S. Messa – presente un gruppo di pellegrini in visita alla tomba del Card. Giorgio Gusmini Arcivescovo di Bologna dal 1914 al 1921

Bologna, Cattedrale

(Is 35, 4-7; Sal 145; Gc 2, 1-5; Mc 7, 31-37)

Oggi la Chiesa celebra la 23a domenica del Tempo Ordinario. Noi siamo convocati dall’Unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per celebrare l’Eucaristia, la Pasqua settimanale.

Partecipa a questa liturgia don Giovanni Gusmini, della diocesi di Bergamo, discendente della famiglia che ha dato i natali al Card. Giorgio Gusmini, Arcivescovo di Bologna dal 1914 al 1921. Don Giovanni è qui con un gruppo di fedeli della sua parrocchia di origine (Vertova) e con la corale parrocchiale “Santa Cecilia” per ricordare i 160° anniversario della nascita di Giorgio Gusmini e il 100° anniversario della sua nomina a Cardinale.

Il Cardinale Arcivescovo Giorgio Gusmini, ha svolto un ruolo importante nella storia della Chiesa di Bologna, nella prima metà del XX secolo. Era nato a Gazzaniga, in provincia di Bergamo l’8 dicembre 1855 e visse nel paese di Vertova. Ordinato Sacerdote il 1° settembre 1878, fu parroco a Clusone e a S. Alessandro in Colonna, prima di essere nominato Vescovo di Foligno, in terra umbra, il 15 aprile 1910. Dopo 4 anni, Benedetto XV lo scelse come suo successore a Bologna, dove prese possesso il 20 dicembre 1914. Fu creato Cardinale l’anno dopo, il 6 dicembre 1915. Morì a Bologna il 24 agosto 1921.

Lo spessore culturale e pastorale dell’Arcivescovo Gusmini era ampio e robusto: pochi come lui conoscevano tutti i risvolti del movimento cattolico. Certi suoi interventi sul lavoro delle donne e dei fanciulli (Congresso di Lodi 1890) e sul salario degli operai (Vicenza 1891) fecero epoca. In lui emergeva la sensibilità per i problemi sociali, presente nella diocesi di Bergamo, specialmente al tempo del Vescovo Giacomo Radini Tedeschi (1905-1914).

Su questo orizzonte si muove anche la sua prima lettera pastorale – «La missione episcopale ai nostri giorni» (8 dicembre 1914) – ma in un contesto dove emerge il problema della “scristianizzazione”. L’Arcivescovo ne individua la causa principale nel venir meno della fede nella pratica religiosa, in gran parte seguita dalle donne e disertata dagli uomini. Il Cardinale Gusmini mise subito a tema alcuni provvedimenti pastorali, ma l’entrata in guerra dell’Italia, nel maggio del 1915, costrinse a concentrarsi sui problemi dell’emergenza bellica.

Dopo la guerra, il Cardinale Arcivescovo cercò di arginare l’espandersi del socialismo, riproponendo nel suo magistero gli orientamenti dell’enciclica «Rerum novarum» di Leone XIII. In seguito, cercò di mantenere per la Chiesa bolognese un profilo autonomo ed equidistante nello scontro crescente tra la Bologna rossa, sempre più consolidata dall’appoggio elettorale e la Bologna prefascista, che si stava compattando attorno ai grandi proprietari terrieri e a vari settori della borghesia locale.

In tale contesto, il Card. Gusmini si adoperò per evitare le spinte verso la guerra civile, prodigandosi per la pacificazione degli animi, facendo riferimento alla Beata Vergine di San Luca, come segno emblematico super partes. Nel contempo cercava di ravvivare le sorgenti spirituali della vita cristiana, per alimentare nei cattolici una fede viva e operosa. A tale scopo, si mise a inseguire le tracce di santità, presenti nel nostro popolo. Per questo cominciò a scrivere gli “Appunti storici” riguardanti Clelia Barbieri e le Minime dell’Addolorata, espressione di una santità rurale, semplice e connessa con i traguardi sacramentali della vita parrocchiale.

