In queste settimane tutti abbiamo compreso meglio la bellezza e il mistero della Chiesa, noi, così simili ai fratelli maggiori, attenti al mio e rivendicativi del nostro, che non accettano la misericordia. Abbiamo visto i frutti di “tutti” coloro che sentendosi accolti si sono stretti attorno a Papa Francesco e hanno gioito per l’elezione di Papa Leone XIV. È la bellezza della Chiesa e della Chiesa cattolica il nostro noi, che non dobbiamo possedere imponendo l’io con il protagonismo, la vanità, le convenienze, i ruoli, ma solo servire con tutto noi stessi, gratuitamente. Solo questo ci fa essere a casa. La Chiesa è davvero cattolica, universale, in un mondo che si divide e sembra smarrire la consapevolezza di essere figli dell’unico Dio e fratelli tutti. L’ha smarrita così tanto che cerca sicurezze nel tracciare frontiere invece di impegnarsi a superarle, con tutte le conseguenze che questo comporta, a cominciare dalle armi o dall’incapacità a risolvere insieme i problemi. È un mondo che non si commuove per due bambini morti di fame e di freddo su una piccola imbarcazione dove c’era solo la speranza, stretti dalle loro mamme che li hanno custoditi sempre più freddi e rigidi perché non venissero buttati in mare. Che pena! Ecco cos’è la Chiesa: una madre piena di amore per questi tanti figli che il Figlio le ha affidato, fratelli con Lui e fratelli tra di noi, e fratelli di quei piccoli per i quali siamo e saremo giudicati. La Chiesa è una madre e noi figli, non orfani, siamo figli che sentono l’amore di questa madre che mostra sempre e solo la nostra speranza, Gesù.
Gesù lo incontriamo non in astratto ma in una storia di persone, di incontri, di esperienze, come quella che celebriamo oggi, e di cui ringraziamo Dio che ci aiuta a comprenderne la bellezza anche nella fragilità umana, che ci chiede di difenderla amandola con la nostra vita. Nel volto di Gesù contempliamo quello di Dio, il mistero che nessuno ha mai visto e che Lui ci rivela, ma anche il volto del prossimo, perché chi riconosce in Gesù il volto di Dio lo riconosce anche in quello del prossimo. La Chiesa unisce le persone nell’amore. Infatti l’immagine più vera della Chiesa è l’Eucarestia, quando intorno al suo altare siamo una cosa sola con Lui e tra di noi, comunione che supera le differenze senza annullarle. La Chiesa non è fatta di legami virtuali o di uguali, ma di legami umani e familiari, ricchezza perché ciascuno si pensa per gli altri. L’ho contemplato personalmente in questi giorni di dolore per la morte di Papa Francesco e di tanta responsabilità, nel Collegio dei Cardinali, dove ognuno portava la propria tra le diverse realtà, comprese quelle più piccole e periferiche sconosciute al mondo ma non a questa Madre che ha attenzione per tutti e insegna a tutti i figli a non trascurare nessuno. Ho sentito la gioia di appartenere ad un popolo che da oriente a occidente sperimenta quel “un cuore solo e un’anima sola”. La forza della Chiesa è proprio nella comunione, pienezza della relazione, vero amore perché completamento reciproco. Nessuno si basta da solo, né come persona né come gruppo e realtà. Le nostre identità trovano spazio e pienezza in una più larga: in questa Chiesa universale e molto locale. Non parliamo di cose lontane, di una vita da sogno, impossibile, troppo difficile. Sono richiesti cuore e mente, questo sì, per iniziare ad amare e lasciarsi amare senza misure, com’è l’amore vero. Sono giorni in cui ritroviamo la bellezza di essere Chiesa e la gioia di farne parte. Gesù risorto non è un fantasma e la Chiesa non è l’assemblea dei puri, dei perfetti, dei giudici, degli ipercritici che danno lezioni, e a tutti, ma loro non le vivono e i pesi che impongono con i loro giudizi non li vogliono portare. La Chiesa è sempre di peccatori perdonati e amati che si sentono amati da Gesù e per questo amano.
Ricordare l’anniversario della vostra Diocesi significa ringraziare per il tanto amore ricevuto, cantare le lodi al Signore ma anche scegliere personalmente e comunitariamente di essere Chiesa oggi, nelle sfide del nostro tempo. L’amore è spirituale e molto sociale, di Dio e delle persone. Non c’è comunione senza dimensione orizzontale – adesso la chiamiamo sinodalità proprio per darne forma e teologia compiute – ciò significa che nella Chiesa non ci sono disoccupati, pietre inutili e che, essendo una comunione, è circolare, e in questa ognuno porta qualcosa di originale. Ma lo può fare solo se si pensa insieme e per gli altri e non viceversa, come spesso avviene nel mondo. E la dimensione orizzontale ha bisogno di quella verticale, che significa che c’è chi presiede ma sempre nella carità. Così anche viceversa. Ecco allora la gioia di celebrare questo vostro anniversario di erezione della Chiesa di Noto come Diocesi da parte di Papa Gregorio XVI, il 15 maggio 1844. La comunione la capiamo pensando ad alcune figure cui la vostra Chiesa è legata, sempre in quelle che Dio conosce e che rendono forte e bella la Chiesa, gli umili servitori, come Papa Leone XIV si è definito. Ricordiamo i tanti santi che con la loro vita e le loro parole – anche quelle servono e non dobbiamo avere paura di porgere, sempre nell’amicizia, le parole della fede – hanno donato la fede, come hanno fatto pure i nostri santi della porta accanto, persone che con il loro amore hanno preso sul serio il Vangelo, hanno pregato e sono stati buoni anche quando non conveniva, hanno perdonato, hanno vissuto, trasmesso e, quindi, regalato le beatitudini che rendono la vita davvero bella. Sono le nostre stelle che nella notte penetrano l’oscurità e ci indicano la luce che non finisce, permettono di camminare di trovare l’orientamento nella confusione del mondo.
