Il Giubileo che stiamo vivendo ha, come sappiamo, una nota specifica così necessaria e liberante: la speranza. Memoria e speranza perché questa, essendo ben diversa dal fatalismo, dal dissennato vivere senza radici, dal vivere in maniera epidermica, digitale e schiacciata sul presente, sa ricordare. Il rischio, infatti, è che il passato diventi nostalgia e nutra i profeti di sventura, quelli che accesi di zelo sbagliato “sono capaci di vedere solo rovine e guai” e arrivano fino al punto di comportarsi come se “non avessero nulla da imparare dalla storia”. Dentro ognuno di noi c’è un grillo parlante che cerca sempre il negativo, facendoci credere di essere intelligenti, che fa vedere la pagliuzza, che sconsiglia di fidarsi e copre la bellezza con il giudizio e i confronti. Molti pensano che sia meglio proteggersi dalla speranza perché sono così tanto disillusi che pensano in questo modo di evitare possibili delusioni. Non servono, però, dosi massicce di ottimismo a basso prezzo, non serve rifugiarsi in isole protette, in oasi di benessere individuale dove chiudersi, spesso senza legami veri, condannati a buttare via, a ricominciare quando tutto è possibile, e comandati dalle varie esperienze che si presentano davanti. Possiamo sperare? Cosa ci chiede la speranza?
Questa sera capiamo che per compiere le cose grandi non dobbiamo essere importanti secondo il modello del mondo. Anzi! Sono gli umili ad essere esaltati! Quanto è vero che chi si esalta da solo sperimenta l’umiliazione! Nella festa dell’Annunciazione siamo aiutati a contemplare come si realizza la speranza e che, anzitutto, è sempre un inizio che avrà compimento solo alla fine. Ma la speranza ci fa vedere il tutto nel piccolo, il domani nell’oggi. Il “Dio con noi”, l’inizio di un mondo diverso, quella sapienza che da sempre l’uomo cerca e che entra nella nostra vita umana. Perché immaginare una vita piena di prestazioni improbabili, deprimenti ed esaltanti, che ci riempiono di cose ma ci svuotano il cuore di sentimenti? Così poi finiamo prigionieri di tante dipendenze dalle quali, come sappiamo, è difficilissimo liberarsi.
Maria è la donna della speranza perché crede nell’adempimento della Parola. Fa sua la speranza per tutti e questa diventa la sua vita. Noi ci spaventiamo della piccolezza, dell’umiltà e non cerchiamo una condizione di forza per sentirci sicuri! Maria di Nazareth si apre ad una promessa enorme, incredibile, difficile da comunicare e da comprendere. “Darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo”. La salvezza, il Regno che non avrà fine! La speranza non è avere tutto, ma credere che tutto è possibile perché nulla è impossibile a Dio e, come aggiungerà Gesù, a chi crede. Crede non chi è perfetto ma chi si fa riempire il cuore dallo Spirito, cioè dall’amore. “Avvenga per me secondo la tua parola”. Rendo concreta la tua Parola con la mia vita, prende carne. Il mondo nuovo, la realizzazione della speranza non è un compimento definito una volta raggiunto, ma è mondo nuovo che affronta quello vecchio, è seme del quale vediamo già i frutti che vedremo pieni solo nel cielo. Nell’amore, però, c’è il già, nel piccolo vediamo il grande, nel riflesso siamo raggiunti dalla pienezza della luce.
