Messa per gli Esercizi spirituali dei Diaconi permanenti

Ci affidiamo alla forza sorprendente del Vangelo, quella per cui niente è impossibile a Dio, o confidiamo piuttosto sulle nostre parole? In realtà ci sorprende sempre, e capiamo la grandezza del Suo amore proprio non chiudendola nel nostro cuore ma, al contrario, allargando questo per fare nostri i suoi pensieri. Papa Leone XIV si raccomanda di seguire le indicazioni di Papa Francesco, cioè di tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Servi della Parola, cerchiamo di “discernere i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia, con azioni pastorali capaci di intercettare chi è più lontano e con strumenti idonei al rinnovamento della catechesi e dei linguaggi dell’annuncio” ma sempre tenendo presente “la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata”. Ecco perché masticare la Parola, ruminarla, come direbbero i Padri sapienti di umanità e di Spirito, così diversa dalle infinite interpretazioni che girano intorno all’io invece di aprirlo all’amore e che riducono il Vangelo a tranquillante.

Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare. Lo osservano per giudicarlo. Che differenza di atteggiamento con i pubblicani che, invece, fanno festa, gli aprono il cuore, godono della misericordia come Zaccheo che cambia perché la salvezza è entrata in casa sua! Nella casa di chi si crede giusto (come arriviamo a pensarlo?) i farisei lo ascoltano ma il cuore resta chiuso, difeso dai giudizi, con una lettura malevola, diremmo politica, di Gesù, piena di confronti, alla ricerca di motivi per condannarlo. Lo osservano, non lo ascoltano. Sono i dotti e gli intelligenti, non i piccoli. Hanno orecchie e non odono. Discutono con Gesù e su Gesù, ma non gli aprono il cuore. Lo riducono ad una legge. Lo interpretano, non lo amano. Difficilmente ci identifichiamo nei farisei. Ci sono dei test, ad esempio, che aiutano a capire la nostra supponenza: chiedere per gli altri quello che non vogliamo per noi, guardare la pagliuzza invece di cercare il bene e di mostrare rigore verso la nostra trave. Gesù parla partendo da quello che vede. La Parola entra nella nostra vita, non resta un auspicio generico che non dà fastidio e a cui far dire quello che vogliamo noi.

Certo, ci ama, nella parzialità della persona. La Parola davvero ci aiuta a capire chi siamo, i nostri atteggiamenti, ci mette a nudo ma amandoci, ci aiuta a capire le nostre scelte e le conseguenze di queste. Gesù non resta ineffabile e non ci lascia indecifrati. Egli nota come scelgono i primi posti. Gesù guarda e parla, non giudica maliziosamente restando in silenzio, non dà delle istruzioni per l’uso dove però la vita resta altrove. Gesù vuole liberare loro, e noi, da questa preoccupazione che spesso diventa ossessiva, perché pensiamo di star bene o male a seconda dei posti occupati, della considerazione ottenuta. Il contrario non è la mediocrità, non avere problemi, starcene tranquilli (come a scuola quando occupavamo gli ultimi posti per non farci interrogare!) ma umili, consapevoli del poco della nostra vita, di essere servi inutili, facendoci esaltare non dall’orgoglio, che ci deforma, ma dall’amore di Dio e del prossimo. Sappiamo bene come ci siano i finti umili, quelli che vogliono essere sempre visti e considerati e che restano agli ultimi posti! Gesù libera dall’idea di meritare i primi posti, tentazione che viene spesso con qualche generosità (e in un tempo di tanto sfacciato egoismo e di indifferenza, di tanti saccenti che sentenziano su tutto e non fanno nulla, basta davvero poco per pensarlo!), tentazione che non fa accorgere che la vera ricompensa per tutti è proprio quell’invito, è stare lì, è la misericordia che tutti riceviamo, non conquistiamo, perché gratuita e dono. Perché li cerchiamo? Per l’attenzione all’apparenza, per essere creduti ma non credibili, e, banalmente, per avere (credere di avere) importanza.

Il consiglio di Gesù è quello di farsi esaltare e non di esaltarsi da soli. È l’amore di Dio, e quello del prossimo, che ci rende importanti solo perché amati! Ha ragione il Siracide: “Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore”. Viviamo in un mondo di forti e in una stagione di esibizione volgare, impudìca, scontrosa e con la propria forza come affermazione di sé. Lo vediamo in grande e anche in piccolo. Un mondo di forti che fa crescere la violenza, l’aggressività, che rende la debolezza un fallimento e, quindi, anche la vita stessa che è, infatti, sempre segnata dalla debolezza e accompagnata dall’ombra di morte che ci segue. “Fate del bene a quanti più potete, e vi seguirà tanto più spesso d’incontrare dei visi che vi mettano allegria”, consiglia Manzoni, perché è proprio vero: “Si dovrebbe pensare più a fare bene che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”, noi e il prossimo. Stiamo male se il nostro star bene lo misuriamo con i primi posti che, poi, nella versione digitale comporta ulteriore esibizione tanto che perdiamo il senso del pudore, del discernimento, della consapevolezza di sé. Chi si esalta sarà umiliato. Noi spesso siamo umiliati, ma scopriamo proprio in questo una forza straordinaria, perché ci riporta all’essenziale, ci libera, ci restituisce la gioia vera di qualcuno che ci viene sempre a cercare perché esalta gli umili. E la prima umiltà è essere gratuiti, regalare, dare in elemosina il cuore.

“La gratuità è la capacità di fare alcune cose per il solo fatto che di per sé sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato, senza aspettarsi immediatamente qualcosa in cambio” (FT, 139).  Per questo accogliamo i due consigli molto concreti, pratici, personali, possibili del Vangelo di oggi. “Mettiti all’ultimo posto!”, perché sai che tutto è grazia, perché ricordi il tuo peccato, sei sorpreso di un amore tanto più grande del nostro, sei desiderato per quello che sei, non per quello che pensi di essere o di dover essere. L’umiltà è sempre una grande via di felicità, perché ci rende utili agli altri, mentre le risse, inevitabili, per i primi posti (quanto comuni, penose, volgari anche quando sono in prima pagina!) rendono tutti pieni di confronti, finiscono per mettere in mostra i tratti peggiori del nostro cuore e per far dimenticare quello che serve a tutti, il bene comune. Troviamo la gioia quando sentiamo la stima e la riconoscenza di qualcuno che ci dice: vieni più avanti, perché sei importante per me, perché ti voglio vicino, perché ti amo. L’amore si riceve, non lo conquistiamo imponendoci, rubandolo per arrivare prima degli altri! Chi pensa di fare a meno degli altri, perché il suo problema è essere primo davanti o contro di loro, sarà umiliato dalla durezza della vita stessa che rivela la solitudine e l’illusione di tanti ruoli che non hanno amore autentico e duraturo. Condividiamo il pane della terra e insegniamo a farlo, anzitutto con il nostro esempio credibile e trasparente, e con l’amore tra noi, noi che condividiamo il pane del cielo. E così daremo tanta gioia e troveremo il senso del nostro servizio, cioè della vita e di ciò che la rende eterna.

Villa San Giacomo, San Lazzaro di Savena, Bologna
31/08/2025
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