messa per la Beata Vergine di San Luca

Bologna, Cattedrale

Che cosa chiederemo alla Vergine Madre di Dio, che oggi è discesa fino a noi, si direbbe per ascoltarci meglio, per farsi meglio ascoltare, per invitarci a sentire più da vicino il suo inesauribile affetto?
Le letture di questa domenica ci danno un suggerimento prezioso: le chiederemo di farsi per noi maestra d’amore.

Questo è il dono che aspettiamo stasera dalla Madonna: di guidarci a capire che cosa significa amare e di insegnarci ad amare. È un dono impagabile: amare e sentirsi amati è la cosa più bella del mondo. È un dono necessario: nessuna parola oggi è usata così tanto e capita così poco: nessuna realtà è più rara di questa nel mondo in cui viviamo, un mondo che appare spesso sazio di piacere e di sesso, ma sempre assetato e affamato d’amore.

Qui c’è anche il cuore del magistero di Cristo e l’anima di tutto il suo Vangelo: dalla misericordia di sua Madre imploreremo la grazia di essere discepoli intelligenti e desiderosi di aprirci alla luce.
Tutto comincia nel segreto di Dio: «Il Padre ha amato me», ci dice Gesù. Non c’è parola del linguaggio umano che possa meno poveramente indicare il mare insondabile dell’essere eterno e l’oceano infocato della vita divina: «Dio è amore». Tutto dunque comincia dall’amore.

In questo Figlio eternamente amato, Dio ha amato anche noi. L’impeto di carità, con cui si fa principio generatore del suo Unigenito, non si contiene entro l’infinità della natura divina, ma si dona all’esterno, riuscendo a valicare l’invalicabile e a raggiungere il mondo: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito».
Gesù, il verbo di Dio, è dunque mandato a noi dall’amore del Padre; un amore cui si associa l’amore limpido e appassionato di un cuore di carne: il cuore di una fanciulla intatta, che nella pienezza dei tempi diviene sua madre. Così Maria si colloca al centro del disegno di Dio e quindi può, più di ogni altro maestro, aiutarci a capirlo.

Mandato dall’amore, il figlio di Dio è venuto ad amare: «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi». Ci ha amati: niente di più grande, di più sublime, di più salvifico, egli ha compiuto fra noi; niente di più grande, di più sublime, di più salvifico è stato a noi rivelato.
Così tra noi e il Figlio di Dio nasce il prodigio dell’amicizia: «Vi ho chiamati amici», «voi siete miei amici»: parole da non dimenticare mai, specialmente nei momenti amari nei quali ci si trova soli con la propria pena e la vita pare un deserto. «lo non sono solo» (Gv 8,16), poteva dire Gesù nell’ora in cui tutti l’abbandonavano. Così possiamo dire anche noi: non siamo mai soli, perché abbiamo in lui un amico che non ci volta mai le spalle.

Il Signore nutre per noi un’amicizia così premurosa e forte da metterci a parte di tutti i suoi segreti più gelosi: tutto il progetto di Dio su di noi e sul mondo, tutto ciò che è stato deciso a nostro favore nell’intimità della famiglia divina, tutto il senso della missione redentrice del Figlio ci viene svelato, perché non siamo più creature estranee chiamate soltanto a servire, ma siamo esseri fortunati, avvolti dalla calda benevolenza che è propria degli amici: «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi».

Destinatari di questo incredibile amore, siamo a nostra volta chiamati ad amare; come la Vergine Maria che, appena sperimentata nell’annunciazione la predilezione di Dio, subito riversa sugli altri la sua carità, correndo in aiuto di Elisabetta.
Così nasce la legge fondamentale della convivenza cristiana, l’eredità tipica e quasi la parola d’ordine del nostro Salvatore: «Questo è il mio comando: che vi amiate gli uni gli altri».

È interessante notare che, a questo punto del suo magistero, a Cristo non basta più neppure la grande regola antica, che pure egli stesso aveva riproposto, e cioè: «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Qui Gesù assegna all’amore dei fratelli una modalità ancora più eccelsa, una misura ancora più generosa: non come te stesso, ma come io ti ho amato. Raggiunti dalla forza senza limiti dell’amore divino, proprio in questo amore dobbiamo trovare il modello, sempre inarrivabile ma sempre urgente e stimolante, della nostra disponibilità ad amare: «Come io vi ho amati».

Gesù ci dice anche quali siano i frutti di un’esistenza permeata d’amore.
Dall’attitudine ad amare nasce la vera conoscenza di Dio, non quella astratta e arida dei filosofi, ma quella connaturale e trasformante dei santi: «chiunque ama – abbiamo ascoltato nella seconda lettura – conosce Dio», «chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore».
Dall’amore nasce la vera vita: «chiunque ama, è generato da Dio». «Perché noi avessimo la vita».
E l’autentico amore è il segreto di ogni gioia perfetta e non illusoria: «questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

La Vergine Madre di Dio, che ha espresso la sua perfetta adesione alla volontà del Padre facendosi operosa a favore degli altri, ci suggerisce un’ultima verità di questa sua scuola d’amore: non si ama solo a parole e coi sentimenti, ma anche nella concretezza degli avvenimenti e con la generosità dei fatti. Così ama il Padre, che ha manifestato la sua carità con la più alta e la più intensa di tutte le azioni, la missione in terra del suo Figlio unigenito.
Così ama il Verbo di Dio, che è giunto a dare la vita per gli uomini, ed è «l’amore più grande».

Così deve essere anche per noi: amare deve significare osservare i comandamenti di Dio e tradurre in ogni campo dell’esistenza la novità che ci è stata donata dal sacrificio di Cristo.
La Vergine Maria, esempio perfetto di creatura che davvero sa amare, ci ottenga la grazia di assimilare bene – nella mente, nel cuore, nel comportamento – la più bella e la più necessaria lezione che si può ascoltare alla scuola del Vangelo.

24/05/2003
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