Sant’Agostino

Ravenna , XLVIII settimana liturgica

Questa eucaristia – incastonata nei giorni di luce e di grazia della 48 Settimana Liturgica – è celebrata nel ricordo di sant’Agostino. E’ una circostanza provvidenziale, che non vogliamo disattendere. Agostino – coi suoi scritti mirabili, con la sua figura di pastore esemplare e, prima ancora, con la sua stessa tormentata vicenda di cercatore di Dio – resta per tutti un maestro che mette sempre conto di ascoltare.

“Fummo battezzati, e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata” (Conf. 9, 6,4).
Con queste semplici e poche parole, Agostino rievoca la conclusione di una lunga e aggrovigliata avventura interiore. La rinascita “dall’acqua e dallo Spirito” avvenne durante la Veglia pasquale della notte tra il 24 e il 25 aprile del 387, nel battistero ottagonale che Ambrogio, il grande vescovo di Milano, aveva appena finito di erigere.

Finalmente era arrivato “a casa”, perchè era arrivato alla percezione viva e alla comunione del Signore Gesù, che anche negli anni più torbidi e nebbiosi era stato l’anelito quasi inconsapevole di tutto il suo essere.

Nel suo lungo sbandamento, in mezzo alla disparità delle opinioni e all’intrico dei vizi, aveva mantenuto come una istintiva attrazione verso la persona di Cristo. “Quel nome del mio Salvatore, del Figlio tuo, nel latte stesso di mia madre il mio cuore ancora tenero aveva succhiato e conservava nel profondo. Sicchè qualsiasi opera ne mancasse, fosse pure dotta e forbita e veritiera, non poteva conquistarmi totalmente” (Conf. 3,4,8).

Uno dei momenti decisivi della sua conversione sopraggiunge quando egli si rende conto che Cristo non è un personaggio letterario o un’idea filosofica, ma è il Signore vivo, che palpita, respira, insegna e ama nella liturgia e nella vita della Chiesa, sua Sposa e suo Corpo. Non dunque con la ricerca erudita e solitaria dell’intellettuale, si può arrivare a lui, ma nella cordiale partecipazione al mistero ecclesiale, che non è adeguatamente distinto dal mistero del Figlio di Dio crocifisso e risorto che si dona ai suoi.

In tale comunione vitale, l’individuo trascende se stesso e invera integralmente la sua natura di uomo come è stata voluta e pensata dal Padre nell’eternità: “Siamo diventati Cristo. Infatti, se egli è il capo e noi le membra, l’uomo totale è ?lui e noi?” (Tract. In Ioan. 21,8), dice arditamente Agostino.

Questa attiva appartenenza ecclesiale, quali che siano le virtù e la santità degli uomini di Chiesa, fonda la certezza salvifica dei credenti. “L’ho detto spesso e lo ripeto insistentemente – dice il vescovo di Ippona ai suoi fedeli – qualunque cosa siamo noi, voi siete sicuri, voi che avete Dio per padre e la Chiesa per madre” (Contra litt. Pet. 3,9,10).

Gli scolastici le daranno un nome barbaro (“ex opere operato”), ma in verità non c’è nulla di più misericordioso da parte di Dio e di più consolante per noi di questa certezza: la certezza che nella Chiesa che insegna, che agisce, che celebra è sempre operante l’immanenza salvifica di Cristo.

Forse era stato proprio questo il guadagno più forte del suo soggiorno milanese. Ambrogio non è stato per Agostino un interlocutore disponibile a colloqui personali pazienti e chiarificanti; tanto meno si era prestato a fargli da direttore spirituale. Eppure il suo apporto alla conversione del professore africano fu decisivo, proprio perch? quel vescovo era un “liturgo” di eccezione, che con la sua presidenza omiletica e rituale sapeva comunicare davvero il senso della presenza attiva del Salvatore in tutti gli atti religiosi comunitari. Possidio, il biografo del vescovo di Ippona, riassume tutto con una frase laconica ed esauriente: “Da Ambrogio ricevette l’insegnamento salvifico della Chiesa Cattolica e i sacramenti divini” (Vita Augustini 1,6).

Da Ambrogio Agostino aveva imparato che “parliamo con Cristo quando preghiamo e ascoltiamo lui quando viene letta la parola di Dio” (cf De oficiis I,20,88).

Da Ambrogio aveva imparato a oltrepassare le “immagini” (ciò che gli occhi vedono) per arrivare a cogliere la “verità” (il Cristo che sotto le “immagini” è sempre operante). “O Signore Gesù – aveva esclamato il vescovo di Milano nel giorno di Pasqua del 381 – da noi ne hai battezzati oggi mille. E quanti ne hai battezzati nell’Urbe di Roma, quanti ad Alessandria, ad Antiochia, a Costantinopoli… Ma a battezzare non è stato Damaso n? Pietro n? Ambrogio n? Gregorio: noi ti prestiamo i nostri servizi, ma tue sono le azioni sacramentali” (Cf De Spiritu Sancto I,17-18: “nostra enim servitia sed tua sunt sacramenta”).

Noi possiamo celebrare nei riti il mistero di Cristo, perchè prima ancora nei riti è Cristo a celebrare il mistero della salvezza del mondo, e in questa sua celebrazione ci coinvolge e ci rinnova.

Gesù è di parola. Ogni giorno, oltre ogni attesa, la sua ultima promessa si invera: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo” (Mt 28,20).

E’ una frase di una semplicità assoluta, ma sotto un certo profilo è il centro e il senso di tutto l’evento cristiano.

A prenderla sul serio, tutto cambia: il nostro modo di pensare, di celebrare, di vivere, si fa diverso.

Non è un’espressione retorica, come quando si dice che gli eroi della patria, i giganti della cultura e della scienza, i grandi filantropi vivono in eterno in mezzo al loro popolo; che in fondo è un modo gentile per dire che sono morti. Gesù è realmente con noi: qui c’è la sorgente della nostra inalterabile serenità in mezzo alle opposizioni e ai contrasti, di qui scaturisce l’energia del nostro dinamismo apostolico.

Proprio questa attualità dell’unico Sacerdote della Nuova Alleanza raduna la Chiesa e ne garantisce la fedeltà. Egli l’affascina e l’innamora, sicch? nessun divo mondano ha più presa su di lei e nessun sortilegio di seducente ideologia riesce a sedurla.

Come dice Ambrogio: “A nulla valgono gli incantatori, dove il cantico di Cristo ogni giorno si canta; ella ha già il suo incantatore, il Signore Gesù…” (Esamerone IV,33).

Una Chiesa che fosse così assorbita dal pur meritevole lavoro a favore degli uomini, da non innalzare più l’inno quotidiano di lode al suo Signore, assomiglierebbe più alla Croce Rossa Internazionale che non alla Nuova Eva, la Sposa fedele del Nuovo Adamo e la Madre dei nuovi viventi; e finirebbe per dedicare le sue canzoni a tutti gli avventurieri di passaggio. Per qualcuno bisogna pur cantare.

Gesù è sempre con noi, ma non è detto che noi siamo sempre con lui. Ci è garantita la fedeltà di Cristo: la nostra fedeltà invece va comprovata e consolidata nei fatti ogni giorno. Ma questo è un altro discorso.

28/08/1997
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