Con commozione ci ritroviamo in questo luogo bagnato dal sangue di Abele, nel giorno del Signore, a nutrici della sua Parola e del suo Corpo, per fare nostra la sua volontà della quale abbiamo tanto bisogno. Non è certo volontà di Dio che Caino alzi le mani su suo fratello. È lui, in realtà, che fa la sua volontà lasciandosi dominare dall’istinto! Dio parla con Caino. Lo invita a dominare la violenza, per non esserne dominato. Questa è la volontà di Dio, che ricorda a Caino che ha un fratello, non un nemico. La guerra non è ineluttabile, non è una condanna che è insita nell’umano, per qualcuno addirittura una necessaria purificazione. Gesù ci ha dato da tempo altri metodi per purificare i nostri cuori e le nostre relazioni. E l’uomo non è il suo istinto. Non siamo stati fatti per vivere come “bruti”. E, quindi, non è umano esserlo, omologare come ineluttabile la forza delle armi, considerare come se non fosse umana quella del diritto, mentre è più umana. La pace non è da ingenui: è l’unica via per vivere. Chi di spada ferisce di spada perisce, come afferma Gesù, primo non violento – poco seguito – che mostra con la sua vita, la volontà di Dio, perché questa non fosse opinabile. La volontà di Dio è scritta in fondo ad ogni uomo che così ne porta l’immagine: l’amore. Davvero ci domandiamo: dov’è finito l’uomo? Se ascoltassimo il Signore, che mai e per nessuno benedice e giustifica la violenza contro il fratello, quanto cambierebbero le relazioni tra noi e tra i popoli!
Il profeta Abacuc interroga Dio: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: Violenza! E non salvi?”. Accusa Dio di essere spettatore. In realtà, spettatori siamo noi che guardiamo e non facciamo nulla! La domanda ha una risposta: Gesù. Non resta spettatore. Entra pienamente nella nostra vita. La guerra Dio l’ha già abrogata mandando suo Figlio disarmato, che si fa servo, che è messo in croce, che non costruisce la croce per i peccatori e i colpevoli, ma ci insegna ad amare anche i nostri nemici, per vincere l‘unico nemico, l’inimicizia. Impareremo? Me lo sono chiesto ieri a Rovereto, dove cento anni fa, poco dopo la Prima Guerra Mondiale, venne fusa una campana gigantesca fondendo i cannoni. Tutti i giorni con cento rintocchi scandisce il tempo, convoca la comunità, ricorda il testamento dei morti per le frontiere e il nazionalismo. È la “Campana dolens”. Suona per noi, come quella di Casaglia, ricordando il dolore di chi è morto nelle inutili stragi, come quelle che suonarono qui nei giorni della follia dell’uomo accecato dal paganesimo nazista e fascista. Quella campana è anche una sveglia, che ricorda il dono di una casa comune, l’unica che può permettere di risolvere i conflitti con il dialogo e la giustizia e non più con la guerra. La parola guerra, come ha detto qualcuno, già da sola dovrebbe spaventare. Difendere la pace significa anche difendere e costruire l’Europa, dargli un’anima, farla crescere, proprio ricordando tutte queste vittime che ce la indicano, che l’hanno sognata, combattendo i nazionalismi che non hanno niente a che fare con l’amore della propria Patria, anzi, ne rappresentano il tradimento perché contro altri e non insieme. Pace e giustizia richiedono organismi sovranazionali capaci di difenderle, altrimenti c’è solo la terribile logica della forza, geometrica, che porta obbligatoriamente al riarmo. Sento in questo luogo il timore di fronte a tanta sofferenza e non nascondo il fastidio verso le personali timidezze, (e noi non abbiamo ricevuto uno spirito di timidezza, ma della vera forza, perché l’amore è fortissimo, pacifico, resistente, rispettoso).
