S. Messa e Processione Eucaristica nella Solennità del Corpus Domini

Bologna

«Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice il Signore;
chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 51).

Queste parole di Gesù presentano in sintesi il senso delle Sacre Scritture proclamate durante la celebrazione e indicano le ragioni di fondo del nostro itinerario eucaristico per le vie del Centro storico: il Corpo di Cristo «dato per noi» (Cf. 1 Cor 11, 24) agisce, in forza dello Spirito Santo, come energia propulsiva per l’animazione qualitativa della nostra vita quotidiana e costituisce «la caparra della nostra futura risurrezione» (Ef 1, 14).

Questa convocazione diocesana, che anticipa le molteplici assemblee parrocchiali della prossima domenica, è avvenuta “nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (S. Cipriano) e intende esprimere e consolidare il vincolo di comunione della Chiesa di Bologna con il suo Cardinale Arcivescovo, in Visita Pastorale alla Missione bolognese di Usokami, nella Chiesa africana di Iringa in Tanzania.

Il tema di fondo è quello dell’alleanza. Ai piedi del monte Sinai e davanti al popolo d’Israele Mosè edifica un altare, legge la parola di Dio e i suoi comandamenti, compie i sacrifici di comunione e, con il sangue, sorgente della vita, asperge l’altare e il popolo che suggella il patto tra Dio e Israele con un proposito fermo e solenne: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo » (Es 24, 7).

Questo antico patto di sangue prepara i gesti compiuti da Gesù che – secondo la prima lettera ai Corinzi – nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). Allo stesso modo, prese il calice e disse: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue… Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor 11, 25-26).

Da quel primo “Giovedì Santo”, la Chiesa ha sempre ubbidito al comando di Gesù e ha celebrato l’Eucaristia, proclamando a tutti il Vangelo – la buona notizia – del riscatto e della rinascita, provenienti dal sacrificio di Cristo e offrendo così una risposta  al desiderio della salvezza che ogni cuore umano porta con sé.

La lettera agli Ebrei dilata questo contesto eucaristico e presenta l’identità di Gesù come sommo sacerdote dei beni futuri, che con lo spargimento del proprio sangue ci ha procurato una redenzione eterna. Offrendo se stesso è diventato mediatore di una Nuova Alleanza, per il perdono delle colpe commesse e per aprire la strada verso l’eredità eterna (Cf. Eb 9, 11-15): il paradiso, la gioia senza fine, la domenica senza tramonto.

Il Vangelo di Marco sottolinea anzitutto l’iniziativa di Gesù: è lui che, in piena libertà, previene i suoi discepoli nel preparare la Nuova Pasqua, facendo chiaramente intendere che egli stesso sarà l’Agnello sacrificale.

L’evangelista, in tal modo, mette in evidenza l’amore incondizionato di Gesù, che dona se stesso nell’Eucaristia in un contesto di peccato (tradimento di Giuda, abbandono dei discepoli, rinnegamento di Pietro) che rivela la condizione precaria dell’umanità dopo la colpa originale, ma anche la suprema misericordia del Padre che «ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16).

È in questo mistero di sofferenza e di amore, di immolazione e di gloria condensato da Cristo nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia che viene proiettato il destino dell’uomo, predestinato ad essere conforme all’immagine del Figlio di Dio (Cf. Rm 8, 29).

Celebrando l’Eucaristia e portandola con fede lungo le strade dei nostri agglomerati abitativi, la Chiesa vuole inviare un messaggio di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, spesso disorientati e bloccati nelle “sabbie mobili” del relativismo inconcludente e del nichilismo di comodo, causa prima della noia e del depistaggio nella ricerca della vera gioia.

Con l’Eucaristia viene rilanciato il messaggio di Giovanni Paolo II alle nuove generazioni e riproposto a tutti da Benedetto XVI: «Non abbiate paura. Spalancate le porte a Cristo!», che vive nel mistero della Chiesa, dove l’Eucaristia, sacramento del “Corpo dato” e del “Sangue sparso”, ci è offerta come “luogo teologico per interpretare l’oggi della storia e orientare il nostro cammino dentro le sfide del nostro tempo” (Giovanni Paolo II ai Vescovi europei, 5-10-1982).

Infatti, la vita cristiana alimentata dall’Eucaristia non è un’esperienza da consumarsi soltanto nell’area della “pratica religiosa”, dentro una Chiesa silenziosa e nascosta; essa è chiamata ad aprirsi alla missione, per introdurre in ogni angolo della terra la forza della vittoria pasquale, principio rinnovatore del mondo e soprattutto dell’uomo, in tutti gli ambiti del suo esistere, del suo aggregarsi e del suo operare.

L’Eucaristia, poi – in quanto memoria concreta e oggettiva della Croce – offre all’umanità la sola chiave interpretativa possibile della propria sofferenza che, in Cristo, assume un valore redentivo e altamente solidale, al punto da introdurre riverberi di luce fin dentro la cappa oppressiva del dolore umano.

Per questo la nostra città non ha bisogno di dare spazio alle spinte trasgressive e prepotenti di gruppi minoritari, lontani dal comune sentire della gente; non ha bisogno di “stanze” statali per proteggere la ricerca deprimente di “paradisi” artificiali; non ha bisogno di manipolare la vita nascente per dare piena libertà alla ricerca scientifica che si pone davvero a servizio del bene comune.

La nostra città, invece – come la nostra Italia e la nostra Europa – hanno bisogno di restituire all’elaborazione culturale la sua vocazione promozionale: riproporre l’ideale di una “misura alta” del vivere quotidiano, attraverso un’educazione capace di introdurre le nuove generazioni dentro la realtà di una vita rispettosa del progetto originario che l’ha generata.

La nostra fede ci dice che, su questo orizzonte, l’Eucaristia offre a ogni creatura risorse straordinarie e spesso inedite per “riuscire” a sfondare la barriera del proprio egoismo, per lasciare spazio a “quel Dio che a molti sembra latitante, e invece ha scelto di restare con noi in tutte le ore della nostra esistenza”.

 

15/06/2006
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