Inizio questa lezione dalla narrazione di quanto accaduto in due notti distanti
nel tempo e nello spazio, a due persone che sia pure in modo diverso hanno
avuto una rilevanza straordinaria per la nostra cultura occidentale, Socrate
e Pietro.
La prima notte è ad Atene, nel carcere dove Socrate attende l’esecuzione
della sentenza capitale.
Socrate è in carcere, condannato ingiustamente a morte, e nella notte
precedente alla esecuzione viene visitato da un amico, Critone, che gli fa
una proposta: fuggire dal carcere e mettersi in salvo. La cosa è “tecnicamente” possibile:
i carcerieri sono già stati debitamente pagati, cioè corrotti;
al Pireo c’è già la nave che lo porterà lontano
da Atene. Si tratta ora di convincere Socrate. Il dialogo costituisce il CRITONE,
opera davvero straordinaria di Platone. Quale è il nucleo della discussione
fra i due? Eccolo in breve.
Critone sostiene che Socrate deve fuggire, perché il suo rifiuto avrebbe
conseguenze dannose sia per i suoi (di Socrate) figli sia per i suoi amici
(cfr. Platone, Critone, traduzione, introduzione e commento di G. Reale, ed.
la Scuola, Brescia 1981, pag. 19-21). Cioè: ciò che decide se
il possibile è anche lecito sono, alla fine, le conseguenze del nostro
agire, misurate secondo l’opinione della maggioranza. Alla domanda quindi
se tutto ciò che è possibile è lecito, Critone risponde:
tutto dipende dalle conseguenze del tuo agire.
Socrate però risponde che prima di chiederci, di verificare quali sono
le conseguenze delle nostre scelte, è necessario sapere se ciò che
facciamo è giusto o ingiusto (cfr. ibid. pag. 33, c-d), poiché “non
dobbiamo darci affatto pensiero di quello che dicono i più, ma solo
di quello che dice colui che si intende delle cose giuste e di quelle ingiuste,
e questi è uno solo ed è la stessa verità ”, dal
momento che “non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il
vivere bene” (ibid. pag. 31). Dunque, in questo dialogo platonico è già posta
la domanda di fondo: ogni nostra azione è eticamente indifferente (fino
a quando non ne prendo in esame le conseguenze) oppure esistono azioni che
in se stesse e per se stesse sono sempre e comunque ingiuste?
Socrate ha preferito morire per non rinnegare con una scelta [la fuga del
carcere] quella verità sul bene che aveva conosciuto colla sua ragione.
La seconda notte è a Gerusalemme. La scena ha delle similitudini: c’è un
condannato e un amico che lo sta seguendo. Pietro è messo nella necessità di
fare una scelta: o dire la verità circa un rapporto di amicizia o tradire
l’amico dicendo il falso. E Pietro sceglie il tradimento: «non
conosco quell’uomo» [Mt 26,7].
Ma Pietro chi ha veramente tradito? Contro chi ha prevaricato? Ha tradito
Cristo o non piuttosto se stesso? ha prevaricato contro Cristo o non
piuttosto contro se stesso?
Socrate e Pietro hanno vissuto la stessa esperienza. Essi hanno “visto” una
verità riguardante se stessi. Fuggire dal carcere non era solo un problema “tecnico” né la
cosa doveva essere valutata in base alle sue conseguenze, ma la fuga o la non
fuga coinvolgeva se stesso dal punto di vista delle ragioni per cui la vita
ha un senso. Il rispondere con verità o con falsità coinvolgeva
Pietro non solo perché era in questione la sua vita fisica, ma perché era
in questione la sua vita umana in senso pieno. Socrate e Pietro hanno vissuto
l’esperienza di una verità su se stessi rimanendo nella quale
la persona salva se stessa pur morendo, tradendo la quale la persona perde
se stessa pur continuando a vivere.
Pietro piange su Pietro perché ha tradito Pietro tradendo il suo Amico.
Di questo tradimento è autore, vittima e testimone. «Quindi l’uomo è se
stesso attraverso la verità . La relazione colla verità decide
della sua umanità e costituisce la dignità della sua persona» [K.
Woitila, Segno di contraddizione. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1977, pag. 133].
Il dramma di Socrate e di Pietro lo dimostrano.
