Omelia della notte di Natale 1996

Bologna, Cattedrale

“Vi annuncio una grande gioia…: vi è nato…un salvatore” (cf Lc 2, 10-11). È la notizia più decisiva che sia risonata nel mondo.

Ed è una notizia attendibile, perchÈ è venuta dal cielo: ogni volta che la notizia della comparsa di un salvatore è venuta dalla terra, di solito tutto è finito nell’amarezza di una delusione. I “salvatori” terreni (sociali, politici, culturali), che si succedono a ogni tornante della storia, ci lasciano immancabilmente coi nostri guai.

Il messaggio dell’angelo però (“vi è nato un salvatore”) ha avuto a Betlemme un indice di ascolto molto basso: solo pochi uomini assonnati e intirizziti che custodivano un povero gregge: i grandi centri di informazione e di potere quella notte hanno continuato ignari a dormire.

Ma in realtà quei pastori erano l’immagine e la primizia dell’umanità intera: oggi – si può auspicarlo – nel ricordo di quella notte palestinese quasi ogni uomo si sottrae per un momento ai suoi affanni, alle sue dissipazioni, al suo scetticismo, e prova a tendere l’orecchio alla voce che scende dall’alto, e forse qualche scintilla di speranza oggi sprizza anche dai cuori più aridi e desolati; la speranza che davvero un salvatore ci sia, e lo sconforto non sia l’approdo obbligato di un esistenza che all’apparenza pare votata solo al declino e alla morte.

Da che cosa ci salva quell’ esserino che gli angeli hanno indicato come il “segno” della salvezza arrivata? Da che cosa ci può difendere – indifeso lui stesso com’è “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”? Ci salva e ci difende da tutte le nostre sventure più sostanziali.

C’è, per esempio, un malessere che, nella verità delle cose, è di sempre, ma che si è fatto in questa nostra epoca più acuto; ed è la solitudine. L’uomo è solo, sempre più spesso e sempre più tristemente.

A uno sguardo superficiale, è un disagio che non si coglie. Abitiamo su un pianeta affollato. In certe ore non si cammina più nelle nostre strade, tanta è la gente che le gremisce, i nostri caseggiati assomigliano talvolta ad alveari brulicanti, dove si convive e ci si disturba in centinaia. Eppure in quante circostanze l’uomo di oggi si sente isolato e chiuso!

Si sente solo il giovane, persuaso che in casa nessuno lo capisca, nessuno condivida i suoi gusti e le sue idee, nessuno apprezzi le sue trovate.

Si sente solo l’anziano quando ha l’impressione che i valori cui si era affidato non hanno più credito, che attorno a lui si parli una lingua che gli è quasi straniera; che la società in cui pur continua a vivere non può dirsi più sua.

Soprattutto chi arriva alla tarda vecchiaia, troppo spesso da solo deve affrontare l’ultimo e più penoso tratto del cammino dell’esistenza.

Sembra un paradosso, se si pensa che tutto ciò avviene in un tempo che ha ravvicinato e unificato gli uomini come non mai. I mezzi di comunicazione si sono infittiti e amplificati; fatti e voci di ogni angolo della terra arrivano fino alle nostre case; siamo posti a contatto con tutto e con tutti. Ma appena si fa un po’ di silenzio, appena le scene della televisione si dileguano nel buio, troppi si ritrovano in una vita che è deserta e vuota.

Anche il senso dell’amicizia, la cordialità dello stare insieme senza bisogno di stimoli esterni ed eccessivi, la capacità di condividere gioie e dolori con gli altri: tutto ciò si e fatto più difficile e raro, spesso non ci riesce di comprendere gli atteggiamenti e le scelte altrui, e più spesso non ci riesce di farci comprendere.

Ma su questo quadro oscuro piove oggi ancora una volta, provvida e rasserenante, la luce della celebrazione natalizia.

Potessimo avere tutti la semplicità dei pastori e fare come loro; in questa notte, l’esperienza dell’inaudita misericordia del Dio che si è fatto vicino, del Dio che ha vinto la nostra angoscia con la missione del suo unico Figlio; del Dio che è venuto a infrangere la solitudine umana e a saldare il nostro destino di creature smarrite alla pienezza di felicità che è propria del creatore!

Questo bambino non deve suscitare soltanto la nostra tenerezza: deve darci un vigore nuovo e un nuovo coraggio di affrontare i nostri giorni che troppo spesso ci sembrano “infausti e brevi”. È il Dio con noi, disceso nella nostra fragile carne per essere nostro compagno, nostro amico, nostro fratello, per essere questa è la parola giusta e riassuntiva il nostro “salvatore”.

Certo il Signore Gesù oggi è nascosto ai nostri occhi corporei, ma non per questo si è fatto assente. È uscito dalla sfera condizionante di ciò che è percepibile unicamente dai sensi, per farsi raggiungere dalla libertà dell’atto di fede. Si è sottratto al limiti dello spazio e del tempo, per arrivare a essere accanto a ogni uomo in ogni momento e in ogni luogo: nessuno più è solo, se gli riesce di recuperare l’autenticità del Natale.

Questo è il dono da chiedere in questa celebrazione: la consapevolezza che Cristo, se tu lo vuoi, è sempre con te. Se lo chiami, ti sente; se gli parli, ti ascolta; se gli chiedi aiuto, ti soccorre; se sei triste ti consola; se ti penti, ti perdona ogni colpa.

Diventando uomo, il Figlio di Dio ci insegna che non ci devono più essere estranei e nemici, perchÈ tutti sono fratelli. Facendo tutti gli uomini fratelli a sÈ, li ha fatti tutti fratelli tra loro.

In questa santa notte, preghiamo allora per tutti e specialmente per quelli che sono più abbandonati, più sofferenti, più bisognosi; e se ci sarà possibile dare ad essi un po’ di comprensione, un po’ di attenzione fattiva, un po’ di amore, allora il nostro sarà un Natale più vero.

24/12/1996
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