A cento anni dalla nascita di mons. Giulio Salmi

Bologna, Villa Pallavicini

Ricordiamo con tanta commozione e gratitudine a Dio che ce lo ha donato e a lui che ha detto sì, il giorno dopo un altro centenario importante per la Chiesa universale, San Giovanni Paolo II, don Giulio Salmi, uomo cui tanta parte della storia recente della nostra Chiesa di Bologna e della nostra città sono legati.

E don Salmi sapeva interpretare in maniera così umana e cristiana, credibile perché vera, la nostra città, accogliente, luogo di incontro, di relazione e anche dove il Vangelo ha rappresentato per tanti speranza, orientamento, solidarietà.

Era il pane della terra che dovevamo spezzare senza timore. Il centenario cade in un periodo nel quale molti hanno parlato di ricostruzione. Il virus ha distrutto tante convenzioni, ruoli, sicurezze, ha bucato la bolla di sapone dietro la quale pensavamo stoltamente di potere vivere sani in un mondo malato.

La pandemia ha sconquassato l’economia, generato povertà, per cui il rischio è che chi era povero lo è e lo sarà ancora di più, chi era fragile si trova in condizioni peggiori di prima, con ancora più incertezza, a volte vera e propria disperazione.

Ma attenzione, l’uomo è lo stesso prima e dopo la pandemia e se non cambiamo facendo tesoro di quello che è successo, se non ci convertiamo per davvero, il rischio di essere peggiori è davvero grande. Siamo stati umiliati, ma questo non significa essere umili.

Molti possono immaginare di riprendere come se niente fosse, credere possibile continuare a non capire, vivere in maniera superficiale invece di studiare, prepararsi, andare in profondità. Possiamo cercare di salvarci da soli, prendendo quello che troviamo, quello che serve a me non quello che serve a tutti, costruendo nello spazio, non nel tempo, cioè quello che consumo io oggi non ciò che serve a qualcun altro domani.

Abbiamo tanto da cambiare e da riparare. Ecco, don Salmi ci aiuta. La ricostruzione chiede delle virtù e ci impone di liberarci di quelle che hanno generato volatilità, incertezza, insicurezza, ingiustizia, che c’erano certamente ben prima del virus.

C’è oggi chi pensa di guadagnare sui problemi e specula! Chi invece, come fece don Salmi, costruisce, che dona la vita per gli altri. Don Salmi è stato un uomo pieno di Spirito Paraclito e ha cercato di consolare e difendere a partire dai più deboli, peché farlo a loro prima, permette di farlo a tutti.

Voleva dare loro quello che altrimenti era negato, possibilità che non avrebbero avuto. Era un uomo libero, soprattutto dalla mentalità comune e da apparenze esteriori. Era libero perché legato a Cristo e pieno dello Spirito che soffia dove vuole e non sai da dove viene e dove va.

Come gli Apostoli di cui abbiamo ascoltato. Come loro accettò di pagare un prezzo, come Paolo e Sila. Durante la guerra non fece l’eroe, ma il cristiano! Nelle difficoltà siamo chiamati a dare testimonianza. Era un uomo di preghiera e di fede, che come loro “verso mezzanotte” erano “in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli”. Nella prova dobbiamo convertirci, alzare lo sguardo, dare testimonianza dell’amore di Dio.

Non salvare se stessi, non condannare, ma salvare gli altri. Il carceriere “li prese con sé e li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio”. Ecco l’inizio della Chiesa: uomini amati che imparano a riconoscere Cristo e scelgono a loro volta di amare. Gesù va via e ci lascia il Paràclito perché noi diventiamo, pieni di lui, difesa dei più fragili e consolazione per i feriti.

Don Salmi è una storia anche di tanti santi, perché i santi si aiutano, non si fanno da soli, si incoraggiano a vicenda, si edificano gli uni con gli altri. Don Calabria che gli disse tre cose: “Devi diventare come Daniele, uomo dai grandi orizzonti”.

“Non essere una candela; ma una stufa, che scalda sè e gli altri”. “Sii una conca, non un rubinetto, che disperde i doni di Dio”. Don Salmi si occupò delle Caserme Rosse di Bologna, semplice come colomba e astuto come serpente. Il cristiano non può essere buonista, perché è proprio il male che rende privo di sapore e di responsabilità l’amore.

Un uomo che si accontenta di quello che trova, che cerca solo di apparire, compiaciuto di quello che fa e non di quello che serve, che non vuole cambiare, è buonista. Salmi non si accontentò. Alle Caserme Rose “lo videro entrare una mattina. “Sono venuto a dir Messa” disse e da una valigetta estrasse, come un prestigiatore, un tavolo e quanto serviva per il rito. Intorno a lui si radunarono la gran parte degli internati, non tutti convinti”.

Divenne una figura leggendaria. “Girava in bicicletta lungo la Gotica con la sua valigetta ed il permesso di dire la Messa e ad ogni Vangelo ripeteva il suo incitamento alla ribellione e alla fuga. Più distanti alcuni rastrellati già liberati attendevano il compagno che riusciva ad eludere la vigilanza e davano anche a lui il documento con il timbro delle SS, poi l’accompagnavano fino a Bologna per rifugiarsi in un posto sicuro.

Il timbro del Comando delle SS non era falso, era autentico. Don Giulio un giorno seppe che un alto ufficiale di quel famigerato corpo era un cattolico. Si fece ricevere e in pochi minuti lo mise in crisi. Lo lasciò pentito e piangente dietro la sua scrivania ed ebbe in dono il timbro prezioso!