Nelle nostre riflessioni sulla libertà secondo la concezione cristiana
siamo così giunti a parlare dell’enigma più indecifrabile
presente nell’uomo: il fatto di una libertà che nega colla sua
scelta la verità sul bene riconosciuta dalla sua ragione. La libertà umana
può compiere il male morale.
La visione cristiana della libertà è una visione storica. La
libertà è vista nella sua condizione storica; essa è partecipe
della condizione storica dell’uomo. Condizione scandita dai seguenti
tempi fondamentali: giustizia originale, caduta, redenzione. E pertanto nella
visione cristiana la libertà umana è una libertà “incatenata” che
ha bisogno di essere liberata. La liberazione della libertà è l’atto
redentivo di Cristo. Nella visione cristiana la libertà umana è una
libertà redenta.
Ma procediamo con ordine. In primo luogo, dobbiamo considerare “quanti
ponderis sit” il male morale evitandone ogni banalizzazione: e questo
sarà il primo punto della mia riflessione. Nel secondo punto cercherò di
mostrare in che cosa consista la liberazione della libertà operata da
Cristo. Nel terzo punto cercherò di balbettare qualcosa sul trionfo
della libertà liberata da Cristo.
Il vero peso del male morale.
Il male morale è la disintegrazione della persona poiché esso
mi si manifesta come la libera negazione coll’azione di ciò che
ho appena affermato colla conoscenza. La libertà nega ciò che
la conoscenza afferma.
Che cosa viene negato dalla libertà ? La verità sul bene morale. è questa
una verità profondamente diversa da ogni altra verità attingibile
dalla ragione umana. Essa pone la persona in rapporto con un oggetto
possibile di scelta che risponde a quel desiderio di beatitudine che dimora
nel cuore dell’uomo e muove la persona medesima ad agire. La verità sul
bene morale apre una possibilità che viene pro-posta alla libertà ,
perché mediante l’azione la persona si realizzi. Quando pertanto
la libertà nega la verità sul bene morale, è il bene della
persona come tale e la sua autentica realizzazione che sono negati.
La verità puramente speculativa termina nella contemplazione del suo
contenuto: in essa chi conosce riposa. La verità sul bene della persona
invece ha nel suo contenuto formale solo il punto di partenza. Il suo punto
finale lo ha nella decisione della libertà con cui la persona attua
se stessa in essa: fa sua la verità sul bene.
Questo “matrimonio” della libertà colla verità è un
fatto molto profondo nella vita della persona. Noi non facciamo la verità e
quindi non siamo veri se non nella libertà . Ma la libertà non
inventa la verità , ma aderisce ad essa, poiché la verità è lo
splendore dell’essere della persona: essere che non poniamo noi. La verità interloquisce
solo colla libertà ; e la libertà è nella verità .
Se mi si consente una battuta in temi tanto seri, direi che la verità sul
bene della persona è “democratica” (!). Non è intuizione
riservata ai geni, ma è la possibilità universale offerta all’uomo
comune cioè all’uomo essenziale.
Ho parlato, e sto parlando della “verità sul bene” della
persona. Ma esistono vari “beni della persona”. La salute fisica è un
bene della persona così come la conoscenza della verità . E così via.
Di quale “beni della persona” sto parlando? Lo indicherò per
ora come il “bene (o valore) morale” della persona. Si può percepire,
si può avere un’intuizione intellettuale della bontà morale
descrivendo una semplice esperienza.
Sono valori singolarmente ed incomparabilmente personali perché possono
realizzarsi solo nella persona: nessuno dice di un animale che è giusto/ingiusto.
Sono solamente della persona come tale, perché realizzano ciò che
in essa è propriamente personale: non solo della persona creata ma anche
di Dio; anche del Signore noi diciamo che è giusto, è fedele … Solo
di essi la persona è ritenuta responsabile; nessuno ritiene responsabile
una persona di non essere un poeta, ma la ritiene responsabile di essere un
ladro. Pertanto la loro realizzazione costituisce un merito per la persona
così come la loro negazione una colpa. Solo i valori morali sono indispensabili
e necessari: una persona può essere o non essere un poeta o uno scienziato,
ma non può essere o non essere giusta.
