Messa per la Tredicina della festa di Sant’Antonio di Padova

Mosè ci chiede di ricordare. Ammonisce di non dimenticare come “il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” e in un deserto “grande e spaventoso”, luogo di serpenti velenosi e terra assetata, senz’acqua, ha fatto scaturire sorgenti e “ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri”. Ti ha protetto. Ti ha fatto camminare e affrontare situazioni difficilissime. Perché dimentichiamo? Come è possibile smarrire la consapevolezza di una protezione della nostra vita? È vero che non ce ne accorgiamo e pensiamo di fare tutto da soli. Dimentichiamo perché rendiamo proprietà il suo amore, senza altro interesse che amarci, conservando quello che invece ci è affidato per donarlo, perché diventa nostro solo quando lo regaliamo. Dimentichiamo la sofferenza perché è un ricordo ingombrante e pensiamo che il benessere sia ignorarla, evitarla, rimuoverla. A volte chiamiamo questa “elaborazione”, ma la morte a ben vedere non la elaboriamo mai: fa male e basta e non la si può addomesticare perché spegne la vita. Bisogna vincerla. Gesù ci insegna come: affrontandola e vivendo tutto, anche la morte, per amore. Non dimentichiamo, allora, la tanta sofferenza: non nascondiamola o non cerchiamo un benessere finto, che non affronta il limite, con la speranza così di andare avanti. Il ricordo del suo amore ci libera dall’amarezza delle delusioni, dall’incertezza della paura, e ogni volta che il male ci suggerisce di non essere amati, o di non esserlo a sufficienza, sappiamo che non ci abbandona mai.

Oggi, con Sant’Antonio, celebriamo il mistero di comunione di Dio con l’uomo tanto che non manda la manna, viene Lui, non ci nutre con il pane degli uomini, ma spezza il pane degli uomini perché sia quello del cielo. Ed è sempre Corpus non allusione, sensazione inafferrabile e irraggiungibile perché sempre sfuggente, idealizzata. È comunione che ci nutre nel nostro cammino, cibo non dei perfetti, dei puri, dei buoni, ma dei peccatori, degli stanchi e affaticati, farmaco di misericordia offerto da un Dio che non ci ama perché siamo buoni ma ci rende buoni perché ci ama per la sua ostinata convinzione che, stando con Lui, lo diventiamo, e che tutti vogliamo e lo possiamo diventare. È il Corpus Domini sempre unito al Verbum Domini che è la voce di questo corpo. Chi si nutre di questa, cioè legge il Vangelo, è come facesse la comunione, e fare la comunione ci richiede sempre nutrirci della voce di quel Corpus che non è muto. E questa ci rimanda al Corpus pauperum, da amare e onorare come ci ha detto Lui. È un pane che, proprio perché presenza, corpo, chiede incarnazione, genera comunione nella vita materiale. È un corpo spirituale che ci aiuta ad essere materiali, perché non siamo mai solo materia. Ci fa sentire spiritualmente uniti a Cristo, ci fa gustare la sua scelta di “rimanere” in noi, ci rassicura che noi rimaniamo in lui e ci chiede di rendere questa vita nutrimento spirituale e materiale di amore per i tanti che non conosciamo. Nessuno è escluso. Possiamo già essere una cosa sola così come saremo. Non ci sono stanze singole in cielo! Non siamo e non saremo uguali, non il pensiero unico ma una cosa sola, uniti, amati e amanti. “Io sono il pane vivo”.  È il pane di amore. Chi si nutre di questo pane “rimane in me e io in Lui”.

       Dobbiamo parlare a tutti, portare questa presenza, questo Corpo, perché nutra la comunione dei cuori, diventi legame, amicizia, solidarietà, fraternità. E il primo modo è far conoscere il suo amore attraverso il nostro. Si parla del Vangelo anzitutto con la nostra vita. E parliamo di Gesù, noi siamo così perché Lui ci ha amato e ci fatto incontrare il suo amore attraverso dei fratelli e delle sorelle. Non può restare nel cuore il suo amore: deve diventare Corpo, umiliarsi e diventare visita, attenzione, sensibilità, ricordo, speranza, compassione verso l’uomo mezzo morto, misericordia. Quest’anno ricorrono gli ottocento anni dalla predica di Sant’Antonio ai pesci a Rimini. Nessuno lo ascoltava, mostrava di accorgersi di lui, far caso a quello che dice. S. Antonio non smette: non maledice, non condanna, ma continua a parlare del Vangelo. Non guarda il risultato. La parola è un seme che vale sempre la pena di gettare ovunque perché darà sempre dei frutti inaspettati. Ed è un seme di vita e quindi di pace. Niente è impossibile a Dio e tutto può cambiare. Si rivolge ai pesci. Essi affiorarono ad ascoltare la parola di esortazione e di lode. E a vedere questo iniziano ad ascoltare anche gli uomini! Non stanchiamoci di comunicare sempre il Vangelo della pace. Niente è estraneo e tutto, anche i pesci, ci fanno cantare il Laudato. Anche i pesci capiranno. Così inizia quello che vivremo e capiremo pienamente in cielo. Così inizia il cielo qui sulla terra. È pane degli angeli e pane dei pellegrini. “Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi, nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.

Padova, Basilica del Santo
10/06/2023
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