S. Messa di suffragio per le vittime della strage alla stazione di Bologna e a conforto delle loro famiglie – XXVII anniversario 

Bologna

( Is 25, 6.7-9; Sal 22; Gv 14,1-6)

Nel XXVII anniversario della strage, eleviamo la nostra preghiera di suffragio al Signore  dalla Cappella della Stazione ferroviaria, dove 85 persone sono state sacrificate e altre 200 ferite, in nome di un abominevole disegno criminoso, che, sulle orme di Caino, ha portato allo sterminio tanti fratelli e sorelle innocenti. La voce del loro sangue ancora “grida” al cospetto di Dio (Cfr. Gn 4,10).

Dopo aver ascoltato le parole degli uomini, sentiamo il bisogno di dare spazio alla parola di Dio che, specialmente in questa circostanza, ci offre le coordinate fondamentali per cogliere le “ragioni” della fede di fronte a questa tragedia immane e indelebile nella coscienza della nostra Città e della nostra Nazione.

Il profeta Isaia ci dice che “il Signore “strapperà il velo che copre la faccia di tutti i popoli”, e toglierà la “coltre” che impedisce “alle genti” di scrutare l’essenza più profonda delle cose (Cfr. Is 25,7), l’unica capace di aprire orizzonti di speranza, perché in grado di contrapporsi alla “Città del caos” (Is 24,10), dalla quale provengono “i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie, che rendono immondo l’uomo” (Mt 15, 19-20).

Questa città ha il suo prototipo in Babilonia e il suo clone in ogni aggregato umano “informe”, e quindi incapace di coltivare pensieri di pace. Essa crede che una ordinata convivenza sociale richieda di vivere come se Dio non esistesse. In realtà, senza Dio tutto diventa possibile (Dostoevskiy) e il male può assumere forme disgregatrici e ingovernabili, senza l’ausilio di persuasioni interiori e di energie trascendenti, capaci di dare forma e capacità progettualealla coscienza individuale e sociale.

Senza Dio gli egoismi umani, frutto del peccato, si coalizzano e diventano “poteri forti”, che collidono con altri poteri facendo prevalere la logica orgogliosa del terrorismo, della violenza, dell’inganno e della vendetta. La stessa ragione si oscura e va “in sonno”. I suoi giudizi vengono condizionati da visioni sfuocate e parziali del mondo circostante. La “Città del caos” perde, anzitutto, il contatto col sentire quotidiano della gente, e ogni sua forma di potere si chiude in una autoreferenzialità solipsista, incapace di vedere le ragioni oggettive connesse con la natura umana e con il buon senso comune.

La parola di Dio annuncia la distruzione di questa “Città disgregata” e vede sorgere “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1).
In particolare ci dice che il Signore “eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto e farà scomparire da tutto il paese la condizione disonorevole del suo popolo” (Is 25,8).

Questa prospettiva di salvezza si realizza in Gesù Cristo e nella sua Pasqua, dalla quale sorge la nuova Gerusalemme, la Chiesa. In essa, Cristo “tergerà ogni lacrima dai nostri occhi” e grazie a Lui “non ci sarà più la morte, nè lutto, nè lamento, nè affanno” (Cfr Ap 21,2-4), perché in forza del suo potere regale “tutte le cose vengono rinnovate” (Cfr Ap 21,5).

In tale contesto, come ci ha ricordato il Vangelo di Giovanni, è la fede in Gesù Cristo la condizione indispensabile per uscire dal labirinto di una esistenza opaca e senza prospettive liberanti. É Lui la “via”, la “verità” e la “vita” (Cfr. Gv 14,6); è Gesù che ci ha preparato un posto in Paradiso, accanto a Lui alla destra del Padre, dove incontreremo di nuovo i nostri cari, nella grande Liturgia del Cielo (Cfr. Gv 14,1-3).
Tutto questo viene, oggi, anticipato nella Messa, il sacramento che offre la caparra della nostra futura risurrezione. In essa, partecipiamo al mistero di Cristo crocifisso e glorificato, che sostiene la nostra vocazione battesimale e ci rende protagonisti nella edificazione di una società nuova, fondata sulla verità testimoniata nell’amore.

In tale prospettiva, celebrare la memoria del 2 agosto, nel contesto ecclesiale, significa neutralizzare le «potenze e lo spirito del male» (Ef 6,12), attraverso la «buona battaglia della fede» (1 Tm 6,12). Ciò non significa interrompere la ricerca della verità completa sul concepimento e l’esecuzione di questo infernale disegno; non significa rimanere sordi di fronte alla «voce del sangue» dei nostri fratelli e sorelle uccisi o feriti nel corpo e nello spirito. Significa, invece, sublimare le nostre sofferenze nel mistero di un amore più grande, quello di Dio “che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Alla luce di queste parole, la nostra preghiera invoca dalla misericordia divina una misura alta del nostro vivere quotidiano e il dono di un impegno che non perda mai di vista ciò che è essenziale nella vita di ogni persona: la piena realizzazione di sé in una prospettiva che supera la morte, per entrare nella vita eterna.

Per raggiungere questo traguardo ci è di grande aiuto Maria, la Madre di Dio. Ormai glorificata in cielo nel corpo e nell’anima e brilla, qui in terra, come segno di sicura speranza e di consolazione per tutti noi pellegrini sulle strade del mondo (Cfr. Lumen gentium, 68).

A Lei, che a Bologna nel Santuario di San Luca veneriamo col titolo di “nostra difesa e nostro onore” affidiamo le sorti della nostra Città, perché le insipienze mondane e le ideologie nichiliste non compromettano il suo integrale sviluppo e la tradizionale capacità di accoglienza e di riscatto degli umili, “in nome di Cristo Salvatore”.

 

02/08/2007
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