Messa Crismale

Ringrazio Dio per questa nostra Messa Crismale che ci dona di contemplare la bellezza della nostra Chiesa, il noi che non dobbiamo cercare ma riconoscere, che è tanto più largo del nostro cuore e delle nostre misure perché dono di Dio e del suo Spirito. È la gioia di vivere il legame santo della comunione che ci unisce. “Tutti quanti infatti, noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia, mentre comunichiamo tra noi nella mutua carità e nell’unica lode della Trinità santissima, rispondiamo all’intima vocazione della Chiesa e pregustando partecipiamo alla liturgia della gloria perfetta”. (LG 51)

La vivo, anche personalmente, con tanti significati che si intrecciano nella mia vita, come le nostre storie e quelle dei molti confratelli lontani ma che portiamo tutti nel cuore, delle persone che sono legate alla nostra vita, dei compagni di strada, e di quelli che noi non sappiamo ma che si sentono uniti a noi molto più di quanto noi stessi riconosciamo poiché misuriamo lo spazio e siamo meno attenti al tempo. Per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza è importante saper riconoscere il bene nascosto nella nostra comunità e anche nel mondo. Sento la presenza spirituale in mezzo a noi anche di tutti i preti malati nei quali, con commozione, contemplo la grande dignità e lo spirito di fede con cui vivono difficili prove di salute e pesanti sofferenze.

Sono con noi anche quelli impediti per varie ragioni: desidero che sentano tutti il legame che ci unisce tra preti, tra noi e il nostro popolo, in quella che è la nostra famiglia. Penso anche a tutti i sacerdoti defunti in questi anni, in particolare quelli dei quali mi è stato dato di essere testimone di come negli ultimi momenti della loro vita sia riassuma un’esistenza tutta offerta al Signore e alla Chiesa e purificata dalla prova, santità che ci accompagna, che è il dono misterioso ed efficace della comunione dei santi in cielo e tra questo e la terra. Ci protegge molto più di quanto pensiamo e arricchiamola sempre con la nostra santità.

Questo tesoro che è nel cielo, comune e personale, e la preghiera ci proteggono vicendevolmente e orientano le nostre comunità tutte. Sento personalmente il desiderio anche fisico di vederci e di non permettere mai che la comunione sia una dimensione virtuale o scontata. È spirituale e la nostra umanità ha anche sempre bisogno di segni concreti. Godo e godiamo di questa comunione che è affettiva e che ci aiuta a ritrovare il senso della nostra vocazione e fa rivivere l’amore dell’inizio, “il primo amore” (Ap. 2,4) che si trasforma ma può sempre crescere. Lo perdiamo con il veleno sottile e insidioso della disillusione, quando la speranza diventa fatalismo, la pazienza rassegnazione, la conoscenza amaro scetticismo, il realismo documentato pessimismo.

Che cosa chiede a tutti noi e a ciascuno, preti, diaconi, consacrati, laici, il Giubileo della Speranza? Viviamo anche noi il rischio di cercare ma senza passione, di annunciare ma con la sottile convinzione che niente cambierà per davvero? E di poter solo resistere al male ma non vincerlo? La speranza ci invita a non smettere di cambiare, a ritrovare l’amore che trasforma quello che è vecchio e ci fa nascere di nuovo, che rende il peccato esperienza di grazia. Viviamo la pienezza di questa comunione che da qui si riversa nelle nostre comunità, nelle case e nelle strade delle nostre città e paesi, come con gli oli, segno efficace della presenza di Dio, che porteremo con noi e che accoglieremo domani nelle celebrazioni. Siamo consapevoli dei problemi che portiamo con noi e non dobbiamo guardarli solo confidando nelle nostre forze.

È la Provvidenza di Dio che non ci farà mancare la forza, le risposte, quelle che ci coinvolgono e alle quali siamo impegnati. Il Giubileo della Speranza cambia tutti noi facendoci passare dal timore alla fiducia, dallo sconforto alla serenità, dal dubbio alla certezza. Gesù indica la speranza presente nell’oggi ordinario di Nazareth, osservato con stupore e sospetto dai suoi che pensano di sapere già tutto di Lui, di non dover più imparare nulla, di conoscerlo a sufficienza, tanto che non si stupiscono più, si affidano alla loro conoscenza vecchia, non credono nei miracoli anzi li impediscono, cercano una misura ridotta, sicura, mediocre.

