processione delle palme

Bologna, Basilica di San Petronio

Questi sono giorni sgomenti e intristiti per la nostra città, sono giorni sgomenti e intristiti per l’intera nostra nazione; e potremmo anche dire che tutta la terra stia sperimentando una difficile stagione di inaudita violenza e di terrore.

Noi però non ci lasciamo turbare; e ancora una volta siamo sfilati per le nostre strade, con i tradizionali rami di ulivo, quasi a segno e a proclama di mansuetudine e di pace. D’altronde, noi siamo qui a celebrare il trionfo di un Re che non vuole infliggere prepotenza e dolore, anzi si appresta a subirli.

Il nostro è sì il ricordo di un corteo solenne e gioioso. Ma, quasi a prevenire ogni possibile malinteso a proposito di quel trionfo, la liturgia della Domenica delle Palme anticipa insieme la narrazione dell’intera passione del Signore, fino alla sepoltura.

Colui che viene nel nome del Signore, arriva su un mite asinello: rasserena tutti e non spaventa nessuno. Egli, pur tra la folla acclamante, conosce bene ciò che l’attende: viene a morire, come il grano di frumento si annienta nel solco per risorgere poi come spiga vitale offerta alla fame di tutti.

Ma poiché Cristo crocifisso e risorto è il nostro Maestro e il nostro Condottiero, il papa proprio in questa occasione ci invita a professare pubblicamente la nostra adesione al Vangelo, perché, con l’eloquenza persuasiva dei fatti e dei comportamenti, abbiamo a recare all’umanità sviata da mille proposte di arroganza, di odio, di morte, l’unico vero messaggio di speranza, di fraternità, di vita nuova. Così saremo “sale” e “luce” del mondo.

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Tre attenzioni, come si vede, propone al nostro cuore di discepoli del Signore questo nostro raduno. Le prime due sono proprie della liturgia di questa festa; e sono: la rievocazione dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, che abbiamo compiuto con il nostro pacifico e orante cammino per le strade della nostra città, e la memoria dell’intera passione che ci ha redenti (ha redento noi che siamo tutti raffigurati nel ladro crocifisso, divenuto il primo erede del Regno dei cieli). La terza è l’appuntamento ecclesiale che Giovani Paolo II ha dato per oggi ai giovani, in preparazione della Giornata mondiale della gioventù, convocata a Toronto in Canada per il prossimo luglio.

Le tre attenzioni non sono semplicemente giustapposte. Sono sì distinte, ma non separabili, poiché si richiamano tutte all’unico evento di dolore e di rinnovamento, di obbedienza al Padre e di gloria, di morte e di risurrezione, che ha come protagonista il Figlio di Dio divenuto nostro fratello; evento misterioso e splendido, che è perenne e sempre attuale dal momento che continua a vivere e a palpitare nella nostra esperienza di Chiesa e in tutte le celebrazioni della comunità cristiana.

I due aspetti del mistero pasquale – l’immolazione e la gloria – sono indissolubili. L’inviato di Dio, il Figlio di Davide, che assapora un’ora di acclamazioni e di lodi, in realtà è già una vittima designata e consapevole: egli sa che il suo procedere tra la gente festante lo avvia all’immolazione e lo avvicina a quell’altare del suo sacrificio, che sarà l’altura del Golgota. D’altro canto, nella sua crocifissione sta la sua vera e sostanziale vittoria, come aveva lui stesso predetto: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

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La Chiesa – e noi in essa – è chiamata a ripercorrere nella sua quotidiana vicenda l’avventura salvifica del suo Sposo, che è la sola causa efficace di rinnovamento autentico dell’umanità e dell’intero universo. Accolta o rifiutata, ammirata o incompresa, amata o perseguitata, la Chiesa non cessa di camminare nella fedeltà dietro il suo Salvatore. Come lui, accetta con semplicità gli osanna, le rare volte che le vengono tributati; e con la stessa semplicità si dispone a essere processata e condannata unitamente al suo Maestro e Signore: tutto e sempre ai fini di partecipare alla grande impresa della salvezza di tutti.

Qui, come si vede, emerge la “terza attenzione”, di cui si diceva: quella dell’esperienza e dell’impegno ecclesiale.

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Che cosa in pratica possiamo e dobbiamo fare per essere attivi e partecipi di questa “grande impresa”, nella quale la Chiesa (e dunque tutti noi) vuole conformarsi e associarsi intimamente al Redentore del mondo?

A voi, giovani, Giovanni Paolo II, nel messaggio per la XVII Giornata Mondiale della Gioventù, traccia un programma di esistenza motivata e operosa, chiaro ed estremamente concreto.

“Scoprite le vostre radici cristiane, – egli vi dice – imparate la storia della Chiesa, approfondite la conoscenza dell’eredità spirituale che vi è stata trasmessa, seguite i maestri e i testimoni che vi hanno preceduto! Solo restando fedeli ai comandamenti di Dio, all’Alleanza che Cristo ha suggellato con il suo sangue versato sulla croce, potrete essere gli apostoli e i testimoni del nuovo millennio”.

“Nulla vi accontenti che stia al di sotto dei più alti ideali! – vi dice ancora – Non lasciatevi scoraggiare da coloro che, delusi della vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e più autentici del loro cuore” (n. 2).

“Nelle vostre diocesi e nelle vostre parrocchie, nei vostri movimenti, associazioni, comunità, il Cristo vi chiama, la Chiesa vi accoglie come casa e scuola di comunione e di preghiera. Approfondite lo studio della Parola di Dio e lasciate che essa illumini la vostra mente e il vostro cuore. Traete forza dalla grazia sacramentale della Riconciliazione e dell’Eucarestia. Frequentate il Signore in quel “cuore a cuore” che è l’adorazione eucaristica. Giorno dopo giorno, riceverete nuovo slancio che vi consentirà di confortare coloro che soffrono e di portare la pace al mondo” (n. 4).

A Toronto – afferma il papa (e sarebbe bene non dimenticare mai questa sua luminosa parola) – “nel cuore di una città multiculturale e pluriconfessionale diremo l’unicità di Cristo Salvatore e l’universalità del mistero di salvezza di cui la Chiesa è sacramento” (ib.).

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Con questi sentimenti e con questi propositi, entriamo nella settimana grande e santa, che è il cuore dell’anno cristiano.

Entriamo rinvigoriti nella speranza e rasserenati dall’episodio del “buon ladrone” che abbiamo ascoltato. Egli è come la raffigurazione emblematica dell’intera famiglia di Adamo, tutta contaminata e peccatrice ma tutta destinataria dell’incredibile misericordia divina.

Sant’Ambrogio nel suo inno pasquale, con qualche umorismo, descrive la scena degli angeli che, come gli spettatori all’arrivo di una corsa, sono impazienti di vedere chi, tra i famosi campioni di santità, taglierà per primo il traguardo del cielo (appena riaperto dalla morte redentrice del Signore). E con non poca meraviglia vedono che davanti a tutti arriva un ladro! Un ladro che, congiungendosi a Cristo con un piccolo atto di fede, riesce a battere in volata tutti gli antichi giusti. E sant’Ambrogio esclama: “Dopo il perdono al ladro, chi dovrà più disperare?” (Inno di Pasqua).

E questa è per tutti noi una buona notizia.

23/03/2002
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