Giornata dei poveri

Bologna, cattedrale

«Tendi la mano al povero» è l’invito rivolto a ciascuno e a tutta la Chiesa in questa quarta domenica dei poveri voluta da Papa Francesco per ricordarci di amarli tutti i giorni e che essi sono nostri, loro che non sono di nessuno tanto che non si prende la loro protezione, anzi viene scaricata sempre su altri. 

Metterli al centro della nostra celebrazione ci aiuta a capire che se amiamo Dio dobbiamo amare il prossimo, ad iniziare da chi è povero. Gesù si identifica con loro, tanto da dire che qualunque cosa faremo ad uno di loro l’abbiamo fatta a Lui. La domenica noi tutti impariamo a contemplare la presenza di Dio in mezzo a noi, a conoscere in maniera spirituale e fisica, con gli occhi della fede e del cuore, il suo mistero di amore.

Da qui usciamo per vedere i tanti poveri che altrimenti restano invisibili, non perché non ci siano ma perché senz’amore non ci accorgiamo di loro. Non vediamo, però, nemmeno il Signore se non lo riconosciamo nel povero! Come il fariseo al tempio incontreremmo solo il nostro io, non Dio.

E non lo vedremo nell’ultimo giorno, perché Lui ci dirà che non ci conosce perché non lo abbiamo riconosciuto in quell’uomo che aveva fame. Chi incontra il povero incontra l’uomo, impara ad amare come Dio, gratuitamente e trova il suo prossimo! In Chiesa tendiamo le mani per nutrici del suo corpo, pane di vita di cui abbiamo bisogno.

Da qui usciamo per tendere noi le mani verso il corpo di Cristo che sono i poveri e donare noi il pane dell’amore di cui loro hanno bisogno. La parola che ascoltiamo in questa casa diventa parola di amore, ad iniziare dalla gentilezza verso il prossimo. Tutto questo è eucarestia. Tendi la mano anche se rischi di sporcartela.

Ma per il Signore le mani pure non sono quelle dei farisei che non amano, ma quelle dei poveri che stringe per liberarli dal male. Pure sono le mani che stingono i poveri. Tendi la mano al povero, senza giudizio e senza paura. Gesù per primo tende la sua verso di te. Se amiamo le nostre mani pure e la nostra vita senza gli altri restiamo a distanza e passiamo dall’altra parte. La compassione ci fa fermare.

L’indifferenza ci fa tenere le mani in tasca, la misericordia ci fa tendere la mano verso quell’uomo che inatteso, sconosciuto, sofferente incontriamo lungo la strada. E non si tratta solo dare loro qualcosa – che è già molto in un mondo che diventa avaro e senza pietà – ma possiamo regalare la nostra amicizia, incontrarli come nostri amici, scoprendo la persona e in realtà anche noi stessi perché capiamo chi siamo noi solo mettendoci alla pari degli altri, trattandoli da fratelli ed essendolo noi per loro! Scoprire che quel povero è il mio prossimo vuol dire anche capire che mi rassomiglia, che siamo uguali, che è mio familiare.

L’amore annulla tutte le distanze. San Francesco, che voleva tutti fratelli e vedeva in ognuno il suo fratello e sorella, diceva: «Beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Papa Francesco nella sua ultima enciclica ci ricorda che (FT17) «prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi», liberando dall’inganno dell’individualismo che fa credere che troviamo il nostro io senza gli altri o solo con quelli che mi convengono.

Se non amiamo i poveri finiamo a pensare solo al (FT36) «si salvi chi può» che poi diventa facilmente «tutti contro tutti». Questo, aggiunge papa Francesco «sarà peggio di una pandemia». A chi è senza vestito e sprovvisto di cibo non basta dire “andatevene in pace” perché occorre dare loro il necessario per il corpo.

