congresso della società italiana di chirurgia

Bologna, basilica di San Domenico

Saluto cordialmente i partecipanti al 103° Congresso Nazionale di Chirurgia, che hanno voluto dare inizio ai loro impegnativi lavori proprio con questa celebrazione nella prestigiosa basilica di San Domenico. Prima di chinarsi, con i loro studi, con i loro dibattiti, con la loro ricerca appassionata, sulla sofferenza umana – al fine di trovare le forme più valide e più opportune per alleviarla – hanno pensato di rivolgere in alto il loro sguardo, nella persuasione umile e sapiente che (come ci dice la parola di Dio) “ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17).

Ai nostri giorni – forse per l’atmosfera scettica e senza ideali in cui siamo immersi, forse perché si è troppo presi e distratti da un’esistenza che si fa sempre più complicata – si vive spesso (per così dire) spiritualmente ricurvi, in quello stato d’animo che è evocato dal profeta Isaia con queste parole: “Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto” (Is 38,14).

Non è il vostro caso: la vostra presenza qui dimostra appunto che questa stanchezza in voi non c’è. Sicché potete non solo dare inizio al vostro Convegno ma anche pensare alle non piccole responsabilità della vostra professione, facendo vostra la fiducia del salmista: “A te levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli” (Sal 122,1). “Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra” (Sal 121,2).

L’arte di curare i malanni dell’uomo e di intervenire sulle sue membra è antica quanto il mondo. Ma qualcosa davvero di nuovo e di beneficamente rivoluzionario è entrato nella nostra vicenda, da quando il Figlio di Dio, il Signore dell’universo e della storia, si è addirittura identificato con il sofferente e l’infermo, dicendo: “Ero malato e mi avete visitato, ogni volta che avete aiutato un mio piccolo fratello e gli avete recato giovamento, l’avete fatto a me”(cf Mt 25,36.40).

Da allora ogni dottore, ogni chirurgo – se agisce con animo retto e con un po’ d’amore – diventa, osiamo affermare, “creditore” del Re di tutte le cose. Da allora, l’opera del medico è sorretta – ed è una grazia saperlo cogliere – da una motivazione trascendente e da una energia sovrumana. Da allora una solidarietà nuova, una speranza nuova e più globalmente un “umanesimo nuovo” ha animato e arricchito la terra.

Questo nuovo umanesimo, cioè questa concezione che colloca l’uomo sopra ogni altra creatura mondana, come realtà sacra e intangibile – sulla quale nessuno può porre le mani, se non per fargli del bene e dargli sollievo – è patrimonio primariamente di chi si fa discepolo del Vangelo e accetta su di sé la signorìa del Signore crocifisso per noi e risorto.

Tuttavia tale concezione può essere condivisa anche da coloro che – pur non essendo ancora arrivati alla conoscenza del Dio creatore e padre di tutti né dell’unico necessario Salvatore – conservano però la sana capacità di giudizio, il senso nativo del bene e del male, la spontanea inclinazione ad amare i fratelli in umanità e ad adoperarsi per alleviare le loro pene.

A quanti siete qui radunati conviene un augurio, che diventi anche una comune implorazione per l’intercessione del glorioso patriarca san Domenico, che in questa chiesa riposa nell’attesa della risurrezione: abbiate sempre viva l’altissima visione dell’uomo, insegnataci da Gesù; manterrete per ciò stesso sempre viva anche un’altissima visione del vostro lavoro e della vostra missione.

28/10/2001
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