La disillusione pratica, lo sappiamo, ci rende come a Nazareth prigionieri di passioni piccole, senza l’ambizione di cambiare la vita, di generarla, di conquistare i cuori, e così spegne il sogno di cambiare il mondo. “Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità”, ricorda Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo. La speranza si misura oggi con la tribolazione e la sofferenza. Queste non le cerchiamo noi, non le guardiamo con la malcelata soddisfazione di chi dice tristemente e in modo sarcastico “lo avevo detto io”, “avevo ragione”, ma sono la causa della nostra chiamata oggi, del nostro ministero e dei nostri ministeri che nella comunione non si sovrappongono ma si completano, non sono concorrenziali ma parte di un unico corpo con tante membra. Per una speranza così promettiamo di nuovo di donare tutta la vita.

Oggi noi sacerdoti pronunceremo di nuovo le promesse dei nostri impegni sacerdotali e diaconali con una doppia gioia: poterlo fare insieme e farlo con e davanti al nostro popolo, con le comunità che camminano con noi, che presidiamo nella carità, famiglia che motiva e aiuta la nostra chiamata. Oggi non si tratta di fare cose in più, con la conseguente apprensione o con la tentazione di proteggerci, ma di essere forti nello Spirito per edificare comunità.

Certo, poi ciascuno deve porsi serenamente la domanda di come usare con saggezza e generosità il dono unico e preziosissimo del proprio tempo, ricordando che se manca il mio personale sostegno, o se mi sottraggo alla comunione isolandomi, ciò significa anche che questa fa più fatica o è più debole. E pure la preghiera che il popolo rivolgerà al Signore per i suoi presbiteri e diaconi, per il Vescovo è proprio espressione della comunione più profonda, della responsabilità vera che ci unisce, della necessità di preti e diaconi che donino la propria vita con il loro sacerdozio ministeriale, di testimoni che si consacrino al Signore.

La comunione non è fare tutti le stesse cose, ma tutti amare, rispettare, aiutare con tutto noi stessi questo Corpo che è anche il nostro corpo. E comunione significa responsabilità personale, corresponsabilità, cioè nessun spettatore e completarsi a vicenda. Siamo il Corpo di Cristo, non un’organizzazione, anche se si richiede chiarezza di ruoli e trasparenza di responsabilità. Siamo una famiglia, non un parlamento, e non dobbiamo comporre categorie, rivendicazioni personali, perché l’unica chiamata è quella di essere figli e fratelli, ricordando sempre che questa famiglia deve essere per tutti e perché lo sia dobbiamo essere casa dei poveri. Lo siamo in una generazione con tanto isolamento, ammaliata dal protagonismo che porta all’esaltazione del ruolo personale e della forza, o alla depressione e al nichilismo quando tutto questo sembra venire meno.

Costruiamo comunità intorno al Pane dell’Eucarestia, della parola e dei poveri. Non formule ma persone, storie, relazioni, umanità. “La comunione – frutto dello Spirito Santo – è nutrita dal Pane eucaristico (cfr 1 Cor,10,16-17) e si esprime nelle relazioni fraterne, in una sorta di anticipazione del mondo futuro, unità che abbraccia il mondo, che anticipa oggi il mondo futuro in questo nostro tempo. (DN 213) Ecco l’importanza di questa icona di comunione che viviamo oggi, nella sua dimensione verticale e orizzontale, che ci lega intimamente e ci porta a dire con gioia il nostro “Eccomi, manda me”. “Se ci allontaniamo dalla comunità, ci allontaneremo anche da Gesù.

Se la dimentichiamo, e non ci preoccupiamo per essa, la nostra amicizia con Gesù si raffredderà. Non va mai dimenticato questo segreto. L’amore per i fratelli della propria comunità – religiosa, parrocchiale, diocesana – è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri”. (DN 216) Oggi.

Bologna, Cattedrale
16/04/2025
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