Che gioia ritrovarci proprio qui per celebrare l’Eucarestia di ringraziamento per e con don Oreste. Ricordiamo i cento anni della sua nascita, il dono di tutta la sua vita. Farlo ci aiuta a capire cos’è la vita e cos’è la vita eterna. Cercarla ci aiuta a vivere bene quella terrena! Noi crediamo alla vita eterna e il ricordo di don Oreste non è perso nell’indefinito, o rivolto al passato, ma ci fa contemplare il futuro che è speranza nel presente, luce della Resurrezione di Gesù che illumina il sepolcro, luce di stelle che orientano nei confusi incroci della vita. La vita eterna ci aiuta a non accettare il male e a cercare già oggi quello che non finisce, che non delude, che è davvero nostro perché lo regaliamo al prossimo. Cosa ci chiede oggi don Oreste? Dove ci porta con la sua bonomia e fermezza, con la passione radicale e con tanta fisica tenerezza?
Chi ci fa “vedere”, ascoltare, rivestire di amore, prenderci in casa, anzitutto quella del nostro cuore ma anche quella delle nostre case, per essere famiglia di Dio? È don Oreste che ci ha dato appuntamento qui sulla spiaggia, per aiutarci a guardare lontano, a non avere paura di misurarci con l’immensità del cielo e con l’orizzonte grande della terra, finito ma anche infinito proprio come è l’orizzonte. Sentiamo qui con noi i tanti che non sono presenti fisicamente, uniti nel legame invisibile, ma così concreto, della comunione, coloro che celebrano la stessa presenza di amore nell’altro lato di questa nostra cattedrale che è il creato.
I doni ricevuti ci spingono a conoscere e amare il donatore, Colui che si mostra nella nostra vita e ci invita a diventare anche noi dono, perché il dono è nostro proprio quando non ne facciamo penosamente un possesso, un motivo di orgoglio o di convenienza, ma solo condivisione e legame di amore. Diceva don Oreste con penetrante chiarezza: “Ogni persona si sente dono nella misura in cui esiste per qualcuno. Se uno non esiste per qualcuno è, in realtà, come se non esistesse. Allora la vita è un canto nella misura in cui tu accogli, nella misura in cui tu sei dono.
Ma tu prendi coscienza che sei un dono solo quando c’è un altro che accoglie il tuo dono. Ebbene, nella condivisione diretta della vita dei poveri, degli ultimi, quale sorte ci è capitata di vivere? Proprio quella di avere come dono di Dio coloro che più recepiscono il dono, coloro che non sono amati da nessuno, coloro dei quali non si innamora nessuno e che, quindi, hanno un potere enorme di capirti come dono. Tutta la vita è un dono, un canto stupendo!”. Ed è il canto della terra e del cielo, il nostro canto.
Il libro del Siracide (18,8-11) si interroga con amarezza ma anche con tanto realismo: “Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male?”. E aggiunge: “Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia”. Quando ci confrontiamo con l’orizzonte e con l’infinito misuriamo il poco e la vanità della nostra vita, ci liberiamo di tante presunzioni pericolose e anche capiamo come, nella goccia che siamo, in ognuno di noi si rivela la grandezza di Dio, la Sua e nostra eternità. E capiamo la bellezza della vita che don Oreste ci ha offerto, la grandezza, certo a volte faticosa, delle nostre case.
Don Oreste continua a farci sentire famiglia e la luce del suo amore riflette quella eterna. È la stessa luce che portava nei luoghi e nei cuori più oscuri e che faceva trovare nei tanti piccoli che ha amato e difeso la loro straordinaria bellezza, altrimenti nascosta, umiliata. Don Oreste continua ad aiutarci a riconoscere il corpo di Gesù nell’Eucarestia e nei piccoli. Corpus Domini tutti e due! Uno del tutto spirituale ma sempre materiale, l’altro tutto materiale ma sempre spirituale. Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, “perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili”.
Don Oreste continua a farceli “vedere” con gli occhi di Gesù, a riconoscerlo nel tabernacolo che nella casa della Papa Giovanni XXIII è il cuore e l’intimità della famiglia e di ciascuno, e anche nella relazione affettiva, personale, nel legame di amore che ci unisce, tra noi, e con i più piccoli e fragili. Un amore così, davvero disarmato e disarmante, non permette di abituarci, di diventare dei distratti osservatori o degli equilibrati professionisti che però smarriscono quella spinta in più che è la gratuità, l’amore. Ci ha portato qui, in uno dei luoghi più frequentati di Rimini, perché fossimo insieme a quelli che venivano fisicamente allontanati, o talmente intimoriti che non si presentavano da soli, quelli guardati con fastidio, paura, o trattati con insopportabili paternalismo e supponenza. Per me insopportabili perché esprimono commiserazione, senso di superiorità, mancanza di rispetto, insomma un atteggiamento che non ha assolutamente niente a che fare con l’amore!
La scelta – e don Oreste quando sceglieva non aveva paura, non ascoltava tutti i dubbi, non sentiva ragioni perché amava l’unica ragione che è l’amore, non aveva misure perché l’unica misura era l’amore stesso – era che le persone emarginate, in quel periodo soprattutto le persone con handicap, stessero negli stessi luoghi in cui eravamo anche noi. “Dove siamo noi, lì anche loro”. Non un altro luogo purché non sia il nostro, ma proprio il nostro e con noi. Insieme, per loro e per noi. E direi anche dove sono loro lì anche noi, non di passaggio o per buone azioni, ma insieme! C’erano stati, si ricorda, vari tentativi dei bagnini per mandarli via perché erano “brutti”.
