S. Messa nel 6° anniversario della morte di Marco Biagi

Bologna, Basilica di San Martino

La memoria del 6° anniversario della morte violenta del Prof. Marco Biagi coincide, quest’anno, con la celebrazione liturgica del Mercoledì Santo, che ci introduce nel grande Triduo Sacro, memoria sacramentale della passione, morte e risurrezione di Cristo.

In questo contesto sacrificale, ricco di senso per una visione profonda e teologale del sacrificio di Marco, ci stringiamo in forte comunione attorno a Marina e ai suoi familiari, per elevare al Signore una solidale preghiera di suffragio e testimoniare la nostra fede nell’inesauribile potenzialità della Pasqua del Signore.

Il Profeta Isaia ci ha presentato la figura biblica del Servo di Jahvè, un personaggio misterioso che adempie una particolare missione divina. Soffre per la persecuzione dei violenti, fino a dare la vita per la salvezza di tutti. Viene in lui anticipata la passione di Cristo, che ha “presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappavano la barba; non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 6).

Questo testo richiama anche l’esperienza dei profeti Ezechiele e Geremia, che hanno sofferto a causa della loro vocazione all’impegno per la promozione del bene comune. Essi hanno parlato e agito per restituire la fiducia agli sfiduciati, e per questo hanno dovuto subire la persecuzione delle potenze oscure, sempre presenti come forze decostruttive, dove ci si impegna seriamente per edificare il futuro della società ben organizzata.

La morte di Marco Biagi va letta in questo contesto. L’uomo perseguitato indicato da Isaia, infatti, si pone nell’ottica della teologia della storia, dove il sacrificio cruento di Cristo rimane il propulsore emblematico di ogni autentico rinnovamento.

Il sacrificio cruento del Prof. Biagi, concepito nelle nebbie di un pensiero senza fondamenti logici e morali, non è stato consumato invano. La sua fede lo ha assimilato al Servo sofferente che, lasciato in balia di se stesso (Cf. Is 53, 8), è consapevole di non essere solo in questa lotta: “Il Signore mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso” (Is 50, 7).

Questo atteggiamento di forte e sicura determinazione è frutto della fede in Dio e dell’impegno serio nel proprio lavoro, divenuto un’autentica missione. Di fronte alle minacce dell’empio, “proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà… il Signore lo ha chiamato per la giustizia e lo ha preso per mano” (Cf. Is 42, 2-6).

Le iniziative che, da più parti, sono state promosse in questa giornata, per non disperdere la memoria di Marco e della sua assurda uccisione, ma soprattutto per raccogliere i frutti della sua ricerca, rivelano la vicinanza di “chi rende giustizia” (Is 50, 8) e invita a risolvere i problemi sociali mediante l’uso dell’intelligenza, della sperimentazione, del confronto, dello scambio dei talenti per l’utilità comune.

Purtroppo, il ricorso alla violenza, troppo spesso tollerata, rimane anche nel nostro paese il metodo di più immediata efficacia per imporre la propria volontà, ma a prezzo di una disgregazione sociale sempre più evidente e dilagante.

La crisi di autorità e di credibilità di cui soffre la nostra democrazia indica la necessità di recuperare il senso dello Stato, il rispetto delle Istituzioni e, soprattutto, il compito educativo come esigenza primaria del nostro impegno civile.

La Chiesa, come sempre, rimane presente sul territorio, come strumento ben collaudato di promozione spirituale e sociale e difende la propria libertà di azione, non per ostacolare o sostituire lo Stato, ma per collaborare perché la Nazione italiana, nel suo rinnovamento e nel suo sviluppo, rimanga ancorata ai suoi valori, sanciti dalla Costituzione.

La Chiesa Italiana promuove un’autentica laicità, che non è prerogativa dei soli non credenti, ma è condivisa dai cattolici come valore irrinunciabile di un’autentica democrazia. Il vero problema è il laicismo libertario, individualista e materialista, che in questi ultimi decenni ha prevalso nelle minoranze elitarie e nei centri del potere economico e massmediatico, trasformando l’Italia in un paese che rischia l’invivibilità.

