Omelia della messa del Giovedì Santo 2021

Cattedrale di Bologna

In questi mesi di tanta sofferenza, che non sono affatto terminati, stiamo comprendendo in maniera personale quello che sapevamo già, ma che ancora poco abbiamo capito: siamo fratelli tutti e il male è il nemico della vita. Questi tre giorni santi, centro della nostra fede, ci aiutano in questa tempesta a comprendere la nostra storia e in questa la scelta di Dio. La pandemia ci rende uguali e allo stesso tempo, però, ci isola gli uni dagli altri. Il male è infido, approfitta di ogni nostra debolezza; è resistente, uccide per prima la speranza, ruba l’anima, toglie valore alla vita, persuade a conservare il seme perché non dia frutti, ci rende mediocri e fa credere che è impossible fare qualcosa, che non conviene. Il male continua a offrirci il frutto amaro di credere che Dio è un limite e non il superamento di ogni limite.

Gesù non offre facili risposte, vittorie senza coinvolgimento. Non è una cura palliativa per attenuare le difficoltà, perché vuole la guarigione, la vita, vuole vincere il male, non evitarlo. In questi giorni stare con il Signore ci fa aprire gli occhi, non chiuderli; ci fa vedere il dolore, ci fa piangere la sua sofferenza e in questa la nostra. Gesù combatte amando e amando fino alla fine. È consapevole di quello che sarebbe accaduto. Non è un ottimista che non si rende conto, che minimizza per non spaventarsi, che vive alla giornata perché ha paura del futuro e si rintana nel presente. Appena terminata la cena andrà al Getsemani, dove chiederà che se possibile passi da lui quel calice amaro, che aveva ben chiaro. Davvero non c’è resurrezione senza croce, ma non c’è croce senza resurrezione. Perché ama la debolezza degli uomini, anche se così poco consapevoli, offre il dono di tutto se stesso.

È il testamento che Gesù ci lascia: il suo corpo spezzato e il suo sangue versato e il servizio. Gesù si dona nell’eucarestia, pane di comunione con Lui, con noi stessi, tra di noi. Dobbiamo circondarlo di venerazione, rispetto, cura, mai banalizzarlo, ma allo stesso tempo accostarci con familiarità, intimità perché quello che cerca è un cuore pieno di amore. Non è un simbolo, è una presenza, è corpo di Cristo. Le cose più profonde, che sostengono realmente la vita e il mondo, non le vediamo, ma possiamo vedere, sentire gli effetti. “Proprio le cose invisibili sono le più profonde e importanti” ricordava ai bambini Papa Benedetto. E di fronte a questo mistero di amore siamo sempre dei bambini e dovremmo accostarci sempre alla mensa come fosse la prima volta. In questo tempo di isolamento abbiamo tanto bisogno di essere nutriti interiormente, perché solo così saremo liberi dall’apparenza, dalla tentazione di salvare noi stessi senza gli altri, da un amore possessivo. Nutriti da un amore così saremo migliori. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui”, disse Gesù. Siamo con lui, in un’unione intima, senza paura, senza riserve, piena: è la comunione che ci rende una comunione. La comunione crea comunità. Possiamo celebrarla nei luoghi grandi come in quelli piccoli ed è sempre la stessa presenza di Dio, Re dell’Universo, che si fa pellegrino a noi viandanti e continua a spezzare il pane per noi. Il suo corpo di amore ci comunica la sua vera forza, che è l’amore per la nostra e la mia vita. Il pane è lo stesso per tutti; sazia tutti, ci rende tutti fratelli.

