La solennità del martire S. Biagio, al quale i vostri padri hanno voluto
dedicare questo tempio mirabile, ci obbliga a riflettere profondamente sulla
nostra identità di discepoli di Cristo. E’ proprio del martirio,
nell’universo multiforme e splendido della santità cristiana,
esprimere in forma inequivocabile la verità dell’esistenza cristiana,
la sua – per così dire – immutabile definizione.
1. “Chi … mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io
lo riconoscerò davanti al Padre mio; chi invece mi rinnegherà davanti
agli uomini anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei
cieli”. La posizione che l’uomo durante la sua vita terrena assume
di fronte a Cristo, decide del suo destino eterno. Cristo ha valore determinante
per ogni persona, poiché è il crocevia obbligato delle sorti
eterne dell’uomo. Quella nei confronti di Cristo è la decisione
suprema per ognuno di noi. Essa, come ogni scelta-decisione umana, può realizzarsi
in due modalità che fra loro sono opposte: «mi riconoscerà », «mi
rinnegherà ». Riconoscere Cristo significa dichiararsi pubblicamente
a suo favore, affermando giusta la sua richiesta ad essere riconosciuto come
unico salvatore dell’uomo; rinnegare significa sconfessare Gesù non
riconoscendo la fondatezza della sua esigenza ad essere l’unico Signore.
Questo riconoscimento deve essere compiuto «davanti agli uomini»,
cioè pubblicamente. “Quanto vi dico nella tenebra, ditelo nella
luce” aveva detto poc’anzi Gesù “ciò che sentite
sussurrato all’orecchio, proclamatelo sopra le terrazze”.
Nel martire cristiano rifulge senza equivoci questo pubblico riconoscimento
di Cristo. Ma la caratteristica singolare del martirio è che essa è accaduto
in un contesto di lotta, di contrasto contro poteri che vogliono mettere a
tacere la testimonianza cristiana.
“Non abbiate paura”, ripete Gesù due volte nella pagina
evangelica. Il pubblico riconoscimento di Cristo viene distrutto nella coscienza
dei cristiani non dai poteri di questo mondo ma dalla loro paura. La paura
nel martire è stata sconfitta, e lo deve essere in ciascuno di noi,
dalla certezza delle due verità insegnateci nel Vangelo di oggi.
“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il
potere di uccidere l’anima”. E’ la certezza che la persona
umana non è «a disposizione» di nessuno, non è «in
potere» di nessuno, se non è essa stessa a vendersi al padrone
di turno. Ciò che costituisce la vera identità della persona,
e cioè la sua relazione ed appartenenza al Signore, non gli può essere
strappata da nessuno. I potenti di questo mondo possono togliere la vita in
questo mondo, non la vita eterna: ed è questa che conta.
“Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati”.
E’ la certezza che Dio si prende cura di ogni discepolo del suo Figlio:
anche nei minimi particolari. E ciò a causa del fatto che ciascuno di
noi è prezioso ai suoi occhi, è di valore incomparabile.
La fortezza del Martire è quindi la fortezza che nasce dalla consapevolezza
che il Cristo è l’unico Signore al quale è stato dato “il
nome che è al di sopra di ogni nome, perché ogni ginocchio si
pieghi in cielo, sulla terra e sotto terra, ed ogni lingua proclami: «Cristo è il
Signore»”.
2. Vi dicevo all’inizio che è proprio del martirio esprimere
in forma inequivocabile la verità dell’esistenza cristiana. Se
infatti il «martirio del sangue» è riservato ad alcuni discepoli
del Signore, il «martirio della volontà » è vocazione
di ogni cristiano. In questo senso il martirio è la pura e semplice
definizione della vita cristiana. Il Concilio Vaticano II insegna: “Se
a pochi è concesso [il martirio del sangue], devono però tutti
essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via
della Croce durante le persecuzioni, che non mancano mai nella Chiesa” (Cost.
dogm. Lumen Gentium 42). A creare i martiri non sono malintesi umani che un
dialogo migliore potrebbe togliere, ma una necessità intrinseca al messaggio
evangelico: la sua contrapposizione ai príncipi di questo mondo. Ed
ogni cristiano è posto in questa contrapposizione.
Da che cosa oggi è insidiata questa vocazione del cristiano al martirio?
da una progressiva evanescenza della persona del Verbo incarnato come vivente
in mezzo a noi. La persona del Signore risorto è resa evanescente dal
pensare che l’essenza della fede cristiana consista nell’affermazione
di alcuni valori morali condivisibili da tutti. Alla singolare unicità di
Cristo si va sostituendo un generico comune codice morale che può anche
mascherare la ricerca del proprio utile. Il «caso serio» del Crocefisso-risorto
si svuota in un superficiale chiacchierare umanistico e pacifista.
Il martire ci rivela la serietà della nostra sequela di Cristo e ci
dice:
“Dimori sempre in te il comandamento di Dio e ti offra senza interruzioni
luce e splendore per il discernimento degli eventi; poiché se esso da
molto tempo occupa la direzione della tua anima e predispone per te opinioni
veritiere su ciascuna cosa, non permetterà che tu sia mutato in peggio
da alcuna delle cose che accadono, ma farà sì che con la mente
così predisposta tu possa reggere, come scoglio lungo il mare, sicuro
e immoto alla violenza dei venti e all’assalto dei flutti.” (S.
Basilio di Cesarea)