Due piccoli consigli mi sento di poter dare a chi si accinge a tentare di accrescere seriamente la conoscenza della santa Chiesa Cattolica, che è lo straordinario capolavoro attuato da Dio – artefice impareggiabile e largamente incompreso – entro quella vicenda di guai, di aberrazioni e di insipienze che è la storia umana.
Il primo consiglio è di prendere come avvio della contemplazione ecclesiale quanto scrive san Paolo nella lettera agli Efesini: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande, ma io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,31-32). Quasi a dirci: quella frase della Genesi, che voi pensate sia espressiva di ciò che avviene nelle vostre unioni coniugali, in realtà – nella prima intenzione del Creatore – manifesta il mistero primordiale dell’universo, che è il “Cristo totale”.
Alla luce di questa intuizione paolina, ci si rende conto che si attinge alla verità suprema della Chiesa non tanto mettendola in relazione col “mondo” (relazione legittima e perfino doverosa, ma non primaria e costitutiva), quanto cogliendola nel suo rapporto al Figlio di Dio crocifisso e risorto, con il quale essa è intrinsecamente connessa e irrevocabilmente solidale. E’ “una carne sola”; vale a dire: si tratta di una connessione e di una solidarietà della quale l’unione sponsale è soltanto una tenue figura, un lontano riverbero, una piccola partecipazione.
Il secondo consiglio è di farsi aiutare a capire la Chiesa da ciò che di essa insegnano i padri e gli antichi scrittori; da coloro cioè che sono felicemente al riparo dall’influenza delle molte ideologie ecclesiologiche che oggi imperversano nella cristianità. A mo’ di esempio, vi propongo adesso uno di questi maestri, tra quelli meno noti e più istruttivi: il beato Isacco della Stella, che è un monaco cistercense del secolo XII.
Ecco ciò che egli ci dice:
“L’Onnipotente ed Eccelso, avendo preso una sposa debole e di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina; e colei che gli stava sotto i piedi è stata posta al suo fianco. Uscì infatti dal suo costato, donde la fidanzò a sé.
“E come tutte le cose del Padre sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo sposo ha dato tutte le cose sue alla sposa, e lo sposo ha condiviso tutto quello che era della sposa, che rese anch’essa una cosa sola con se stesso e col Padre”
“Quello che ha trovato di estraneo nella sposa l’ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno; all’opposto quanto appartiene nativamente alla sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito. Invece, ciò che appartiene a lui in proprio, ed è divino, l’ha regalato alla sposa”
“Tutto ciò che è della sposa è anche dello sposo. Perciò colui che non commise peccato e sulla cui bocca non fu trovato inganno, può dire: “Pietà di me, Signore: vengo meno’ (Sal 6,3), perché colui che ha preso su di sé la debolezza di lei, ne abbia anche il pianto; e tutto sia comune allo sposo e alla sposa”
Non voler dunque smembrare il capo dal corpo: il Cristo non sarebbe più intero. Cristo infatti non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale e integro è capo e corpo a un tempo”.
In questa prospettiva, contemplare la Chiesa vuol dire per forza di cose sentire crescere dentro di noi l’ammirazione, la gioia, l’affetto per colei che è la Sposa del Signore ed è una cosa sola con lui; e ogni parola amara, offensiva, pungente verso di lei, in questa prospettiva diventa assurda e intollerabile per un cuore credente.
Tutto ciò, se vale ed è doveroso per ogni cristiano, assume per voi una necessità e un’urgenza più grande. L’Azione Cattolica – sia nei singoli che nella sua vita associata – ama con lieto e incontenibile trasporto la Chiesa, perché è ben consapevole che in essa è presente, vive e agisce Cristo, che è la sua scelta eminente, suprema e inalienabile.
L’ama appassionatamente in tutte le sue proprietà essenziali; e dunque, senza lasciarsi annebbiare la vista dai molti dubbi e dalle problematiche in circolazione, che non provengono dalla fede, la riconosce come una, santa, cattolica e apostolica. Ma soprattutto sulla “apostolicità” l’Azione Cattolica è chiamata a incentrare i suoi pensieri, le sue decisioni, le sue verifiche.
Il Concilio Vaticano II, parlando delle varie forme e di attività che sono riconducibili all’idea di “azione cattolica”, le caratterizza così: esse, dice, “mantenendo un più stretto legame con la gerarchia <cioè con il ministero apostolico, da cui tutto nella Chiesa prende vita>, perseguono fini propriamente apostolici” (Apostolicam actuositatem, 20). “Collaborando con la gerarchia secondo il loro modo proprio – ancora ribadisce – i laici portano la loro esperienza e assumono la loro responsabilità nel dirigere tali organizzazioni, nel ponderare le condizioni in cui si deve esercitare l’azione pastorale della Chiesa, nella elaborazione e nell’esecuzione di ciò che a questo riguardo si deve fare (ib.)”.
Ne consegue che, a livello diocesano, l’Azione Cattolica necessariamente pensa in sintonia col vescovo e agisce in piena comunione con lui; e, a livello parrocchiale, offre la sua piena, cordiale, fattiva collaborazione al parroco, che del vescovo è il primo e più autorevole rappresentante entro la locale comunità cristiana.
Attratti e incantati dal tema ecclesiale, non ci siamo fin qui preoccupati della parola di Dio presentataci dalle letture di questa seconda domenica di quaresima. E così rischiamo di incorrere nel biasimo dei liturgisti puri e intransigenti, che ci potrebbero accusare di non aver proposto una “omelia” nel significato rigoroso del termine.
Possiamo tentare di rimediare un poco, prendendo a considerare l’episodio, di cui ci parla la pericope evangelica odierna, senza abbandonare per altro la nostra meditazione sulla Chiesa. Ci facciamo aiutare in questa insolita impresa da un bellissimo inno della liturgia ambrosiana delle ore, che legge il mistero della Trasfigurazione appunto come una “epifanìa” dell’avventura di sofferenza, di splendore, di ineffabile condivisione, vissuta dalla Sposa di Cristo.
“Madre d’amore, Chiesa pellegrina
nella valle del pianto,
canta di gioia: il Re
ti ammanta della sua gloria.
Splendono le sue vesti come neve
e la sua luce fino a te discende;
tu dalla cima del monte
rifulgi ormai nei secoli.
Odi: la voce dei profeti antichi
parla di croce e di morte,
dal cielo la voce del Padre
esalta l’Unigenito.
Tale, Sposa fedele, è la tua sorte:
lacrime e sangue ti rigano il volto,
ma divina bellezza
arcanamente ti adorna.
Su Cristo si posa lo Spirito,
un solo mistero vi avvolge:
lucida nube vi cela
all’incredulo sguardo.
Lode a Gesù Signore
trasfigurato sul monte,
al Padre lode e allo Spirito Santo
canti gioiosa la Chiesa in eterno.
Amen”.