Ora spero risulterà più chiaro che cosa significa dire che quando
la libertà nega la verità sul bene morale, nega la realizzazione
della persona come tale: è forza che distrugge la persona come tale.
Siamo finalmente in grado di avere un’intelligenza più profonda
del male morale.
Riassumo quanto detto finora. La verità sul bene morale può essere
conosciuta solamente dalla ragione: la sua conoscenza è opera della
ragione. Ma dato il contenuto di questa conoscenza, ciò che è da
me conosciuto, nello stesso momento in cui conosco la verità sul bene
della persona, la mia libertà ne rimane legata: ob-ligata. E da questo
momento se la persona vuole realizzarsi, deve “fare la verità ” conosciuta.
Ciò che è “in gioco” è il mio io stesso, non
una verità qualsiasi. Non posso negare quella verità senza negare
me stesso.
Il peso del male morale mi si rivela. «Ecco allora il mio proprio io,
certamente lo stesso che come soggetto della conoscenza prende –assumendo
il ruolo di testimone oculare – la parte della verità conosciuta,
contraddice se stesso rinnegando – come soggetto della libera scelta – la
verità da sé conosciuta. è difficile pensare a un più assurdo
e nello stesso tempo più autodistruttivo uso della propria libertà » [T.
Styczen, Essere se stessi è trascendere se stessi, in K. Woitila, Persona
e atto, Rusconi ed., Milano 1985, pag. 722]. L’uomo come soggetto della
libera scelta nega ciò che come soggetto dell’atto conoscitivo,
afferma: è la disintegrazione più radicale della persona. Questo è il
male morale!
L’esperienza del male morale rivela la dimensione più oscura
della libertà . Penso che nessuno nella modernità abbia esplorato
questa dimensione con maggior profondità di F. Dostoevskij. «Nella
sua arte ci viene incontro un’esplorazione, spinta fino al grado supremo,
della volontà umana, del desiderio, del satanico che può impadronirsi
dell’uomo, portandolo all’odio contro il bene, là dove la
libertà esibisce un potere di negazione tale che nessuna dimora presso
il negativo lo muta in positivo o in essere» [V. Possenti, Essere e libertà ,
Rubattino, 2004, pag. 339]. L’esplorazione del grande russo lo conduce
al tema cruciale del rapporto libertà che nega la verità sul
bene e suicidio: la libertà negante diventa libertà distruttiva
dell’uomo. è potenza che nega l’uomo.
Alcuni percorsi teoretici della modernità hanno tentato un’impresa
che è stata gravida di tragedie indescrivibili. L’impresa di togliersi
di dosso il peso della testimonianza che ciascuno dà a se stesso della
presenza del male morale nella propria volontà . O almeno il tentativo
di scrollarsi di dosso questo peso insopportabile. Nel mondo occidentale in
cui viviamo queste tentativo assume , mi sembra, due volti, percorre due strade.
La prima è la negazione della libertà , coerente conseguenza
della riduzione dell’humanum alla natura governata dalle leggi della
fisica e della biologia. La negazione della libertà coincide con la
riduzione di essa alla spontaneità . Esiste nell’uomo la capacità di
muoversi solamente verso ciò che è “bene per me”.
Non esistono ragioni universalmente e incondizionatamente valide per volere
questo bene piuttosto che quello. Parlare di male morale non ha più un
senso proprio. Si può solo parlare di azioni che producono un danno
o un dolore.
La seconda è la negazione che esista una verità sul bene della
persona che non sia una mera produzione o del singolo o del consenso sociale: bonum
quia consensum! Chi accetta questa posizione deve coerentemente negare
che esista un male morale nel senso sopra spiegato.
Viene a mancare ogni base per parlare di un auto-distruzione da parte della
propria libertà . La decisione con cui ho deciso che cosa sia bene può essere
mutata. Il rapporto libertà -male è una sorta di patto con se
stesso che può sempre essere in ogni momento sciolto. Ogni serietà del
vivere è qui distrutto: il dramma della libertà si è trasformato
in una farsa.
