festa in onore di santa Caterina da Bologna

Bologna,santuario del Corpus Domini

Nel monastero attiguo a questa nostra chiesa del “Corpus Domini” Caterina de’ Vigri il 9 marzo 1463 chiudeva la sua eccezionale avventura umana.

Le sue ultime raccomandazioni, alle sorelle e discepole che l’attorniavano, riecheggiano le parole pronunciate da Gesù all’ultima cena, la vigilia di immolarsi per noi: “Vi lascio e vi affido la pace”Amatevi vicendevolmente di cordiale amore”Confortatevi, figlie mie, perché vi servirò meglio nell’altra vita che non in questa; e rimanete in pace, tutte, con la benedizione di Cristo e con la mia. E’ questo il mio testamento”.

Aveva lasciato Ferrara il 22 luglio 1456, e qui era stata accolta solennemente, insieme alle diciassette suore che l’accompagnavano, dalle massime autorità cittadine. In un momento di gravi difficoltà, i magistrati e l’intera cittadinanza avevano voluto la nuova fondazione, per assicurarsi entro le mura una comunità orante, quasi una inesauribile sorgente di grazia e un perenne efficace richiamo al messaggio evangelico di concordia, di intemerata giustizia, di carità.

Caterina visse meno di sette anni, in questa città che le aveva dato i natali. Ma furono anni intensissimi, arricchiti anche da esperienze mistiche e da doni straordinari.

Soprattutto irradiava da lei, in quell’ultimo tratto del suo pellegrinaggio terreno, una forte e calda energia di amore materno, che mirava a generare negli animi una sempre più perfetta conformità al Signore Gesù, lo Sposo da lei unicamente e appassionatamente amato. E non se ne giovavano soltanto le sue figlie nel chiostro, ma anche quanti venivano da lei a confidarsi e a sollecitare, nelle loro pene e nelle loro prove, l’aiuto della sua preghiera.

In ultima analisi, era tutta Bologna a risentire beneficamente della sua presenza. Sicché non ci fa meraviglia che i bolognesi non l’abbiano più dimenticata e abbiano continuato a ricorrere a lei. E la ritengano ancora oggi quasi una di loro, sempre eloquente e viva dopo tanti secoli.

Tanto che lo stesso permanere delle sue membra incorrotte può essere letto come un segno della sua perdurante vitalità soprannaturale e della sua spirituale efficacia, che non è mai venuta meno.

Anch’io, tracciando nell’ultima Nota pastorale il “volto” di Bologna, non ho potuto esimermi dall’annoverare, tra gli elementi salienti e tipici, anche questa chiesa della “Santa”. La “Santa”: così familiarmente la chiamiamo; e vogliamo dire, la santa che ci è più vicina, la santa singolarmente nostra, la santa che entra anch’essa a caratterizzare il cristianesimo petroniano. E perciò segnatamente a lei – come al nostro patrono san Petronio – raccomandiamo la causa della conservazione della nostra identità religiosa e civile, di fronte alle sfide del terzo millennio.

All’atto di dare l’ultimo respiro, Caterina pronuncia tre volte il nome di Gesù. Sono le sue parole estreme, e sono rivelatrici del più geloso segreto dell’intera sua esistenza di vergine consacrata: un’esistenza illuminata, gratificata e tutta pervasa dall’amore verso il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico ed esauriente senso della sua vita. Nei suoi giorni, che furono tutti al tempo stesso contemplativi e affaccendati, si esprimeva e si realizzava tanto la donazione operosa di Marta quanto l’incantamento estatico di Maria, perché il suo amore per Cristo era davvero totale, senza eclissi e senza riserve.

E proprio questo – dell’amore al Signore Gesù da riscoprire e da rendere sempre più fervido – è il messaggio che vogliamo raccogliere guardando all’esempio mirabile della nostra Santa, in questa sua festa che celebriamo all’indomani del nostro impegno giubilare, dopo che per tutto un anno abbiamo cercato di farci sempre più vicini, con l’attenzione della mente e con il nostro affetto ravvivato, a colui che è stato il grande Festeggiato del Duemila.

Lungo l’Anno Santo veramente “Dio rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6), come ci ha detto la seconda lettura.

Rivolgiamo allora anche noi al “più bello tra i figli dell’uomo” (cfr. Sal 45,3) le parole infocate del Cantico dei Cantici, che la liturgia ci ha fatto riascoltare nel ricordo di Caterina: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio” (Ct 8,6).

“Cristo è il sigillo sulla fronte, è il sigillo nel cuore: sulla fronte, affinché sempre lo professiamo; nel cuore, affinché sempre lo amiamo; è sigillo sul braccio, affinché sempre agiamo per lui. Risplenda dunque la sua immagine nella nostra professione di fede, risplenda nel nostro amore, risplenda nelle opere e nei fatti, in modo che, per quel che è possibile, si manifesti in noi interamente la bellezza di Cristo”Sia lui il nostro occhio, così che per mezzo suo possiamo vedere il Padre; sia lui la nostra voce, perché per mezzo di lui possiamo parlare al Padre; sia lui la nostra destra, perché per mezzo suo possiamo offrire al Padre il nostro sacrificio”L’amore nostro è dunque Cristo; e buono è l’amore che si è consegnato alla morte per noi, buono è l’amore che ci ha dato la remissione di ogni colpa” (S. Ambrogio, De Isaac vel anima, 75).

Queste parole di sant’Ambrogio, che commentano il testo ispirato che è stato letto, raffigurano come meglio non si potrebbe la vita, il comportamento quotidiano, la spiritualità dominante di santa Caterina da Bologna.

Esse tracciano un ideale anche per noi: un ideale altissimo, un ideale esigente e necessario, cui vogliamo tentare a poco a poco di assimilarci, con il soccorso esemplare e orante della nostra grande Santa.

09/03/2001
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