Messa del Corpus Domini e istituzione Accoliti

Bologna, Cattedrale

La festa del Corpus Domini celebra la grandezza di Dio e la sua presenza in mezzo a noi. Dire che l’eucarestia è il centro e fulcro di tutta la vita cristiana non è solo un’enunciazione teologica ma è la nostra esperienza tutta umana e tutta divina, che abbiamo compreso in queste settimane di digiuno obbligato.

Il Corpus Domini significa la sua concretezza: Dio si lascia avvicinare, tanto che la santità, cioè l’amore pieno di Dio e la nostra umanità concreta non sono più dimensioni opposte.

Guai a dividerle, perché porterebbe la santità in una dimensione eterea e distante, condannando Dio, che si fa uomo, ad una dimensione sovraumana e l’umanità ad essere un accidente o peggio un peso di cui liberarsi.

Noi risorgeremo con il nostro corpo, non lo buttiamo via come fosse solo contenitore in fondo inutile. Il Corpus Domini è l’alleanza tra Dio e l’uomo che fa sentire l’uomo amato, protetto, custodito e questo è vero sempre anche se lo capisce spesso solo nell’incertezza.

E’ il pane degli angeli, insomma di uomini che il Signore tratta da angeli perché il loro vagare giunga nella casa del cielo. Dio con commovente insistenza ci vuole figli nonostante ci sentiamo orfani, ci nutre perché lo conosciamo e crediamo nell’amore e non ascoltiamo il lupo che abbiamo dentro.

Davvero non è pessimista Dio, anche se gli uomini non sanno capire e accettare la fragilità della loro vita e quanto, essendo sulla stessa barca, debbono aiutarsi e non essere indifferenti o peggio nemici tra loro. E’ pane perché chi lo mangia sperimenti letteralmente la “compagnia”, la vicinanza di Dio che si fa nutrimento del corpo e dell’anima.

E’ l’anima a dare senso e forza a tutto il corpo. E’ nascosta, eppure decisiva. La curiamo così poco perché attenti alle apparenze, anche se poi l’anima è quella che si vede di più perché è proprio vero che gli occhi ne sono lo specchio e il volto riflette quello che abbiamo dentro molto più di quello che rediamo.

A volte la vendiamo per un po’ di benessere, per cui finisce stordita, ma poi si riaccende e si ripresenta per farci rientrare in noi stessi. Non spegnerla.

Spesso la ascoltiamo poco, perché in realtà ci mette paura: fare i conti veri con se stessi non è facile, perché possiamo imbrogliare gli altri ma non l’anima, anche perché in essa – che è quanto abbiamo di più personale – incontriamo Dio che ce l’ha donata facendoci a sua immagine.

Questo pane è pane di vita perché nutre l’anima ma è pane che ci insegna a spezzare tra noi il pane della terra. “Se condividiamo il pane del cielo, come non condividere il pane della terra?”.

Questo corpo è di Colui che insegna agli uomini del mondo come stare al mondo, come vivere bene tanto che il mondo diventa un paradiso già fin da adesso, e ci apre la via del cielo perché la nostra anima e il nostro corpo non finiscano amaramente sulla terra.

I romani auguravano a chi moriva “ti sia lieve la terra”, ma l’uomo cerca il cielo, è fatto per lassù, non può finire qui e la terra è sempre pesante perché la vita cerca il cielo.

Chi si nutre del pane degli angeli è più uomo, non meno uomo e impara a vedere oggi il cielo dei tanti doni di Dio.

Questo pane ci apre gli occhi come ad Emmaus perché la nostra tristezza diventi gioia e sappiamo vedere la gioia del suo amore che dona luce e bellezza a tutto e a tutti.

Come l’ostensorio davanti al quale adoriamo – e non dimentichiamo che chi adora Gesù non adora gli idoli ed è libero dai padroni del mondo – è tradizionalmente raffigurato come un sole dal quale partono tanti raggi.

E’ vero la sua luce ci rende luminosi, libera dalle tenebre del cuore, ci raggiunge e ci rende specchio del suo amore.

E poi penso anche che, al contrario, questo Corpo raccoglie e rende una cosa sola quei tanti raggi che siamo ognuno di noi e che Gesù attrae a sé e ci permette così di capire come non siamo isolati, non possiamo vivere da isole, ma “raccolti diventiamo una cosa sola, come il grano sparso sui colli”.