Già Cicerone aveva visto chiaramente questa “farsa”: «quod
si populorum iussis, si principum decretis, si sententiis iudicium iura constituerentur,
ius esset latrocinari, ius adulterare, ius testamenta falsa supponere, si haec
suffragiis aut scitis multitudinis probarentur. Quae si tanta potestas stultorum
sententiis atque iussis, ut eorum suffragiis rerum natura vertatur, cur non
sanciunt ut quae mala perniciosaque sunt, habeantur pro bonis et salutaribus?
Aut cum ius ex iniuria lex facere possit, bonum eadem facere non possit de
malo? » [De legibus I, XVI, 43-44].
Viene anche a mancare ogni base per evitare qualsiasi prevaricazione sugli
altri. Se il patto fra le parti è l’unica condizione sufficiente
per determinare ciò che è bene/male in una data società ,
e la votazione l’esclusivo strumento per concluderlo, diventa possibile
ogni prevaricazione contro l’uomo. «Tutta l’età moderna
ha dovunque perduto, soprattutto in politica, l’idea che esiste un “tu
devi”… Ecco dove sta il male. Non c’è bisogno di
essere profeta per vedere quanto costerà raddrizzare questa faccenda» [S.
Kierkegaard,Diario, IV; ed. Morcelliana, Brescia 1980, pag. 104.]
Noi vogliamo ascoltare la testimonianza che l’uomo rende a se stesso:
la testimonianza che la sua è una libertà dipendente dalla verità sul
bene; la testimonianza che la sua è una libertà che può spezzare
il suo vincolo colla verità . «Il criterio di divisione e di contrapposizione
si riconduce alla verità : la persona come “qualcuno” dotato
di dinamismo spirituale si realizza attraverso il vero bene, non si realizza
invece attraverso il bene non vero. La linea di divisione, di separazione e
di opposizione tra il bene e il male come valore e controvalore morale, si
riconduce alla verità » [K. Woitila, Persona e atto, Rusconi Libri,
Milano 2000, pag. 371]. Questa linea di divisione, di separazione e di opposizione è tracciata
dalla libertà che può porsi contro la verità circa il
bene.
Ma ora è giunto il momento di chiederci: donde viene questa decisione
della libertà ? unde malum morale?
Una delle risposte più profonde a questa domanda è stata data
da Tommaso. Essa è in sintesi la seguente. Il male morale in quanto
atto della persona ha la sua origine dalla libera non-considerazione della
regola [nel nostro linguaggio della verità circa il bene] da parte della
volontà nel momento in cui decide di agire. «Ciò che costituisce formalmente
la colpa o il male morale – scrive l’Aquinate – proviene
dal fatto che, senza la considerazione attuale della regola, la volontà procede
all’atto della scelta» [Qq. Disp. De malo q.1, a.3]. è questa
una possibilità inscritta strutturalmente nella volontà umana
dal momento che essa non è la sua propria regola. [Tommaso conferma
quanto ho detto sopra: se si identifica libertà e legge morale: se si
pensa che la libertà “produca” la verità sul bene,
non ha più senso parlare di bene/male]. Per rendere ragione del fatto
che la volontà possa porre un atto privo del rapporto colla verità ,
privo di bontà vera, basta la libertà : ad hoc sufficit libertas
voluntatis. è terribile questa espressione di Tommaso: la libertà umana è causa
sufficiente a dare origine ad un uomo ed una umanità sbagliata!
Ma questo non è tutto ciò che il cristianesimo dice sull’origine
del male. Se leggiamo il racconto della prima colpa morale nel libro della
Genesi, noi vediamo che il male morale non ha il suo inizio completo nell’uomo,
ma in un certo senso la sua continuazione. Nella visione cristiana è ugualmente
affermata l’antecedenza del male morale al singolo uomo e dunque la sua
inevitabilità e l’origine del male morale dalla mia libertà e
dunque la sua contingenza. La mia non è né una libertà equidistante
fra il bene ed il male né una libertà distrutta.
Adamo non è Edipo. Edipo è l’icona di una visione tragica
della vita: non ha via di uscita; meglio alla fine accecarsi per non vedere
più la realtà . Adamo è l’icona di una visione drammatica
della vita: ha una via di uscita, perché la sua decisione di compiere
il male e la storia impastata di male morale che la decisione di ciascuno di
noi concorre a produrre, è già dentro ad un progetto di
redenzione, di liberazione della libertà : ubi abundavit peccatum superabundavit
gratia!
