Oggi preghiamo per la pace ovunque, perché un pezzo di guerra ci aiuta ad essere attenti e preoccupati per gli altri, a sentirli tutti nostri. Lo sono per la compassione cui siamo chiamati da Gesù e per la saggia consapevolezza della storia, con la guerra mondiale a pezzi, di quel segno dei tempi che dobbiamo trasformare in segno di speranza. Perché ciò avvenga dobbiamo sentire la ferita bruciante di queste inutili stragi. La sapienza ebraica e umana ricorda che «ogni uomo ha un nome». Tutti, e non sono mai un numero! Vorremmo ricordare i loro nomi uno per uno, per onorare quella persona e strapparla dall’anonimato. La festa della Trasfigurazione che celebriamo oggi ci permette di comprendere la luce che illumina le tenebre della vita, la bellezza quando tutto è un orrore infinito. La speranza non c’è perché le cose vanno bene ma affrontando, come Gesù, il suo esodo, lo scontro decisivo con il male. Cerchiamo luce perché dobbiamo affrontare il buio della guerra, caos che distrugge, ignorante, disumano, cinico, prodotto dalla logica del più forte e, quindi, della forza. Sperimentiamo con amarezza che tutto è vanità, tanto che «quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole», come descrive il libro del Qoelet. Se pensiamo alle occasioni perdute, alle certezze smarrite, a quanto non abbiamo imparato e dimentichiamo e, quindi, ci condanniamo a riviverlo, avrebbe ragione l’amara rassegnazione di Qoelet. Abbiamo dissipato tutti gli strumenti che erano stati il frutto consapevole della Seconda guerra mondiale: la scelta di ripudiare la guerra e quello che la provoca, cercando di risolvere le controversie promuovendo e favorendo organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Si riafferma, invece, la convinzione che se vogliamo la pace bisogna preparare la guerra, meccanismo che rende addirittura indispensabile il riarmo, ben diverso dalla difesa e, purtroppo, non accompagnato dalla scelta di pensarsi insieme. «Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività», chiedeva Papa Francesco per questo Giubileo, ricordando con angoscia come «l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?». Oggi preghiamo in particolare per Gaza. Andiamo anche noi oggi, come racconta il libro degli Atti, con il diacono Filippo mandato dall’angelo di Dio sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza. Era ed è deserta, desertadi vita, di umanità, teatro solo di violenza che non può mai vincere la violenza, ma ne semina solo altra. Come vorremmo che quella strada si riaprisse e ridiventasseoccasione di incontro, di speranza, di richiesta di perdono, di scelta di pensarsi insieme! Vorremmo che nella strada che unisce Gerusalemme a Gaza tutti si associassero alla dichiarazione recente dei rappresentanti della comunità cristiana ed ebraica di Bologna, figli dell’Unico Dio pacifico e misericordioso. «Di fronte alla devastazione della guerra nella Striscia di Gaza, fermi tutti. Tacciano le armi, le operazioni militari in Gaza e il lancio di missili verso Israele. Siano liberati gli ostaggi e restituiti i corpi. Si sfamino gli affamati e siano garantite cure ai feriti. Si permettano corridoi umanitari. Si cessi l’occupazione di terre destinate ad altri. Si torni alla via del dialogo, unica alternativa alla distruzione. Si condanni la violenza. Ci uniamo al grido dell’umanità ferita che non vuole e non può abituarsi all’orrore della violenza: basta guerra. È il grido dei palestinesi e degli israeliani e di quanti continuano a credere nella pace, coscienti che questa può arrivare solo nell’incontro e nella fiducia, che il diritto può garantire nonostante tutto. Come ricorda il Salmo: “Cercate la pace e perseguitela”(Sal 34,15). E come insegna la sapienza antica: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Ma è tragicamente vero il contrario: chi uccide un uomo uccide il mondo intero. Condanniamo ogni atto terroristico che colpisce civili inermi. Nessuna causa può giustificare il massacro di innocenti. Troppi bambini sono morti. Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi.Rigettiamo ogni forma di antisemitismo, islamofobia o cristianofobia che strumentalizza il dolore e semina solo ulteriore odio. Chiediamo alle istituzioni italiane e internazionali coraggio e lucidità perché aprano spazi di incontro e aiutino in tutti i modi vie coraggiose di pace. Il dolore unisca, non divida. Il dolore non provochi altro dolore. Dialogo non è debolezza, ma forza. La pace è sempre possibile. E comincia da qui, da noi. Fermi tutti!». Ecco quello che vorremmo dire e sentire dire oggi sulla strada da Gerusalemme a Gaza, mentre a Gaza si calpesta la vita, sempre più invivibile per i suoi abitanti. Lì non c’è più niente di sacro, non la chiesa, non la moschea, neanche l’ospedale e la fila di quanti hanno la sola colpa di voler sopravvivere. Papa Leone XIV ha detto: «Chiedo che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto». Ed ha aggiunto: «Alla comunità internazionale rivolgo l’appello a osservare il diritto umanitario, a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di una punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione».