Più mettiamo al centro Gesù, nella nostra vita personale e nella vita della nostra casa comune, più saremo una cosa sola tra di noi. La comunione genera anche comunione tra noi, perché il Corpus Domini ci rende fratelli, ci ricorda che lo siamo e che possiamo esserlo.

Gesù non riunisce un’istituzione ma la sua famiglia. La Chiesa è sempre una compagnia umana e il suo corpo nutre la fraternità, tanto che Corpus Domini è anche il fratello, ad iniziare dal povero.

E pane di tutti e per tutti, lo stesso per tutti, universale, che libera dalle graduatorie e dalle esclusioni cui siamo abituati, che supera i confini tracciati nel cuore, quelli dei nostri odi, dei rancori sordi, dell’incapacità ad ascoltare e ad avere comprensione dell’altro.

Abbiamo bisogno del Corpus Domini, perché il nostro Dio non diventi un entità senza volto, senza materia, e alla fine relativizzato dall’io, perché è sempre è un Tu che si è fatto corpo, non un fantasma irraggiungibile, che mette paura.

Cari accoliti siete un ministero di questa famiglia voluta dal Signore, santa per questo, comunità umana nella quale contempliamo il Corpus Domini.

E’ servizio, gratuito, che vuol dire senza nessuna ricompensa, fosse il ruolo, la vanità della considerazione.

Non ci stancheremo di ripetere che ogni ministero ricorda a tutti che non si sta nella chiesa senza fare nulla, che tutti hanno tanto da fare perché c’è tanto da fare in questo mondo malato e isolato e perché ognuno può fare molto, perché il Signore tira fuori il meglio di noi.

E la prima opera del cristiano resta sempre la preghiera, nella quale, anche se soli, ci uniamo sempre agli altri tanto che diciamo “Padre nostro”.

Ognuno ha un suo ministero, cioè il suo servizio. Non ci sono nullafacenti nella Chiesa! Quanto si indebolisce la Chiesa quando la trattiamo come fosse un’istituzione che deve erogare dei servizi religiosi o quando in nome delle nostre verità o ossessioni la trattiamo da estranea, la feriamo con parole, gesti, silenzi, atteggiamenti che ne contristano lo spirito.

Ci vuole assai poco a fare male alla comunione! Uso questo termine che è quello che indica l’Eucarestia ma anche il legame che ci unisce.

Facciamo comunione tra noi, perché è un dono del Signore e dobbiamo trattarla con la stessa venerazione con cui trattiamo il Corpus Domini deposto sull’altare.

Non perdiamone nemmeno una briciola, cioè un fratello, come non dobbiamo perdere nemmeno una parola di questo corpo!

Vorrei chiedervi di essere molto accoglienti. Preparare la mensa inizia da questo e l’altare inizia dalla porta.

L’accoglienza soprattutto in queste settimane serve per controllare il rispetto delle regole, ma vorrei che restasse anche dopo il virus, per aiutare ciascuno ad avere il suo posto, per fare sentire a casa, attesi, desiderati, parte di questo Corpo che non disprezza nessuno e tutti vuole perché tutti ama.

E per primi dovremmo accogliere, e quindi invitare, i poveri. Domandiamoci cosa possiamo fare ognuno di noi e cosa significa una casa accogliente e volti, cuori aperti al prossimo che condividono con noi quello che abbiamo di più prezioso e che ci aiuta a non avere paura di condividere il pane della terra!

Non per qualcuno, ma per tutti! Amate di amore sincero il corpo mistico del Cristo, che è il popolo di Dio, soprattutto i poveri e gli infermi.

Attuerete così i l comandamento nuovo che Gesù diede agli apostoli nell’ultima cena: amatevi l’un l’altro, come io ho amato voi.

“La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano, Ma solo con l’udito si crede con sicurezza: Pane vivo, che dai vita all’uomo, Concedi al mio spirito di vivere di Te, E di gustarTi in questo modo sempre dolcemente.

Oh pio Pellicano, Signore Gesù, Purifica me, immondo, col Tuo sangue, Del quale una sola goccia può salvare Il mondo intero da ogni peccato.

Oh Gesù, che velato ora ammiro, Prego che avvenga ciò che tanto bramo, Che, contemplandoTi col volto rivelato, A tal visione io sia beato della Tua gloria”.

14/06/2020
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