Gesù prima di salire sul monte aveva confidato ai suoi discepoli che sarebbe stato schernito, irriso, torturato, ucciso, ma che sarebbe risorto il terzo giorno. La fragilità, lo scontro con il male non sono fuori dalla vita, ma dentro. Non c’è speranza senza affrontare il male. Non c’è Pasqua senza l’incontro, amaro e pieno di turbamento, con la cattiveria e la disumanità del male, con la sciocca complicità degli uomini. Gesù non si illude, non fa finta, ne parla, ne è consapevole, e sa anche che risorgerà il terzo giorno. Cosa chiede ai suoi discepoli? Di stargli vicino. Li previene dal turbamento perché non vuole che perdano la speranza. Gesù non è un superuomo, cerca sempre la compagnia di quei fratelli per i quali dava la vita. Non facciamo mai mancarla a chi è nel dolore, a chi si misura con la forza delle pandemie personali, così come ai tanti che sono travolti da quelle collettive che ci dovrebbero rendere tutti più vicini, consapevoli, fratelli.
Il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Si trasfigura e tutto diventa splendente, luminoso. È giorno, eppure c’è ancora più luce perché l’amore è la pienezza della luce. Si rivela la gloria di Dio nascosta in Lui. Quanto è diversa da quella degli uomini, che cercano di impadronirsi della forza, di farsi re, di manifestarla con l’ostentazione delle cose, di misurarla possedendo le persone, collezionando le onorificenze, esibendo caratteristiche esteriori! No. La gloria di Gesù è l’amore che ha dentro di sé e che lo rende luminoso. È la stessa gloria di quando si abbassò per lavare i piedi ai suoi, donò se stesso spezzando il pane e versando il vino, lasciandosi inchiodare alla croce per un amore senza limiti. È la pienezza dell’umanità che rivela la gloria di Dio, quell’immagine che è nascosta in ognuno di noi e anche nel nostro prossimo. La nostra generazione è avvolta da tante tenebre, quelle che lanciano ombre sinistre di morte, paura, violenza, dell’imprevedibilità del male. Ci abituiamo alla gloria penosa degli uomini, di coloro che nei confronti devono umiliare per sentirsi importanti, ma non sopportando il contrario, di coloro che devono imporsi e che hanno bisogno degli strumenti della forza, ad iniziare dalle armi, esaltazione dell’onnipotenza distruttiva degli uomini, da cui però sono poi condizionati. Solo la gloria di Gesù rivela l’umanità. Quella degli uomini la fa perdere!
Maestro, è bello per noi stare qui! È solo Gesù che salva. Dove la vediamo? Nella bellezza della liturgia se comprendiamo quei segni che ci aiutano a contemplarne la presenza. Ed è la stessa presenza che possiamo vivere nel servizio, cioè nell’amore gratuito, che è solo dono. Quando doniamo si trasfigurano la nostra vita e la nostra persona e gli altri vedono qualcosa della presenza di Dio, il suo riflesso. Nell’amore umano si rivela quello spirituale di Dio. L’amore di Dio, amore, e non vaga spiritualità dai contenuti incerti e inafferrabili, amore che chiede amore, amore che fa sentire amati ma che ci impegna anche ad amare. L’incontro con Lui sprigiona una forza piena e ci dona la gloria vera. E lo sappiamo che l’amore cambia la vita, la rende piena. Anche l’aspetto e il volto cambiano! È il pegno del nostro futuro, quando “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. È la capacità di amore che abbiamo dentro di noi, quel pezzo di cielo che è nascosto dentro e che Gesù rivela pienamente. Spesso è nascosto, sotto la paura, la rassegnazione, l’amore per noi stessi. È la forza di amore che dissipa l’oscuro terrore di Abramo, l’inquietudine che in tanti modi avvolge la nostra vita, la confonde, la riempie di turbamento, di paura e angoscia.
“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” E ascoltare è sempre unito al mettere in pratica, perché l’amore non lo capisci fuori dalla vita ma dentro. Se ascoltiamo e mettiamo in pratica il Vangelo vedremo questa luce e diventeremo anche noi luminosi. Chi ama dona luce. La trasfigurazione possibile per tutti, e che rende visibile nella vita ordinaria quella luce, è essere buoni. Non buonisti, cioè quelli che non amano ma si compiacciono, si esibiscono, si accontentano delle proprie emozioni, non hanno il “problema di risolvere il problema” ma quello di farsi vedere. I buonisti cercano le vie facili, quelle conformi agli istinti, alle passioni, agli interessi immediati della nostra natura debole, complessa e corrotta. Essi ottengono solo il cattivismo, ciò che rivela la pochezza del loro amore, che non ama. I buoni, invece, sono forti, intelligenti, resistenti, tutt’altro che compiacenti. Per essere buoni, per essere uomini, per essere cristiani, bisogna essere forti; bisogna conservare la lucidità di giudizio che ci viene dalla Parola di Dio. Bisogna essere indipendenti dalle suggestioni con quella che Paolo VI chiamava “virile bontà”. Buoni e non ipercritici, sempre scontenti degli altri e mai sazi del riconoscimento di noi, che finiscono per cercare ciò che divide, che distingue, invece di ciò che unisce o il motivo di stima.
L’amore vede e attrae non perché non si rende conto del male o lo evita, ma perché lo illumina. Chi ama è pieno di luce e così rende luminosa la vita degli altri. È questa la luce da mettere in alto; sono le nostre opere buone che manifestano a tanti la gloria del Signore, la Sua forza di amore per gli uomini. Quando un po’ di solitudine è illuminata dalla compagnia, quando una cella è aperta dalla speranza, quando l’isolamento della malattia è superato dalla visita, ecco, lì possiamo vedere la stessa gloria della Trasfigurazione. Pietro cerca di conservarla, come avviene a noi quando capiamo, quando sperimentiamo qualcosa di bello, unico, e vorremmo che durasse per sempre. Sembra che tutto torni normale, ma in realtà quella luce l’abbiamo dentro. Non si perde. Sarà piena e per sempre, anche nella fatica di attraversare tanta oscurità. Un cuore pieno di Dio ci rende come astri sulla terra, perché chi ama e dona rende la vita intorno diversa, e molto più di quello che crede. Questa luce anticipa quella del cielo e la rivela a noi, uomini della terra. È la luce non finisce.