Oggi è anche il giorno in cui ricordiamo la “gloria distruttiva” dell’uomo a ottant’anni dal lancio della bomba atomica, che generò nel cielo un monte di terribile distruzione, un fuoco che inghiottì la vita con una forza davvero inimmaginabile. Non possiamo accettare che si torni con facilità a usarla come minaccia, non remota. Papa Francesco ci ammoniva:«Si tende a credere che “ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori”», mentre in realtà «“l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza”, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (LS 105). Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Siamo nell’età della forza, in cui spesso il bene comune dell’umanità e il dramma dei popoli in guerra sono secondari. Martin Luther King nel 1967 diceva: «Dobbiamo trasformare l’indecisione passata in azione. […] se non agiamo, saremo sicuramente trascinati giù per i lunghi, bui e vergognosi corridoi del tempo riservati a coloro che possiedono il potere senza la compassione, la potenza senza la moralità, la forza senza la vista». Camus, il giorno dopo del lancio della bomba, scrisse: «Bisognerà scegliere, in un futuro più o meno prossimo, tra il suicidio collettivo o l’utilizzo intelligente delle scoperte scientifiche. Di fronte alle terrificanti prospettive che si aprono all’umanità, ci rendiamo sempre più conto che la pace è la sola battaglia per la quale valga la pena di combattere. Non è più una preghiera, è un ordine che deve salire dai popoli verso i governanti, l’ordine di scegliere definitivamente tra l’inferno e la ragione».
Ecco perché seguiamo Gesù, per liberarci dal sonno, dalle discussioni così misere su chi è il più grande, che rendono inutili tanti sforzi e riempiono di discussioni sterili. Paolo VI, nell’Angelus che non ha pronunciato il giorno della Trasfigurazione perché morì, aveva scritto: «Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai». Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490). Tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cfr. Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce.
Trovare luce in una notte profondissima, in un orto degli ulivi che anticipa il buio su tutta la terra dei frutti del male, che spegne la vita di quella persona, di quel mondo che è quella persona, e così anche tutte le speranze. Il Cardinale Pizzaballa descrive così la situazione: «Le morti non si contano, la mancanza dei medicinali, la mancanza di cibo, la fame, non sono una teoria, sono una realtà concreta che colpisce direttamente migliaia e migliaia di persone in maniera inimmaginabile. Tutto sembra parlare di morte, di odio, di distruzione, di violenza, sembra una notte che non finisce mai. Purtroppo la notte, l’oscurità, sembra veramente essere il criterio di riferimento per molti».Sono notti piene di pericoli, illuminate dalla luce abbagliante degli esplosivi che tutto distruggono, il tempio di Dio che è ogni persona umana come le case degli uomini, gli ospedali, le scuole. Sono le notti dell’umanità, della morte della pietà, tanto da accettare i morti come danni collaterali, senza parole di condanna, di richiesta di perdono, anzi apertamente o velatamente di vendetta, come se questa giustificasse l’orrore di vittime innocenti, di bambini, addirittura prendendo la mira o anche solo azionando da lontano micidiali e ormai ordinari ordigni di morte. «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella quanto resta della notte?» è allora l’implorazione angosciosa di chi deve affrontare l’ora delle tenebre, in questo lunghissimo venerdì santo. I cristiani sono sentinelle del mattino perché il loro amore mostra l’aurora della resurrezione, devono essere stelle del mattino con il loro amore, luce della vita più forte della morte. La luce di Gesù non è un inganno fuori dal mondo, ma lotta con le tenebre, quel mirabile duello che non vogliamo evitare, per il quale Gesù è venuto, perché l’amore non è una favola, un’illusione per tranquillizzarsi, ma la forza che non ci fa scappare persalvare noi stessi, ma ci fa cercare di salvar l’altro e,quindi l’umanità, sua e nostra. Non dobbiamo forseessere noi persone che, in questo mare incredibile di sfiducia e di odio, sono ancora capaci di mettersi in gioco per fare qualcosa per l’altro, perché credono nell’altro e non si arrendono a questa situazione di «io e nessun altro», ma puntano sul «noi insieme»? È la preghiera, sono i gesti concreti, di vicinanza, di empatia, di amore, come i corridoi umanitari. La luce è quella di poveri operatori di pace che non si rassegnano, che superano i muri.
Signore, la spada che tu hai imposto di rimettere nel fodero, rendendoci consapevoli che chi colpisce di spada di spada perisce, può uccidere milioni di persone in un attimo. Ricordando quello che è successo ottanta anni or sono, sentiamo il tuo ammonimento drammatico edecisivo. Insegnaci a rimettere nel fodero la capacità di distruggere l’umanità di quel mondo intero che è una persona, e l’intera casa comune minacciata da armi che la distruggono. Insegnaci a tenere distante i cuori da ogni logica di forza, dall’odio, dall’ignoranza, dalla violenza,dalla mancanza di rispetto. Signore, insegnaci a essere coraggiosi operatori di pace perché l’umanità possasopravvivere, e perché gli arsenali siano svuotati, le scuole educhino, gli ospedali curino, le case proteggano, le fabbriche diano lavoro, i campi i frutti, e la terra diventi la casa comune di fratelli tutti, come Tu vuoi.
