Messa per la festa di san Francesco d’Assisi

“Come astro mattutino in mezzo alle nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come sole sfolgorante così egli rifulse nel tempio dell’Altissimo”, così prima abbiamo ascoltato. San Francesco ci aiuta a guardare il cielo, a sentirlo vicino, a trovare consolazione e speranza per avere speranza verso il prossimo e trovarla per noi. Viviamo in un tempo di tanta paura che, però, così poco diventa consapevolezza. Lasciamoci aiutare “dall’astro mattutino” di San Francesco che ci aiuta a scendere da cavallo e a capire la vita così com’è, ad affrontare il nemico riconducendolo alla sua vera identità, quella di fratello. San Francesco ci indica la gioia e libera dal triste affannarsi per sé, ci mostra il vestito più bello liberandoci dalla ricerca del lusso, ci porta all’essenziale e alla vera semplicità perché liberi dall’apparenza, dalla prestazione, dalla vanità di quello che riempie di infinite emozioni il presente ma che disperde la vita. San Francesco ci mostra la gioia di Dio: i piccoli capiscono il mistero più grande, ciò che spiega tutto e rende davvero esperti di vita. I sapienti credono di conoscere già, non ascoltano, non cambiano, sono i professori che sanno dare tutte le risposte agli altri ma non si legano a nessuno, che giudicano ma non aiutano, che sono attenti alla loro considerazione, ai primi posti, al riconoscimento dei saluti, all’onorificenze ma non all’interno, diventando sepolcri imbiancati.

Sono i moralisti, pronti con le pietre in mano, che pensano di vincere il male tirandole contro i peccatori, che caricano pesi insopportabili ma loro stessi non li vogliono portare, che sono esigenti verso gli altri e indulgenti verso di sé e che, in realtà, piegano la verità alle loro convenienze. Essi dimenticano che la verità è misericordia, è relazione, è Gesù che difende la persona e la vita comune e per questo batte il male. Il fratello maggiore è giustizialista, la misericordia gli sembra un tradimento, anche lui non ascolta il padre e dimostra una distanza enorme con la regola dell’amore. Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Gesù offre ristoro, non vuole affatto che viviamo stanchi e affaticati. Lo offre anche quando non lo chiediamo! Tutti in realtà cercano ristoro ma lo scambiamo come il non avere problemi o il trovare il proprio benessere personale, a volte ossessivamente, in maniera compulsiva, come fosse un diritto. Cerchiamo solo per noi, mentre non si sta bene da soli, prendendo, possedendo. Il ristoro di Gesù è il suo amore, perché solo l’amore ci fa stare bene e l’amore di Gesù è umano e spirituale. Non si sta bene senza amare, senza farci amare, senza legami veri con il prossimo, scegliendo solo quelli come noi. Il ristoro è la sua tenerezza, che però sperimentiamo prendendo il suo giogo, prendendo quello di chi è nella sofferenza, rendendolo dolce e soave perché lo portiamo assieme, come fa Gesù con noi. Impariamo da Lui che è mite e umile di cuore, e troveremo ristoro per la nostra vita.

