S. Messa esequiale per la giornata di preghiera e penitenza  per la pace

Bologna, Cattedrale

(Mic 4,14; Sal 84; Gc 4,1-10; Gv 15,9-12)

Dice il Signore: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Cf. Ger 29,11).

Le parole del Profeta Geremia aprono il contesto liturgico di questa giornata di preghiera e di penitenza per la pace in Medio Oriente, indetta da Benedetto XVI, con un pressante invito a tutte le Chiese e a tutti i credenti del mondo.

Il Cardinale Arcivescovo ha voluto che la Chiesa di Bologna rispondesse all’invito del Papa, con immediata consapevolezza, attraverso varie iniziative, prima fra tutte questa convocazione eucaristica in Cattedrale e mediante la sensibilizzazione delle parrocchie e delle altre aggregazioni ecclesiali

Ai grandi strateghi dell’alta diplomazia mondiale l’iniziativa del Papa, nonostante il suo respiro planetario, ecumenico e interreligioso, potrà sembrare irrilevante ai fini della soluzione pratica del conflitto in atto.
In realtà, se non si vogliono perpetuare gli equilibri instabili, che da oltre cinquant’anni rendono precaria e ad alto rischio la convivenza di questi popoli, è necessario che “qualcosa cambi nel cuore degli uomini”. È la prospettiva indicata dai testi biblici proclamati ora per la nostra meditazione.

Il Profeta Michea orienta l’attenzione sul «monte del tempio del Signore» (4,12), il «monte di Sion, la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste» (Mic 4,2). È da questo monte che «uscirà la legge» (Mic 4,2) fondamentale della convivenza umana: la legge dell’amore, la sola capace di trasformare il deserto in giardino, dove fiorisce il «diritto e la giustizia», l’alimento sicuro della pace (Cf Is 32, 15-18).

Ma la legge dell’amore, per esprimersi ad ogni livello della convivenza umana, ha bisogno di riscoprire il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe come icona fondamentale dell’amore, come ha proposto Benedetto XVI nella sua prima Enciclica.

In un mondo in cui il nome di Dio è spesso collegato con la vendetta, l’odio e la violenza (n.1), la rivelazione biblica continua a riverberare nel cuore e nella mente di ogni essere umano il grande comandamento dell’amore, che Gesù stesso ha formulato nel suo orizzonte integrale: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta a tua forza e amerai il prossimo tuo come te stesso» (Cf Mc 12,29-31).

Ma la dinamica di questo amore viene messa in evidenza dal Vangelo di Giovanni: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore» (Gv 15,9-10).

Per vincere l’indurimento del cuore umano è dunque necessario “rimanere nell’amore di Cristo per introdurre nel mondo la potenza trasformante dell’amore di Dio. Pertanto è necessario un cambiamento di rotta: il mondo occidentale ha teorizzato ormai troppo a lungo che la convivenza sociale, per essere democratica, libera, pienamente realizzata, ha bisogno di vivere “come se Dio non esistesse”.

Ma Dio c’è e non può essere sottratto alle profonde aspirazioni di ogni essere umano sempre emergenti, anche in tempi di conclamata secolarizzazione. Per questo il Papa ha proposto a tutti, anche ai non credenti, di “vivere come se Dio esistesse” (Discorso ai Sacerdoti della Val d’Aosta, 2005).

Ciò non significa eludere il principio evangelico del «dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Cf Mt 22,21), perché tale principio appartiene alla struttura fondamentale del cristianesimo. Si tratta invece di non distruggere la relazione reciproca esistente tra questi due ambiti della vita umana: l’uomo ha una sua unità intrinseca che non può essere elusa e tanto meno spezzata.

La pace «non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie, ma si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l’edificazione di un ordine sociale secondo giustizia e carità» (Cf Gaudium et spes, 78; Centesimus annus, 51; Is 32,17).

Ora la politica non è una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: il suo scopo è la promozione della giustizia, che diviene la misura intrinseca di ogni politica, la quale, a sua volta, non può dimenticare che la giustizia ha anche una sua dimensione etica (Cf “Deus caritas est”, 28).

Tutto questo – scrive Benedetto XVI – porta alla domanda più radicale: «Che cosa è la giustizia?» La risposta fa appello alla “ragione”, la quale per poter operare rettamente e divenire “ragione pratica” ha bisogno  di essere “purificata” dal suo “accecamento etico” derivante dal prevalere dell’interesse e del potere (Cf Deus Caritas est, 28°), che spesso collidono con strutture di peccato, come mette in edivenza la lettera di Giacomo (Cf 4,1-10).

Proprio “in questo punto politica e fede si toccano”. Se la fede “apre nuovi orizzonti molto al di là dell’ambito proprio della ragione”, al contempo, la fede per la ragione si pone come “forza purificatrice”, aiutandola a non isterilirsi nelle secche delle miopie mondane.
“La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio” (Seus caritas est, 28).

Noi, stasera in unione col Papa, e con la Chiesa Universale facciamo appello alle risorse più alte della fede, mediante la preghiera, che spalanca le porte della misericordia di Dio e porta i frutti della Pasqua di Cristo, attraverso vie che solo Dio conosce, anche là dove non sono attesi e non sono considerati materia rilevante di scambio internazionale.

Anche noi preghiamo “perché cessi immediatamente il fuoco tra le parti, si instaurino subito corridoi umanitari e si aprano negoziati ragionevoli e responsabili, per porre fine ad oggettive situazioni di ingiustizia”.
“I Libanesi hanno diritto di vedere rispettata l’integrità e la sovranità del loro Paese, gli Israeliani hanno diritto di vivere in pace nel loro Stato ed i Palestinesi hanno diritto di avere una loro Patria libera e sovrana”. (Benedetto XVI).

 

23/07/2006
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