Sento il fastidio verso i ritardi omissivi, le opportunità perse, la scarsa consapevolezza, che risultano colpevoli quando dobbiamo stare dalla parte delle vittime, quando dobbiamo risolvere in fretta le cause dei conflitti, proteggere dallo scoppio di altri. Provo fastidio per l’ideologizzazione e la strumentalizzazione del dolore altrui, che deve essere tutto nostro; per la polarizzazione che invece di cercare di capire fa solo schierare, invece di aiutarsi, divide. Tutto ciò che difende l’umanità – per tutti e in ogni luogo – è per noi direbbe Gesù, liberi da ideologizzazioni e in una comune ricerca della pace. Temo che il seme dell’odio, che contiene sempre la vendetta e che è sempre omicida, cioè fratricida, è un seme che non è mai inerte anche se sepolto nella memoria. Il seme dell’odio facilmente viene accarezzato e coltivato, addirittura per convenienze (il consenso ottenuto con l’odio è un veleno pericolosissimo e distruttivo), accusando e dileggiando con un uso sconsiderato delle parole, enfatizzate dai meccanismi digitali che allevano campioni della tastiera ma vigliacchi o insensati nella vita vera. L’odio cresce quando non diamo e non chiediamo perdono, non ripariamo le relazioni ferite, quando permettiamo la ripresa di antisemitismo, ma anche di islamofobia e di tanto anticristianesimo, religione che è la più colpita e ha il più alto numero di vittime. Per la pace non possiamo essere timidi e sento quanto è necessario difenderla, costruirla, desiderarla, anzitutto disarmiamo i nostri cuori, perché solo un cuore disarmato costruisce la pace. Altrimenti ci si schiera per qualcuno e si nutre la divisione.
L’Apostolo ci chiede di ascoltare lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato, che è quello di Pentecoste, la lingua che già possiamo parlare, parlando la nostra – appartenendo a un popolo, a una cultura – ma che tutti capiscono nella loro lingua perché l’amore vero tutti lo sentono e lo capiscono. È la lingua che sanno parlare i bambini tra loro, magari litigando ma pensandosi assieme. Se non diventeremo come bambini non entreremo nel Regno dei cieli. Ecco l’uomo che verrà! Se non difendiamo i bambini costruiamo un inferno. Tra pochi giorni ricorderemo il 7 ottobre e insieme tutte le vittime, ad iniziare dai bambini, tutti nostri, tutti innocenti che non sono più. Dicemmo con Daniele De Paz, Presidente della Comunità ebraica di Bologna: “Ogni bambino che muore è una promessa di futuro che viene spenta, un lutto per tutta l’umanità. Facciamo appello a tutte le persone di buona volontà, ai responsabili politici e religiosi, affinché si impegnino al massimo per porre fine immediatamente alle ostilità. È urgente che il fuoco cessi, che le armi tacciano e che il dialogo prenda il posto della violenza”. Preghiamo perché i semi del dialogo, che apre nuove prospettive (ma non comincia sempre troppo tardi?) e chiede di rispettare colui con cui si dialoga, possa dare i frutti desideratissimi. Tutti sappiano collaborare per rafforzarlo e le parti accettino di farsi aiutare, tutte.
Davanti a tanto infinito dolore, a forze enormi, a interessi nascosti, e a tanta complessità che chiede di capire per poter stare dalla parte della pace, anche noi chiediamo al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». Possiamo farlo. La pace si invoca e questa invocazione diventa scelta e azione di pace. Un granellino di fede, forza vera, così diversa da quella feroce dell’uomo. Ecco cosa ci chiedono le vittime che oggi onoriamo, e ricordare significa ascoltare la loro voce, il loro testamento e, con tanta responsabilità, senza timidezze ma con determinazione, costruire la pace. Papa Leone XIV ha chiesto che ogni parrocchia, comunità cristiana sia una casa di pace, di non violenza, perché gli artigiani di pace la vivono tra loro, amandosi come fratelli. «Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa». Tanti che la chiedono in questi giorni in maniera pacifica – chi chiede pace con la violenza è il primo a tradirla e a offenderla gravemente – sono compagni di strada. Ecco, costruiamo comunità che non smettano di cercare e costruire la pace che il Signore ci affida, e di farlo per quell’unica guerra che ha tanti pezzi, certamente alcuni più decisivi ma tutti importanti e nostri.
