mercoledì delle ceneri

Bologna, Cattedrale

Con questa celebrazione entriamo nella Quaresima, il tempo più pensoso, più austero, più esigente dell’anno cristiano.
La lettura evangelica ci ha implicitamente richiamato i tradizionali capisaldi del concreto programma di impegni, che da sempre caratterizza queste sei settimane: la preghiera, la mortificazione, l’attenzione fattiva ai fratelli.

Gesù ne parla soprattutto per ammonirci che queste nostre “buone opere” (come egli le chiama) devono essere religiosamente “vere”: cioè compiute come atti di affettuosa attenzione al Padre “che vede nel segreto” (cfr. Mt 6,6), e non come manifestazioni della nostra vanità e del nostro amor proprio; insomma, non come frutto un po’ guasto di quell’egocentrismo che in noi è sempre in agguato, e può alterare e deprezzare anche le nostre azioni migliori.

Noi sappiamo però che la maniera più semplice ed essenziale per vivere bene questi quaranta giorni è di modellarli, per quel che ci sarà possibile, sull’esempio di Gesù e di impreziosirli nell’unità più stretta con lui: unità di mente, di cuore, di tutto il nostro essere.
A lui perciò e alla prima “Quaresima”, da lui vissuta nel deserto, vogliamo riferirci in questa meditazione di inizio.

Col battesimo nel Giordano Gesù ha ricevuto l’investitura a essere il perfetto e definitivo portavoce di Dio, ed è stato ufficialmente presentato come il principio dell’umanità redenta e rinnovata: l’umanità su cui discende lo Spirito rinnovatore.

E’ indicativo e illuminante per noi che, per ben prepararsi a questa sua missione tra gli uomini, egli si preoccupa prima di tutto di isolarsi da loro e dalla loro verbosità; e si ritira nella solitudine, dove anima le sue lunghe giornate col dialogo appassionato col Padre, colmandole dell’ineffabile comunione con lui.
C’è stato, certo, anche il digiuno; ma più ancora, a sostanziare questa prima ed esemplare “Quaresima” dell’Alleanza Nuova, c’è stato il silenzio, l’ascolto della divina parola, l’esperienza sempre più consapevole e intensa del suo amore filiale. Per tutto quello spazio, scandito da quaranta tramonti e da quaranta aurore, il Messia, l’ambasciatore del Sovrano dell’universo, il plenipotenziario del Creatore è stato in continua e prolungata udienza con colui che lo aveva mandato.

Prima di tutto dunque il silenzio.
Anche noi, che vogliamo assimilarci a Cristo, siamo sollecitati a recuperare almeno un poco il valore del silenzio, come opportuno traguardo quaresimale in funzione di una migliore attenzione alla voce di Dio. E bisogna per questo che ci moviamo in controtendenza sulle propensioni mondane.

Il progresso esteriore della società di solito non è disgiunto dal rumore e dal chiasso: il rombo dei motori e la detonazione degli esplosivi (anche a scopo pacifico) hanno accompagnato in questi ultimi due secoli la trasformazione del mondo. La cultura mondana e l’informazione crescono e si affermano con l’infittirsi delle dichiarazioni, con l’accendersi dei dibattiti, col multiloquio.

Invece la condizione indispensabile e il contesto propizio per lo sviluppo interiore e per l’affinarsi della vita dello spirito è il silenzio, perché appunto nel silenzio l’anima percepisce più chiaramente la voce di Dio; e si rende conto della sua indole di ricercatrice della verità, nonché del suo destino e del significato del suo stesso essere.
Di fatto, i tempi di silenzio si vanno facendo sempre più rari e brevi nella nostra esistenza frastornata.

La dissipazione e il chiasso invadono spesso anche le notti, che pur sarebbero fatte per l’assopimento e il riposo. La quiete domestica deve fare i conti con il vociare insistente dei mezzi di comunicazione e d’intrattenimento. Persino i raduni ecclesiali spesso sono dominati più dalla disparata multiformità dei pareri umani e dalle discussioni che non dalla tacita contemplazione della verità di Dio e dall’assorta ricerca della sua volontà.

Ma almeno nel tempo quaresimale chi si propone di farsi discepolo più autentico e più coerente del Signore Gesù deve riscoprire la bellezza e il pregio di nutrirsi “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (cfr. Mt 4,4) e tendere l’orecchio, più che alle altre proposte, alla voce “di dentro”.
E’, si usa dire, la “voce della coscienza”. Noi, però – cui è stato rivelato che ogni uomo è esemplato dall’origine su Cristo ed è stato pensato e creato in lui – sappiamo (in una visione più adeguata) che quella è la voce del nostro Salvatore che ci chiama a sé.

E’ una voce – se non le impediamo di risonare e se le prestiamo attenzione – che a volte ci scuote dalle nostre superficialità, a volte ci risveglia dal torpore indisturbato in cui da tempo forse ci siamo adagiati, a volte senza tanti complimenti ci sgrida.
E pur quando (occorrendo il caso) ci dà disagio e pena coi suoi rimproveri per le nostre deviazioni e le nostre infedeltà, infonde nel contempo la speranza dell’aiuto dall’alto, che ci viene infallibilmente concesso se dischiudiamo un poco alla grazia il nostro cuore.

Oggi ciascuno di noi formuli mentalmente i suoi particolari propositi quaresimali. E tra essi ci siano le “opere buone”, che sono state ricordate dalla pagina evangelica: un po’ più di preghiera, qualche saggia rinuncia, qualche più generosa sollecitudine verso i fratelli.

Ma questa volta non manchi inoltre un impegno, per così dire, preliminare: quello di fare un po’ più di silenzio. In concreto: non solo di risparmiare qualche esternazione superflua e qualche discorso inutile, ma anche di far riposare un po’ la radio, la televisione, il telefono e il telefonino.
“I santi del Signore, – scrive sant’Ambrogio – consapevoli che la parola dell’uomo è l’inizio dell’errore umano, amano il silenzio” (De officiis I,6). E non solo i santi del Signore, ma anche il Signore dei santi: Cristo – egli dice in un altro passo – “vuol essere seriamente ricercato e non ama le chiacchiere” (De virginitate 84).

05/03/2003
condividi su