L’altra parte del suo testamento è il servizio. È sempre amore eucaristico. Nel servizio l’altro diventa il mio prossimo, non oggetto di qualche attività. Non riguarda qualcuno, ma tutti, amati e servi. Siamo servi, non volontari che donano qualcosa, calcolando, seguendo le convenienze oppure compiacendo il mondo. Siamo servi, e per questo liberi dalla mentalità del mondo che non sopporta la gratuità e impone sempre l’interesse. Siamo beati proprio quando siamo servi e mettiamo in pratica l’esempio che ci ha lasciato Gesù in quell’ultima cena. L’orgoglio ci fa credere che stiamo bene quando siamo serviti. Che amarezza e che pena quando coltiviamo i nostri presunti diritti e vogliamo farli valere, facendo da padroni, imponendo, possedendo! Gesù non giudica, non seleziona i suoi, lava i piedi a tutti. Era il gesto dello schiavo ma è anche quello di chi ama. Amare non è una dichiarazione di intenti: è servizio! Se amo sono contento di servire! E nel servizio si rivela tutto l’amore. Per questo grande è colui che serve, non chi si fa servire. Il servizio non è fatto di grandi gesti, anzi, lo vediamo piuttosto in quelli umili. Se non lo facciamo per amore ci sacrificheremo, ma non capiamo Gesù e tutto diventa difficile, pesante mentre, al contrario, siamo contenti di fare qualcosa per la persona amata e quando questa è contenta. Gesù dice ai suoi: non lo capite adesso, lo capirete dopo. Spesso noi vogliamo sapere tutto prima. Gesù ci offre l’esempio per farci vincere la paura di amare, il timore di essere giudicati male a farlo, di pensare che per gli altri siamo ingenui o strani. Anche Padre Marella venne giudicato ingenuo quando si mise come un barbone a tendere il cappello per chiedere i soldi. Servire non è una bolletta da pagare ma è via di beatitudine e comunicazione di amore! Quando ricordiamo con quanto siamo stati amati è più facile pensarci da servi, non dei grandi che si umiliano un poco ma si pensano grandi.

“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Quello che dobbiamo fare vedere, che è la verità che poi ci permette di conoscere la verità e di parlare della verità, è proprio come ci amiamo. E viene prima di tutto. Quanto bisogno c’è in un momento in cui il cammino si è fatto difficile, duro e i piedi dei fratelli sono sofferenti, stanchi, tanto stanchi! Sono stanchi per i viandanti che non hanno lavoro, per quelli che hanno camminato tanto per trovare futuro, per chi cammina con fatica, per chi ha percorso i lunghi corridoi degli ospedali. I piccoli gesti di protezione, di tenerezza, di vicinanza sono davvero un segno eucaristico, trasmettono l’amore di Cristo in quel sacramento che è essere fratelli.

Pietro, lo abbiamo ascoltato, non vuole accettare che Gesù lavi i piedi a lui. “Se tu non accetti che io ti lavi i piedi non avrai parte con me”. Non conosci il Signore se non ti fai volere bene da Lui! Gesù ci aiuta con la sua tenerezza ad amare la nostra fragilità, la sporcizia della vita, la fatica del nostro cammino. I farisei di ogni tempo si scandalizzano, pensano di combattere il male con il giudizio, mentre il male si combatte sempre e solo con l’amore. “Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità”. Gesù si china su di noi per aiutarci ad essere nuovi, con tanto amore. E se ci lasciamo amare dal Signore saremo forti per servire noi il prossimo con gratuità e amabilità.

L’eucarestia della mensa e quella del servizio sono proprio il contrario della pandemia e del salvarsi da soli. Gesù riaccende nei cuori degli uomini la speranza. L’individualismo e il cinismo prendono facilmente il sopravvento in tanti, per convenienza, per ignavia, per necessità. Molti, che da giovani pensavano in una dimensione plurale da far crescere insieme, ora si ritrovano in un mondo che si rende miseramente conto che la somma delle felicità private non può fare la felicità pubblica. In un’epoca in cui l’amicizia si è sfilacciata e prevale tanto isolamento, Gesù non smette di donarsi per riunire la sua comunità, per renderci una comunità di amici, per vincere il male che tanta sofferenza genera, per farci camminare.

Prendete, mangiate. Fate questo in memoria di me. Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.ù

+ Matteo Zuppi

Il video dell’omelia (dal minuto 30′ circa)

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01/04/2021
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