Mite è chi lascia spazio all’altro, chi pensa se stesso in relazione con l’altro, chi ascolta con interesse e rispetto, con attenzione non da professionista o funzionario! Mite è chi non piega le sue convinzioni e non ha bisogno di andare contro per affermarle, è chi come Gesù, vittima delle convinzioni dei farisei, non usa parole inappropriate e che ama fino alla fine. Parlare di mitezza e umiltà sembra, in questo momento, di essere fuori dal mondo perché prevalgono l’aggressività, la rapidità a tutti i costi per farla pagare, parlare sopra, ferire. La vera amicizia con Gesù si vede con la nostra bontà del cuore e con la misericordia, con l’amore per la giustizia e la verità, con l’impegno per la pace e la riconciliazione. Mite è in realtà un forte, come l’umile è il grande. Non si butta via, anzi, è lui che non butta via niente di sé. L’umile cambia, il grande si impone. Non è essere slegati, anzi. Prendiamo il suo giogo, che è dolce e il suo peso leggero, perché solo di amore. L’io e il noi. San Francesco lo vive pienamente. Non si pensa da solo ma con il Signore e con tutti, ad iniziare dalla sua famiglia di amicizia, che pensa pienamente come la casa del suo io. «Laudato si’ mi’ Signore». Laudate, e mio. Ci aspetteremmo: «Laudate il nostro Signore», o «Ciascuno lodi il suo Signore». «Sora matre terra» e di «sora morte corporale», entrambe qualificate di nostra, non di mia: nostra. L’espressione «mi’ Signore» non indica esclusività, anzi, significa che io appartengo a lui, tanto che il possessivo, da attivo che è di solito, si rovescia nel passivo, e il possessore apparente si dichiara posseduto. «Laudato sì, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore / e sostengo infirmitate et tribulatione. / Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, / ka da te, Altissimo, sirano incoronati».

Gli ultimi anni della vita di Francesco sano stati segnati da forti problemi fisici e di relazione con i frati. Tommaso da Celano scrive apertamente che Francesco “vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell’ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l’applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi”. Questa sua sofferenza, in realtà, ci aiuta nella consapevolezza del nostro servizio e ci ricentra su Gesù. La scelta di Francesco è una sola: “Vivere secondo la forma del santo Vangelo”. “Sine glossa”, senza aggiunte, quelle che ne fanno perdere il senso.

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi prenderemo dimora presso di lui”.  San Francesco come Gesù “spogliò se stesso”, e si fece povero, povero tra i poveri, cercando Gesù tra i lebbrosi e gli scartati, tra gli ultimi. Non si può essere se stessi senza consegnare gli ostaggi. Secondo il biografo Tommaso da Celano, Francesco fu colpito dal passo che si trova in Matteo 10,9: “Non procuratevi oro e argento, né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone…”. Alla fine esclamò: “Questo voglio! Questo bramo con tutto il cuore!”.  Per Francesco l’ascolto del Vangelo è sempre legato all’incontro con Gesù. Occorre accogliere l’amore di Dio nella nostra vita, perché così Egli “porrà in loro la sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nel cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri. Oh, come è glorioso e santo e grande avere nei cieli un Padre!”.

Al termine della vita disse: “Laudano sie, mi Segnore, per sora nostra Morte corporale, dalla quale null’omo vivente po’ scampare. Guai a quilli ke morira` ne li peccati mortali! Biati quilli ke trovara` ne li toi sanctissime volontade ke lla morte seconda no li farà male”. È la spogliazione ultima. “Si fece deporre nudo sulla terra nuda, per essere preparato in quell’ora estrema”. È l’imitazione di Gesù, di cui ascoltò la lettura della lavanda dei piedi, quando si spogliò e si cinse i fianchi. Francesco si spoglia di tutto se stesso. Non si annulla disperdendosi in una divinità senza nome e senza volto, nella quale scompare il soggetto nel tutto. Al contrario, nel momento in cui si spoglia dell’io, Francesco, e con lui ogni cristiano, resta solo con il me, oggetto di un amore speciale che ama proprio me, realizzazione della vita. Ed è per questo che Francesco per primo può cantare, insieme ai suoi amici: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale”. La morte non può sopportare occhi buoni e cuori disarmati e confidenti. Chiamarla sorella è la sua vera sconfitta. L’amore vince, tanto da non avere paura. San Francesco ci insegna che il male si sconfigge con il perdono, e con l’amore e che, donandolo, resta con noi, così chi non ha niente può essere ricco di tutto e rendere tutti ricchi. Per questo è un uomo di pace e di bene. Che sia così anche per noi.

Basilica di San Francesco, Bologna
03/10/2025
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