Papa Francesco, proprio qui a Bologna, parlò agli universitari di tre diritti: quelli della cultura, della pace e della speranza. Mi soffermerò in particolare su quello della speranza, tema del Giubileo. Godere di un diritto non vuol dire aspettare che qualcuno te lo dia, ma cercarlo per sé e per gli altri, rivendicarlo, viverlo e concederlo. Il fatalismo, la pigrizia, l’individualismo fanno credere di possederli senza fare nulla, come se il diritto sia indipendente dal nostro impegno. È un diritto, ma la speranza passa attraverso l’impegno di ognuno di noi. Diceva il Papa: “Tanti oggi sperimentano solitudine e irrequietezza, avvertono l’aria pesante dell’abbandono”. È molto vero, e sappiamo come ci sentiamo quando siamo abbandonati, non sostenuti, viviamo come viene, vivacchiamo, prendiamo quello che viene. C’è il diritto a non essere invasi quotidianamente dalla retorica della paura e dell’odio: “È il diritto a non essere sommersi dalle frasi fatte dei populismi o dal dilagare inquietante e redditizio di false notizie. È il diritto a vedere posto un limite ragionevole alla cronaca nera, perché anche la cronaca bianca, spesso taciuta, abbia voce. È il diritto per voi giovani a crescere liberi dalla paura del futuro, a sapere che nella vita esistono realtà belle e durature per cui vale la pena di mettersi in gioco. È il diritto a credere che l’amore vero non è quello usa e getta e che il lavoro non è un miraggio da raggiungere ma una promessa per ciascuno, che va mantenuta. Quanto sarebbe bello che le aule delle Università fossero cantieri di speranza, officine dove si lavora ad un futuro migliore, dove si impara a essere responsabili di sé e del mondo! A volte prevale il timore. Ma oggi viviamo una crisi che è anche una grande opportunità, una sfida all’intelligenza e alla libertà di ciascuno, una sfida da accogliere per essere artigiani di speranza. E ognuno di voi lo può diventare, per gli altri”.
Dio stesso bussa alla porta del nostro cuore e accende la speranza, libera dalla rassegnazione, non con una forza definitiva ma chiedendo a noi, come a Maria, amore, fiducia. Lui si affida a noi, ha così tanta speranza di noi da lasciarsi prendere con noi e, scusate, non è poco! Se noi ci affidiamo a Lui troviamo e troveremo la forza, il motivo per vivere e aiutare a far vivere il diritto alla speranza. Dobbiamo imparare anche noi ad essere credibili, cioè a rappresentare la speranza come persone sulle quali gli altri possono contare, serie, vere, gratuite, che non ingannano, come Maria, persone che non guardano dall’alto in basso, che non sono scostanti, che non devono esibire capacità, perché la vera capacità è volere bene, e questo avviene quando ognuno di noi scopre di avere una missione su questa terra.
Maria ci aiuta: accoglie la promessa e la fa sua. Prepara ancora quello che non conosce ma che fa suo indicato dall’Angelo. La speranza è personale ma poi diventa comunità, ha bisogno di amici. Non a caso Maria è anche nostra Madre e siamo generati da Lei. E come figli la prendiamo nella casa del nostro cuore, per custodirla noi. È il segreto della Chiesa: è nostra ma noi siamo suoi, e nella Chiesa nessuno è al centro, perché al centro c’è Gesù. E questo ci aiuta ad essere quello che siamo: figli, che però hanno tutto di Dio, sono eredi, pienamente, senza riserve. La speranza non delude, ma chiede persone forti, che non si arrendono, che sanno di essere più forti del male e scelgono di non essere mediocri. Ecco la nostra decisione per combattere il male, per realizzare la speranza di Dio sul mondo: una famiglia, fratelli tutti, ad iniziare da me. I cristiani hanno la responsabilità di umanizzare il mondo e di formare persone capaci di umanizzarlo.
Oggi è il ricordo dei martiri, di quanti hanno sperato e non hanno smesso di farlo anche quando c’erano minacce e difficoltà. Mons. Romero denuncio la violenza nel suo Paese, pronunciava i nomi di chi era ucciso, svelava le responsabilità di chi la faceva, e il suo esempio ha dato tanta speranza. Annunciò la speranza, la rappresentò, la fece nascere nel cuore delle persone.
Vorrei terminare con Annalena Tonelli, di Forlì, uccisa in Africa dove era rimasta perché unico aiuto per decine di migliaia di persone. “In ogni relazione con gli altri l’approccio divenga positivo … Il nostro compito sulla terra è di far vivere. E la vita non è sicuramente la condanna, lo ius belli, l’accusa, la vendetta, il mettere il dito nella piaga, il rivelare gli sbagli, le colpe degli altri, il tenere nascosta invece la nostra colpa, l’impazienza, l’ira, la gelosia, l’invidia, la mancanza di speranza, la mancanza di fiducia nell’uomo. La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che DIO c’è e che LUI è un DIO d’ìamore”. Sia così anche per noi.
