S. Messa nel 4° anniversario della morte di Marco Biagi

Bologna, Basilica di San Martino

(Es 20,1-17; Sal 18; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25)

Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati…. E io vi darò uno spirito nuovo” (Cfr Ez 36,23-26). Con queste parole del Signore il profeta Ezechiele ha introdotto la Liturgia della III domenica di Quaresima.

In questo tempo “forte” di preparazione alla Pasqua di Cristo, sorgente di vera consolazione e di autentica pace, la Chiesa di Bologna si unisce alla famiglia Biagi e alla comunità parrocchiale di San Martino per celebrare, nella fede, il 4° anniversario della tragica scomparsa di Marco, vittima innocente della «città del caos», che il Profeta Isaia (24,10) identifica con la società costruita sull’orgoglio, sull’ingiustizia, sulla violenza arrogante e perversa.

La furia omicida dei seguaci di Caino può sopprimere il corpo ma non l’anima, che ne è la «forma» vitale. Essa non perisce e, al momento della risurrezione finale, si riunirà al corpo, in virtù dell’evento pasquale (Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 365-366). Per questo la preghiera della Chiesa insiste nell’orientare la nostra attenzione sull’orizzonte della vita eterna: «con la morte la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno,  viene preparata un’abitazione eterna nel cielo» (Prefazio dei defunti, I).

L’itinerario quaresimale che la Chiesa ci propone come «segno sacramentale della nostra conversione»,  mira alla piena maturazione della grazia battesimale, in vista di una misura più alta del nostro vivere quotidiano.

Il libro dell’Esodo, ancora una volta, ha posto alla nostra attenzione la «Magna Charta» dell’alleanza sinaitica, le «dieci parole» (Dt 4,13) che delineano la fisionomia del credente: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire…. dalla condizione di schiavitù …  non avrai altri dei di fronte a me …  sei giorni faticherai, ma il settimo giorno tu non farai alcun lavoro … Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro … Onora tuo padre e tua madre … Non uccidere … Non commettere adulterio … Non rubare … »(Cfr Es 20,1-17).

In sintesi, la consegna dei dieci Comandamenti  costituisce l’evento straordinario di un Dio che si rivela premuroso nei confronti del suo popolo. I suoi  imperativi esprimono le esigenze dell’amore di Dio e del prossimo e disegnano i tratti essenziali del vivere quotidiano. Da essi scaturisce, di riflesso, lo stato giuridico delle relazioni umane e la legge naturale trova una sua espressione privilegiata (Cfr CCC, 2069-2070).

I Comandamenti, pertanto, non sono l’imposizione arbitraria di un Signore tirannico, ma la risposta concreta a quel percorso etico che la post-modernità non riesce a trovare, perché smarrita nel labirinto di una cultura autoreferenziale e libertaria.

Le parole del Decalogo «salvano l’uomo dalla forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna e denunciano le false divinità che lo riducono in schiavitù» (Giovanni Paolo II, l’Oss. Rom., 27-2-2000).

Con l’esclusione dei Comandamenti dai rapporti umani noi tendiamo un’insidia alla qualità della nostra libertà, che oggi presume di esprimersi senza verità e senza amore, compromettendo la necessaria coesione tra le parti sociali.

Grazie al Decalogo, l’umanità non si affida  a una legge ostile, ma entra nell’orbita premurosa di Dio che ci offre la “guida” per il buon uso della nostra intelligenza e della nostra libertà, a servizio dello sviluppo integrale della persona umana e della convivenza civile.

Questa sinergia di alto profilo tra Dio e l’uomo è stata suggellata dal “comandamento nuovo” consegnato da Gesù ai suoi discepoli, come testamento, durante l’Ultima  Cena: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv13,34), cioè fino a dare se stesso “per la vita del mondo” (Cfr Gv 6,51).

È nella logica di questo amore che va collocata la figura e l’opera di Marco Biagi, un amore che trova la sua icona fondamentale in «Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (I Cor 1,13).

Il suo impegno di docente di Diritto del Lavoro e di Consulente dell’omonimo Ministero lo ha posto al crocevia del dibattito sociale. Marco aveva chiara la coscienza del proprio dovere: mettersi al servizio del bene comune, nel rispetto dei dati oggettivi, senza cedimenti nei confronti delle posizioni preconcette.

La sua identità cristiana ha incrementato in lui una forte coscienza sociale, libera da ogni fondamentalismo e fanatismo ideologico. Non ha seguito l’esempio dei “Greci” (I Cor 1,22) del nostro tempo, intrisi di quel sottile paganesimo che vede la sapienza come autoaffermazione della logica del mondo, totalmente blindata nei confronti di ogni “colpo d’ala” dello spirito umano.

Marco Biagi, da professionista serio, ha investito la sua competenza giuridica nell’arte ingrata del “cum– promittere”, cioè «nell’instancabile ricerca, tra le parti sociali, della migliore soluzione pratica possibile, nella salvaguardia del valore inalienabile della persona umana, fatta a immagine e somiglianza di Dio.

Ben presto la sua immagine si è fatta “emblematica” e, sulle orme di Gesù «unico mediatore tra Dio e gli uomini … che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tim 2,5), è divenuta «segno di contraddizione» (Cfr Lc 1,34), perché gli stimoli e le proposte messe sul tavolo incandescente della dialettica sociale, hanno costretto molti a «svelare i veri pensieri del loro cuore» (Cfr Lc 1,35).

In tale circostanza, l’«impero delle tenebre» (Lc 22,53) si è attivato e la «congiura degli empi» ha preso corpo: «Hanno affilato la loro lingua come spada, hanno scagliato come frecce parole amare per colpire di nascosto l’innocente» (Sal 63,4-5).

Queste parole della Sacra Scrittura innestano il sacrificio di Marco Biagi nel «segno del tempio», che Gesù ha identificato con se stesso: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19).

Distruggendo la vita di Marco, a 52 anni, strappandolo dai legami sacramentali della sua bella famiglia, mentre lavorava per la pace sociale, secondo «il diritto e la giustizia» (Is 9,6), i suoi assassini, «ideologicamente ritardati e sconfitti», non pensavano di incrementare oltre misura la sua potenzialità mediatrice.

Infatti, col suo sacrificio cruento, questo affermato docente di Diritto del Lavoro è entrato per sempre nella dinamica del Sacrificio Eucaristico, sostegno di ogni mediazione e principio di ogni riconciliazione sociale.

Il suo ruolo convinto e tenace di «operatore di pace» (Cfr Mt 5,9), il sangue versato «per causa della giustizia» (Cfr Mt 5,10), la sofferenza dei suoi cari, la testimonianza di fede nella vita quotidiana, le opere di carità promosse nell’ambito dei suoi rapporti familiari, costituiscono un contributo prezioso a «ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

È in questa Chiesa, nuovo tempio della presenza di Dio e «sacramento universale di salvezza»(LG,48), che Marco Biagi ha reso la sua testimonianza di “laico” e di “cattolico”. La sua vita e la causa della sua morte ci confermano che non è possibile separare questi due momenti, perché la vera “laicità” non ha paura di Cristo, anzi ne ha bisogno, per intersecare le coordinate di ogni vera democrazia: l’esercizio della libertà responsabile, «vivendo secondo la verità nella carità» (Ef 4,15).

San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria, protegga la famiglia Biagi: ora e sempre.

 

 

19/03/2006
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