Occorre, dunque, ritrovare il coraggio e la forza di educare, come più volte ci hanno ricordato Benedetto XVI e il nostro Cardinale Arcivescovo Carlo Caffarra. Ma un’autentica educazione non si improvvisa, perché ha bisogno di recuperare quei valori condivisi connessi con la verità sull’uomo e la sua capacità di donazione, fino al superamento di sé e dei propri egoismi.

Il Vangelo di Matteo, invece, ci ha messo di fronte alla figura di Giuda Iscariota, che “per trenta monete di argento” ha consegnato Gesù ai suoi uccisori (Cf. Mt 26, 15). Eppure era “uno dei Dodici” (Mc 14, 10) che Gesù aveva scelto per trasformarli in “pescatori di uomini” (Mc 1, 17), resi idonei, in Cristo, a salvare l’umanità dal male e dalla morte eterna.

Il tradimento di Giuda rivela, dunque, nella dinamica sociale, la compresenza dell’intrecciarsi del disegno salvifico di Dio con l’esercizio concreto del libero agire dell’uomo. Il bacio di Giuda ci dice che tra gli uomini esiste la possibilità di edificare la “città del caos” (Is 24, 10) sotto l’influenza del “potere delle tenebre” (Lc 22, 53), anziché la “città santa, la nuova Gerusalemme” (Ap 21, 2), l’umanità rinnovata dalla forza dello Spirito di Cristo Risorto.

Il caso di Giuda, dunque, pone in primo piano il problema del retto uso della nostra libertà, troppo spesso condizionata dall’attaccamento al denaro, dal fascino del potere, dalla propensione alla ricerca del piacere fine a se stesso.

Troppi giovani, oggi, sono affascinati dai percorsi “brevi” e dalla vie “facili” per raggiungere i traguardi fondamentali della vita, e troppe sono le agenzie diseducative che in nome del libero pensiero, anziché edificare, demoliscono senza scrupoli ogni principio morale e ogni possibilità di sana convivenza civile.

L’esemplarità di Marco Biagi, la sua fede pubblicamente testimoniata, il calore fecondo della sua famiglia aperta all’accoglienza e all’aiuto del prossimo, il suo serio impegno professionale, stanno a dimostrare che una misura alta della vita civile è possibile, pur condividendo l’impegno politico e sociale, in una sana laicità ispirata al Vangelo “Date a Cesare quello che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio” (Cf. Mt 22, 21).

Per dare ulteriore sviluppo all’eredità di Marco, dunque, non bastano le dichiarazioni formali e gli atteggiamenti di circostanza, ma è necessario continuare il cammino sulla strada impervia da lui intrapresa: il
“cum-promittere”. Si tratta dell’instancabile ricerca tra le parti sociali della migliore soluzione pratica possibile, nella salvaguardia del valore inalienabile della persona, in tutte le sue dimensioni di vita, in tutte le sue età, in tutte le sue espressioni esistenziali.

Ma intraprendere questa strada – come recita il salmo 68 – significa prepararsi a “sopportare l’insulto” e ad essere considerati “forestieri” tra i propri simili. Significa cercare invano “comprensione e consolazione” e mettere in conto – come nel caso Biagi – che in giro ci sono quelli che “affilano la loro lingua come spada, e scagliano come frecce parole amare, per colpire di nascosto l’innocente” (Cf. Sal 64).

Di fronte a tante turbolenze la Chiesa, edificata sulla roccia di Pietro e sul fondamento degli Apostoli (Cf. Ef 2, 20), continua a celebrare la Pasqua del Signore e a offrire ai suoi figli il nutrimento della Parola e del Pane eucaristico, sorgente di ogni autentico rinnovamento e caparra della nostra futura resurrezione, nella felicità eterna del Paradiso.

19/03/2008
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