Diceva don Oreste: “La gente crede ancora che le persone con difetti fisici siano delle rarità dato che se ne vedono pochi in giro per la strada. Invece sono migliaia in Italia, che una mentalità distorta mantiene i più a vegetare negli istituti. Con la nostra presenza sulla spiaggia abbiamo voluto far vedere come ci si può amare e che l’amore è l’essenziale per la vita umana”. Nel 1987 ci fu una protesta “contro” e non “a favore” e il dito veniva puntato contro le persone disabili, accusate di portare disturbo all’attività turistica e che, quindi, dovevano starsene altrove. Magari potevano venire ma non nel pieno della stagione, erano troppo visibili e disturbavano. “Io non ho niente contro di loro, ma spostateli più in là”, dicevano e dice qualcuno, perché ciò accade in tanti modi ancora oggi! Dopo tanti anni, infatti, c’è ancora tanto da imparare a pensarci insieme, da costruire luoghi di “Dove noi, anche loro”, da abbattere nuove barriere invisibili e, quindi, ancora più pericolose.
E “loro” si allarga a tutti i fragili, alle vittime di questo mondo impazzito che gioca alla forza, che non teme e non ha vergogna di trasformare le falci in lance e si distrugge finendo vittima della sua stessa forza, a cominciare dai più poveri, quelli che pagano sempre per primi le conseguenze. Abbiamo bisogno di essere tutti colombe della pace e che queste volino nei tanti luoghi del fratricidio che bagna di sangue la terra degli uomini. Anche Dio vuole che stiamo dove sta Lui e viene dove siamo noi! È il segreto della comunità dono e responsabilità che sono offerti e chiesti a tutti. Don Oreste diceva: “… Manca il senso di comunità. Le parrocchie, così come sono organizzate oggi, sono superate. Parrocchia vuol dire vicino alle case. Oggi che sono caduti gli altri ideali può essere un momento favorevole per l’annuncio cristiano. Però se Cristo non forma comunione, non forma comunità, muore tutto, non c’è più niente.
La parrocchia va organizzata in ogni strada, in ogni condominio. Io vedo l’esigenza di nuove forme di comunità che diventino annuncio di fede, di speranza e di amore”. Ha iniziato a farla con tutti, con le donne sfruttate sulla strada, le persone senza dimora, gli ultimi di ogni angolo del mondo che stavano qui con noi e noi con loro, perché non c’era campo della vita in cui non si potesse declinare quel principio capace di smascherare ipocrisie e di abbattere barriere, ad iniziare da quelle che isolano nell’individualismo. Ecco dove comincia la “società del gratuito”, di dove nessuno è troppo povero da non aver nulla da dare e nessuno è troppo ricco da non aver bisogno di nulla da ricevere.
Ogni persona, diceva, è un valore perché è amata da Dio e ogni vita, anche la più ferita, è redenta nel sangue di Cristo. Un’unica casa comune e fratelli tutti. Dobbiamo costruire tante comunità, case, dove l’amore invisibile diventa visibile, dove vivere l’Amore che ripara e cura, che protegge la vita dal suo inizio alla sua fine, che diventa relazione per pensarsi per gli altri e insieme. Per don Oreste tutto questo aveva, però, un inizio e un centro: Gesù, perché Lui cambia il mondo, cioè “elimina le fabbriche dei poveri”, soddisfa “i diritti essenziali della persona, di ogni persona: il diritto alla vita, all’istruzione, al lavoro, alla libertà di scelta, alla casa, all’oggettività dell’informazione, all’uguaglianza, alla pace, e tutto ciò deve essere attuato attraverso opportuni strumenti”. Preghiera e amore per i piccoli.
Ringraziamo e preghiamo Dio dal quale tutto viene, che tutto ci dona, quel Dio che è sopra ognuno di noi, in ognuno di noi e in mezzo a noi. Nella misura in cui ci cadono le cateratte dagli occhi, noi lo vediamo con uno splendore senza fine. Lo scopo della vita è partecipare ad una briciola di quella luce infinita, donarla e scoprirla nei più piccoli.
Signore, insegnaci a guardare sempre il cielo, tenendo le ginocchia sulla terra. Insegnaci a piegarci sul prossimo per vedere il cielo perché se restiamo in piedi guardiamo solo la punta dei nostri piedi per stare dritti. Insegnaci a essere comunità, costruttori di fraternità in un mondo di soli e di isolati, che sciupano la vita e i loro doni per paura e orgoglio. Insegnaci a non considerarci distaccati dal prossimo e a impiegare quello che siamo per averlo aumentato! Signore, Dio della pace, che ammonisci Caino e ti sei fatto Abele per noi, Tu ci affidi la pace. Insegnaci ad eliminare ogni focolaio di guerra fra noi, nel nostro Paese, tra i Paesi, scegliendo che il bene che vogliamo per noi lo dobbiamo volere anche per gli altri, e insegnaci a capire e a fare nostra la sofferenza dell’altro. Amen