Ne ricordo due, a cui siete tanto legati: San Corrado, Patrono della città di Noto e Patrono secondario della Diocesi, e il Venerabile Giorgio La Pira, nato a Pozzallo. Ricordiamoci, però, che i testimoni non servono per sentirci a posto, ma per essere anche noi luminosi, per trasmettere con tutto noi stessi, e con il nostro modo l’unico amore. San Corrado, uomo onesto, si prese le responsabilità, come sapete, risarcì, cominciò a vivere pienamente il Vangelo. Trovò un fratello e diventò una benedizione, moltiplicò il pane che sazia, perché la sua vita era diventata Gesù. La Pira, fu profeta di pace e del buon governo, un mistico che ha saputo vedere la storia, come chi ha negli occhi e nel cuore l’amore di Dio. In un XIX secolo dominato dalle guerre, anche in Europa, le sue scelte hanno assunto un interesse sempre nuovo, bussola per tutti coloro che avevano bisogno di orientamento per la propria vita personale e di cittadini, per un Mediterraneo di pace e per credere che la pace è sempre possibile. Come ha detto Papa Leone XIV è possibile, ma bisogna sperare e pagare il prezzo della speranza, che “i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi”. La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi. Che ognuno di noi sia artigiano di pace, vincendo la violenza della parola e delle mani, disarmando i cuori con la mitezza nella realtà in cui si vive. Diceva La Pira: “Ogni città è nel tempo una immagine lontana ma vera della città eterna. Amatela, quindi, come si ama la casa comune destinata a noi e ai nostri figli. Custoditene le piazze, i giardini, le strade, le scuole; (…) fate che il volto di questa vostra città sia sempre sereno e pulito.
Fate, soprattutto, di essa lo strumento efficace della vostra vita associata; sentitevi, attraverso di essa, membri di una stessa famiglia: non vi siano tra voi divisioni essenziali che turbino la pace e l’amicizia: la pace, l’amicizia, la cristiana fraternità fioriscano in questa città vostra come fiorisce l’ulivo a primavera!”. La guerra è come il terremoto e sapete bene cosa significa, rivela la strutturale fragilità della nostra condizione. Questa casa e la vostra fede nel Signore sono la vera forza. Ricordare e scegliere di essere comunità. Non siete utenti, non siete condomini o estranei ma comunità. “Prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli” perché parlavano nel nome de Signore, non si arenavano, avevano speranza, amavano nel nome del Signore e questo fa vedere la vita che cambia, anche nelle difficoltà. I credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Quello che anzitutto dobbiamo mettere assieme è il cuore, e se lo mettiamo in Gesù, e lo troviamo ospitando il suo nel nostro, troveremo cuore e lo saremo come questa sera intorno alla sua mensa. Poi, certamente, conosciamo anche la nostra fragilità e il nostro peccato. Mettiamo quello che siamo e che abbiamo in comune, condividiamo secondo il bisogno di ciascuno, facciamolo senza supponenza, con gioia e semplicità di cuore, che vuol dire essere consapevoli che tutto è grazia, un dono, e quindi senza ipocrisie e classifiche. Godiamo il favore di tutto il popolo, che non vuol dire affatto assecondare gli altri, ma conquistare con l’amore e stabilire con tutti un legame di amore. E ciò rende il lupo un amico. Questa è la gloria della Chiesa, tutta umana e tutta di Dio, spirituale e sociale, celeste e terrena. Nella pienezza dell’amore per cui la verità è che il fratello è tornato in vita, non il peccato che lo aveva ucciso. “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro”, perché sono nostre. Essere una cosa sola. Unum, dice Papa Leone XIV stringendosi nell’Unico. Perché solo così abbiamo in noi stessi la pienezza della gioia. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me per essere già adesso, nella nostra miseria, dove saremo e dove sono i nostri cari che ci hanno preceduto. Diventiamo, come avete scritto nel vostro importante documento sinodale, “sentinelle” per segnalare i casi di povertà, di solitudine, di malattia, di violenza o di abbandono.
Maria, scala del Paradiso, ci aiuti ad essere umili per farci innalzare da Lui e ci ricordi sempre di fare tutto quello che ci dirà, anche quando non c’è speranza, il vino finisce, perché la sua Parola trasforma l’acqua nel vino della gioia e della festa che non finisce.