Desidero concludere facendo mie le parole profetiche di Paolo VI all’Onu, proprio sessant’anni fa. Era il 4 ottobre, non a caso festa di quell’uomo umile, mite, affatto timido, cortese, fortissimo, totalmente disarmato che si chiamava Francesco. Disse: “Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso”. Ascoltiamo oggi la loro voce? L’ONU serviva per mettere insieme gli uni con gli altri. “Nessuno sia superiore agli altri. Non l’uno sopra l’altro. L’orgoglio provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell’egoismo; rompe cioè la fratellanza. Non gli uni contro gli altri, non più, non mai!”. “Lavoriamo con fratellanza per rendere i Paesi capaci di lavorare gli uni per gli altri”. Perché tutto questo sia reale occorre costruire anche una casa di pace e di giustizia, rivederla, perché sia il diritto e non la forza a dirimere i conflitti. Sostituire l’odio con l’amore, la diffidenza con la comprensione, l’indifferenza con la solidarietà, l’ignoranza con l’educazione e il rispetto.
Ecco la sua preghiera. Ci suggerisce le parole davanti alle guerre che viviamo. “Signore, noi abbiamo ancora le mani insanguinate dalle ultime Guerre Mondiali, così che non ancora tutti i Popoli hanno potuto stringerle fraternamente fra loro; Signore, noi siamo oggi tanto armati come non lo siamo mai stati nei secoli prima d’ora, e siamo così carichi di strumenti micidiali da potere, in un istante, incendiare la terra e distruggere forsanche l’umanità; Signore, noi abbiamo fondato lo sviluppo e la prosperità di molte nostre industrie colossali sulla demoniaca capacità di produrre armi di tutti i calibri, e tutte rivolte a uccidere e a sterminare gli uomini nostri fratelli; così abbiamo stabilito l’equilibrio crudele della economia di tante Nazioni potenti sul mercato delle armi alle Nazioni povere, prive di aratri, di scuole e di ospedali; Signore, noi abbiamo lasciato che rinascessero in noi le ideologie, che rendono nemici gli uomini fra loro: il fanatismo rivoluzionario, l’odio di classe, l’orgoglio nazionalista, l’esclusivismo razziale, le emulazioni tribali, gli egoismi commerciali, gli individualismi gaudenti e indifferenti verso i bisogni altrui; Signore, noi ogni giorno ascoltiamo angosciati e impotenti le notizie di tre guerre, ancora accese nel mondo; Signore, è vero! noi non camminiamo rettamente! Signore, guarda tuttavia ai nostri sforzi, inadeguati, ma sinceri, per la pace nel mondo! Vi sono istituzioni magnifiche e internazionali; vi sono propositi per il disarmo e per la trattativa; Signore, vi sono soprattutto tante tombe che stringono il cuore, famiglie spezzate dalle guerre, dai conflitti, dalle repressioni capitali; donne che piangono, bambini che muoiono; profughi e prigionieri accasciati sotto il peso della solitudine e della sofferenza; e vi sono tanti giovani che insorgono perché la giustizia sia promossa e la concordia sia la legge delle nuove generazioni; Signore, Tu lo sai, vi sono anime buone che operano il bene in silenzio, coraggiosamente, disinteressatamente e che pregano con cuore pentito e con cuore innocente; vi sono cristiani, e quanti, o Signore, nel mondo che vogliono seguire il Tuo Vangelo e professano il sacrificio e l’amore; Signore, Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace”.
