si era ridotto a rubare e a uccidere. Avrà avuto paura, ma la forza dell’amore era più forte. Il lupo era in guerra e Gubbio era in guerra contro di lui. San Francesco osò la pace andando da lui, chiamandolo “frate lupo”, riportando il lupo a Gubbio, non in un’altra città, ma proprio dove aveva seminato violenza e morte, per riconciliare e sconfiggere le radici della violenza. In un lupo che si addomestica, cioè che ritrova la casa e la relazione con il prossimo, inizia la pace per tutti. E insegnò a osare la pace ai suoi abitanti che gli dettero da mangiare, perché era violento per la fame. E il primo abitante di Gubbio che gli portò il cibo anche lui osò la pace.
Fratelli tutti. Osiamo la pace. A iniziare da noi, da me.
