ordinazione diaconale

Bologna, Cattedrale

Il popolo, che oggi prega e si allieta in questa cattedrale, è immagine e rappresentanza dell’intera Chiesa bolognese: a suo nome innalza con la presente solenne liturgia il canto di riconoscenza per il grande dono dei nuovi diaconi che stiamo per ricevere dal Signore. Al tempo stesso questo popolo domanda di crescere nella comprensione della realtà di tale provvidenziale ministero.

Che cosa significa essere diaconi?

San Paolo nella seconda lettera ai Corinti ha una frase che ci può illuminare: “Noi – egli dice – siamo vostri servi per amore di Gesù” (2 Cor 4,5). Forse non c’è definizione del diaconato più semplice e suggestiva di questa: “un servizio alla Chiesa per la causa di Cristo”.

La dedizione di tutto il proprio essere al Figlio di Dio crocifisso per noi e risorto, unico necessario Salvatore del mondo, è, per così dire, la ragione formale di questo ministero; dedizione che poi si invera e si concretizza nel lavoro apostolico a vantaggio della “nazione santa”, sul modello di Cristo stesso, il “Figlio dell’uomo che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per la moltitudine” (cf Mt 20,28).

Come si vede, nella prospettiva del nostro Signore e Maestro “servire”, cioè “essere diaconi”, è sinonimo di “dare la vita”; vale a dire, di sacrificare se stessi – le proprie forze, le proprie idee, il proprio tempo – fino a rendersi interiormente disponibili alla testimonianza suprema. E’ dunque un impegno tremendamente serio, che solo con l’immancabile aiuto di Dio si può sperare di assolvere in modo adeguato.

Perciò noi siamo qui stasera a pregare fervorosamente per questi nostri coraggiosi fratelli che fiduciosamente si offrono per questa preziosa e onerosa missione.

E’ utile a rasserenare l’animo dei candidati il pensiero che essi non si arrogano da soli questo peso: sono scelti e mandati. A farli arrivare a questo momento sono stati certo necessari – oltre alla loro generosa disponibilità e all’accertamento delle doti personali indispensabili – il sostegno morale delle loro famiglie e l’indicazione attenta delle loro aggregazioni di credenti; ma a insignirli di questa sacra dignità e a caricarli di questo santo fardello è il vescovo, immagine viva e vicario visibile del Principe dei pastori (cf 1 Pt 5,4).

Il diacono è mandato alla comunità; non è mandato dalla comunità, è mandato dal vescovo, cui solo spetta il difficile compito di dire loro, con decisione libera e ponderata: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (cf Gv 20,21).

La consapevolezza e la memoria sempre ravvivata di tale primaria responsabilità di colui che è investito della pienezza del sacerdozio, ed è garante della volontà del Signore, gioverà a conservare in essi, anche nelle ore difficili, la pace interiore e la fedeltà a una vocazione che è stata autenticata dalla Chiesa.

Non bisogna dimenticare inoltre che il diaconato è un riverbero e quasi una iniziale condivisione dell’autorità ministeriale del successore degli apostoli; e dunque va esercitato sempre nella totale comunione con lui e nell’ossequio cordiale alle sue decisioni e alle sue direttive.

Anche il vescovo nei riti pontificali si riveste della dalmatica, anche il vescovo è un “diacono”: la sua potesta è intrinsecamente di “servizio” e non di dominio. Tanto più la partecipazione del diacono a questa sacra autorità, entro la vita ecclesiale, non deve mai esorbitare e deve tenersi del tutto aliena anche dalla sola apparenza dell’indebita egemonia e dell’arroganza. Non a caso nella preghiera consacratoria chiederò al Padre del cielo che essi “siano umili nel loro servizio”.

“Servitori della Chiesa per la causa di Cristo”. Non dunque per altre cause, pur legittime e degne, come quelle sociali o politiche, se non indirettamente in quanto il Vangelo è luce per tutti i problemi e lievito per tutti i contesti umani. La nostra causa – la causa dei vescovi, dei presbiteri, dei diaconi – è il Signore Gesù, da annunciare con la parola e con l’esempio, da comunicare con la grazia dell’orazione e dei sacramenti, da testimoniare con le opere di giustizia e la vita di carità.

La diaconìa è, come si vede, un’incombenza ardua ed esaltante che a partire da oggi segnerà irrevocabilmente, carissimi, tutti i giorni della vostra esistenza.

Dove troverete il vigore, la tenacia, la passione, indispensabili per un ministero che sia davvero fruttuoso? Nella parola di Dio, quotidianamente ascoltata, meditata, incarnata nella vostra condotta e nel vostro lavoro. Nell’amore alla Vergine Maria, la “serva del Signore” (cf Lc 1,38), e quindi altissimo e amabile modello della vostra diaconìa. Nella liturgia eucaristica, in una comunione affettuosa e reale con il “corpo dato” e il “sangue sparso” per la salvezza e il rinnovamento dell’intera famiglia umana.

13/02/2000
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