Al termine di questa sua indagine (22 febbraio 1917), il Cardinale espresse così la sua soddisfazione: «Iddio sceglie veramente le persone che sembrano le meno adatte per condurre a termine i suoi disegni, perché nessuno abbia a gloriarsi al suo cospetto. Egli, per vie nascoste ai sapienti di questo mondo, arriva sempre a superare l’ignoranza e la malizia di questo mondo, in modo meraviglioso». Il Cardinale Gusmini, dunque, ribadisce il primato della santità nel contesto della pastorale parrocchiale e intravvede quella chiamata alla santità di tutto il popolo di Dio, messa in forte evidenza nel cap. V della Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II.

I testi biblici, che abbiamo ascoltato, mettono a fuoco la figura di Gesù, presente nella nostra vita, come principio di gioia, di liberazione e di salvezza. Il Vangelo di Marco ci ha messi di fronte alla guarigione del sordomuto, un episodio ricco di significato, per la vita cristiana.

Il senso profondo di questo miracolo, può essere colto alla luce di quanto afferma Isaia nella prima lettura, che presenta il secondo quadro della cosiddetta «apocalisse minore di Isaia» (cc. 34-35), dove il profeta incoraggia il suo popolo – esule a Babilonia – a sperare nel Signore. Egli annuncia anche i segni di una salvezza definitiva: i ciechi vedono, i sordi sentono, lo zoppo addirittura salta e il muto parla speditamente (Cf. Is 35, 4-5). Sono tutti segni che rivelano la presenza del Messia.
D’altra parte, Isaia annuncia ulteriori segni messianici: «scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa, la terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua» (Is 35, 6-7). Si tratta dunque di una trasformazione radicale dell’umanità e della natura ad opera di Dio, che interviene direttamente nella storia per portare ovunque gioia, fiducia e pienezza di vita.

Ora, tutto quello che Isaia ha annunciato si realizza nel ministero pubblico di Gesù che – mosso dalla sua infinita misericordia – guarisce gli ammalati e i disabili. Il Vangelo ci parla della guarigione del sordomuto, che Gesù compie con gesti e parole: tocca con le dita le orecchie e con la saliva le labbra del sordomuto. Infine, Gesù, levando gli occhi al cielo, sospira pronunciando in lingua originale la parola «Effatà», cioè «Apriti!».

Questa parola è un imperativo liberante e nello stesso tempo una chiamata all’ascolto e al discernimento. Gesù, in stretta comunione con il Padre, libera l’uomo dagli impedimenti comunicativi e gli restituisce in pienezza la sua libertà e capacità di relazione. Questo miracolo, poi, nell’immaginario popolare, assume valore emblematico dei poteri messianici di Gesù nella loro complessità. La gente, infatti, anziché tacere, proclama con stupore: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti».

La Chiesa ha utilizzato questo miracolo per spiegare gli effetti del Battesimo e, nei riti esplicativi, ha conservato il gesto di Gesù di toccare gli orecchi e la bocca del battezzato. Ciò significa che il Battesimo dà la capacità di sentire la parola di Dio, di capirla e di gustarla. Inoltre, la grazia battesimale ci permette di parlare a Dio e di Dio, nella preghiera, nell’annuncio e nella catechesi, oltre ad abilitarci a rendere testimonianza della nostra fede di fronte al mondo.

Infine, va notato che Gesù, per rivelare la sua salvezza, sceglie i poveri e i sofferenti. Questo introduce nella nostra riflessione anche la seconda lettura, che riporta un testo dell’apostolo Giacomo. In questa lettera emergono due aspetti: l’attenzione ai poveri (Cf. Gc 2, 1-13) e il rapporto inscindibile tra la fede e la vita: «la fede senza le opere è morta» (Cf. Gc 2, 14-26). Qui viene sintetizzato anche il carisma pastorale del Cardinale Gusmini, che nel suo testamento ricorda la stupenda realtà della «comunione dei santi», che – nella Chiesa – ci permette di comunicare con Dio e con gli uomini. Per questo, in sua memoria, la gioventù cattolica della Chiesa bolognese diede vita all’ “Opera diocesana della Buona Stampa“.

06/07/2015
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