Un giorno fecero assistere alla Messa un tedesco che capiva l’italiano e dopo il Vangelo arrestò don Giulio con la sua valigetta e la bicicletta. Dare testimonianza significa anche il rischio, ma il martire non è uno sconsiderato, ma uno che ama, che difende il prossimo.

Imprigionato e condannato a morte sparì dalla scena per un certo tempo lasciando in tutti i suoi beneficati sgomento e rimpianto. Poi riapparve graziato per l’interessamento del cardinale Nasalli Rocca che aveva ottenuto dal Comando tedesco la sua libertà promettendo che avrebbe cessato la sua attività.

Fu visto ripartire in bicicletta alla ricerca di soldati tedeschi sbandati e impauriti. Riempì la sua casa, poi li consegnò agli alleati. “Ora sono loro che hanno bisogno di me”, disse. L’amore è libero e aiuta tutti. Sentivano la sfida della missione e la necessità di andare oltre il territorio, per entrare negli ambienti.

Il mondo del lavoro appassionò tanti, come don Filippo Cremonini, alla Manifattura Tabacchi, don Angelo Magagnoli, i giovani formatisi nel Seminario di Valverde, don Saverio Aquilano, don Lorenzo Lorenzoni, don Libero Nanni, don Gianni Vignoli, don Giuseppe Nozzi, don Giuseppe Gambari, (più noto come don Peppino), don Vittorio Serra, don Armando Ricci, don Albino Bardellini, don Enrico Giusti, don Guido Gnudi, don Tommaso Ghirelli, don Romolo Bacilieri, don Colombo Capelli, don Francesco Cuppini.

Una presenza evangelica e umana, che giocava tutto proprio in queste fabbriche per ricostruire una relazione altrimenti inesistente o addirittura contraria. In un coraggioso discorso in Piazza Maggiore in occasione del 1° maggio 1995, parlò con inquietudine e visione del futuro, superando schemi e contrapposizioni già allora obsoleti e indicando una grande prospettiva per i lavoratori che non dovevano esaurirsi in rivendicazioni alla fine corporative.

Gesù è uomo per tutti gli uomini, non una categoria, ma tutte le categorie. “Voi lavoratori se vi chiudete nelle vostre istanze di un sempre miglior andamento finanziario ed economico, e non dilatate i vostri cuori e le vostre menti a tutti i lavoratori del mondo che sono oppressi da fame e miseria, voi vi inaridite ed è stata vana tutta la vostra lotta per il bene dei lavoratori”.

“Non è cessata la Resistenza, anzi ora si fa più acuta perché non si lotta più con un nemico in carne ed ossa come erano i nazifascisti, ma si deve lottare contro l’egoismo e il consumismo che ci pervade per far trionfare la solidarietà umana”.

“Davanti a queste persone mi sento commosso e penso che il loro sacrificio non è stato vano perché noi dobbiamo imparare a sacrificarci per le persone più deboli e indifese; e da questi fatti dobbiamo apprendere l’insegnamento per essere tutti assieme impegnati a formare una società libera e solidale nella quale non ci sia più posto per l’egoismo e l’assenteismo”.

La sua era la scelta di dialogare, senza compromessi con la mentalità dominante. Ricordava, figlio di papa Giovanni e della medicina della misericordia e non di quella del rigore, che <Bisogna soprattutto ricordare che le anime non vanno aggredite.

L’aggressione fa dei vinti o dei prigionieri, ma non convince nè porta all’amore. Per portare all’amore si deve cominciare proprio con l’amore. Ne deriva che il sacerdote, il quale vuole parlare ad un’anima, deve rompere questo egoismo: almeno per iniziare il colloquio egli deve fondersi col bisogno che è in quell’anima.

Questo apostolato di amicizia è agevolato, rispetto ad altri metodi, dal fatto che l’amicizia predispone l’animo di entrambi a non opporsi reciprocamente per pura prevenzione, vizio questo che danneggia la verità più della stessa ignoranza. Ecco l’audacia della carità di cui palava don Dossetti. Tanto audace che cercava le risposte, non in base a quello che aveva, ma a quello che serviva, confidando nella Provvidenza e coinvolgendo nella solidarietà.

Per questo vedeva lontano, anticipava i problemi. <“eri erano i giovani in attesa di sposarsi, ora sono le persone della terza età bisognose di avere la loro libertà in un ambiente capace di comprenderli e di costruire con loro una vita più umana e più sociale”.

Pensando alla strage di anziani causata dal Covid 19 e alla consapevolezza che le persone oneste hanno di ripensare l’assistenza sociale e sanitaria per gli anziani, credo che le parole di don Salmi siano ancora oggi molto attuali. La carità davvero non invecchia!

Costante fu in lui la certezza di essere strumento di Dio, come piena fu la sua adesione agli insegnamenti di Cristo. Era un prete vero e per questo come apostolo di Gesù ritenne suo dovere porsi a servizio di tutti, senza distinzioni, per recuperare quanti avevano smarrito la fede, per comunicare a tutti il valore della vita, la speranza della vita ultraterrena.

“Ogni istante devo proclamare l’amore di Dio per tutti” ha scritto nel suo testamento spirituale. Quando venne ordinato sacerdote aveva scritto: “Vedo finalmente avverarsi il mio desiderio di portare la fede a masse operaie che la cercano”.

Il Vangelo per tutti, specie ai lontani che lo sono perché non li abbiamo attratti. Grazie don Giulio, perché sei stato consolatore e avvocato degli ultimi e la carità è diventata una città di amore, come la prima comunità cristiana, come la Chiesa che è domestica. Prega per noi e donaci l’audacia della carità e la libertà dello Spirito per ricostruire dopo la pandemia.

19/05/2020
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