Solo così la nostra fede non è morta. Tendere la mano non è solo fare scivolare qualche aiuto, ma «stringere la mano del povero e aiutarlo nel suo bisogno, vincendo le cause che lo fanno stare male». (FT180) Amare i poveri non è solo «un sentimentalismo soggettivo» (FT 186) perché diventa «impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria».

«È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza». Dare da mangiare e dare lavoro. Per questo «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri” perché abbiamo visto quanto bisogno c’è di speranza e di futuro, di dare da mangiare e dare lavoro. Ed è proprio il povero che ci sveglia dal sonno dell’amore per noi stessi. Il povero non è una categoria astratta, morale, senza corpo, storia, nome. E’ una persona concreta che incontriamo così com’è, senza altra qualifica che non sia la fragilità e che amiamo non perché corrisponda ai requisiti che pensiamo noi ma perché povero, di tutte le povertà. Gesù non sceglie prima il mendicante e non giudica se stava lì per colpa sua o se era buono o cattivo. Mendicava, era bisognoso di aiuto e gli diventa fratello, si fa vicino. A volte pensiamo che amare i poveri sia possibile a chi ha qualcosa in più, come se si tratta di dare il superfluo e non il cuore. Non è problema di mezzi e nemmeno di capacità, ma solo di amore gratuito, senza rimborso, mettendo le mani nella nostre tasche per trarre l’olio e il vino da versare sulle sue ferite. E questo è possibile a tutti. “Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia”, scrive nel suo messaggio Papa Francesco. Per lui le mani tese sono quelle “dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati».

Ne indica alcune: «La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione». Tendiamo le mani al povero e troveremo il nostro prossimo.

Ecco, tutti noi abbiamo un talento di amore, che scopriamo solo tendendo le mani al povero. Non dobbiamo avere paura di perdere il talento, ma di non investirlo! Amare il povero dona vita, non la toglie! Il talento lo scopriamo impiegandolo, cioè donandolo. Non facciamo vincere la paura e la pigrizia e ricordiamoci che non è la stessa cosa per gli altri se lo impieghiamo o no.  E’ un regalo che si regala e ci libera dal cercare la convenienza personale. Quando vince la paura, la pigrizia del conservarsi, lo teniamo nascosto senza «impiegarlo», lo perdiamo e in realtà lo facciamo perdere agli altri che ne avevano bisogno. 

Siamo sulla stessa barca. I poveri devono stare sulla nostra stessa barca. Nella tempesta è sconsolante vedere l’incapacità a aiutarsi, perché la divisione finisce per essere complicità con il male. Gesù prende sempre una parte sola, quella della persona, ad iniziare da chi ne ha più bisogno, il povero.

Oggi non posso dimenticare il grido straziante e sconsolato – proprio quello di Rachele dopo la strage degli innocenti –  di una mamma che invoca: «Help! I loose my baby, I loose my baby», dopo avere atteso per ore qualcuno che li salvasse in mezzo all’enormità del mare, dopo che il barcone di fortuna aveva naufragato. «Non lasciatemi solo», è il grido di tanti anziani naufraghi nella fragilità, ospiti nelle residenze dove in queste settimane si registra di nuovo un doppio doloroso isolamento. Siamo sulla stessa barca. Gesù è lì con loro. Aiutiamolo. Aiutamoli.

Signore, che ti sei fatto povero per renderci ricchi del tuo amore, ci insegni ad essere amici dei poveri, ti ringraziamo perché ci insegni a non avere paura di investire il nostro talento. Tu vuoi che la nostra vita germogli e dia frutti di consolazione e speranza in un mondo malato e diviso. Signore, in realtà siamo tutti mendicanti di amore e Tu ci mostri qual è la vera ricchezza, perché solo quello che è donato non si perde. Liberaci da giudizi ingiusti, insegnaci a capire la storia e le condizioni di ognuno, ad essere amici dei poveri, guardandoli con occhi di amore, perché solo così capiamo che sono il nostro prossimo e noi il loro. Grazie Signore. «Tendi le mani al povero». 

15/11/2020
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