mercoledì delle ceneri

Bologna, Cattedrale

Il gesto dell’imposizione delle ceneri – con cui la sapienza della Chiesa avvia e inaugura la Quaresima – è immediatamente significante e chiaro. Parla da sé, e con forza ci induce a pensieri austeri e gravi.

Ci richiama alla verità delle cose – dalla quale nella nostra superficialità siamo così spesso tentati di rifuggire – e così disperde le molte illusioni dell’uomo: smentisce, per esempio, il convincimento inconscio e irragionevole che la vita terrena sia per noi un possesso inalienabile; irride al culto ossessivo della salute fisica, quasi fosse come una nuova religione capace di assicurarci una speranza illimitata e un benessere senza tramonto; relativizza la troppa fiducia riposta nelle realtà fascinose del mondo, che sono anch’esse (come il nostro corpo mortale) effimere, destinate all’incenerimento, e dunque a lasciarci disingannati.

Il rito odierno poi – a una considerazione più approfondita – dice l’esito di sconforto che fatalmente attende chi conta solo su di sé, sulle sue forze, sulle sue fortune; e ci fa intravedere (sotto il simbolo della cenere) la “cultura del niente”, quale approdo ineluttabile di chi non si decide ad aprirsi a nessuna luce dall’alto. E’ un rito che, a saperlo leggere, vanifica le molte nostre divagazioni e ammutolisce le nostre chiacchiere.

Ma proprio per questo – una volta che ci ha ridotti a un provvidenziale silenzio – ci spinge a invocare l’aiuto di una misericordia sopramondana e ad appellarci a una redenzione trascendente. Parte perciò di qui, da questo gesto, l’itinerario verso un nostro decisivo riscatto, parte di qui il pellegrinaggio verso la vittoria pasquale; parte da questo “mercoledì delle ceneri” la nostra ennesima avventura quaresimale: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza.!” (2 Cor 6,2).

L’avventura quaresimale – anzi la stessa avventura cristiana – comincia con la “conversione”: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

E’ un cambiamento radicale di noi stessi che ci apre al Regno di Dio. Esso si riverbera sì necessariamente anche in atti esterni, ma ha la sua sede nello spirito e nella coscienza dell’uomo.

Abbiamo ascoltato le parole del profeta Gioele: “Così dice il Signore: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti’. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio” (Gl 2,12-13).

“Laceratevi il cuore”: questa è l’essenza della “penitenza” che ci è richiesta. E’ un rivolgimento di mentalità; un cambiamento del nostro modo di valutare noi stessi, le nostre aspirazioni dominanti, i nostri atti; un intimo indolenzimento per ciò che in noi non è conforme alla proposta evangelica; una risoluzione energica a ricercare sempre la volontà del Padre.

E’ una specie di rifusione del nostro essere, del nostro modo di pensare, del nostro mondo affettivo, che vale più di ogni mortificazione corporea e di ogni esteriore rinuncia; le quali tanto più avranno utilità e pregio, quanto più saranno segno e prova di questa trasformazione dell’anima.

Gesù stesso, nella pagina evangelica che abbiamo ascoltato, ci mette in guardia dalla scenografìa di atti penitenziali ostentati (cfr. Mt 6,16-18). Erano di moda tra i farisei del suo tempo; ma anche nella nostra condotta può insinuarsi la tentazione di surrogare l’autentica umiltà e la profonda compunzione del cuore con i formalismi e le apparenze della virtù.

Si avvera nel processo penitenziale, che oggi ancora una volta ci viene proposto, quasi una triplice restaurazione della identità cristiana; identità cristiana che la nostra nativa debolezza e le varie occasioni contaminanti dell’esistenza sottopongono a una usura quotidiana.

Prima di tutto, con una valutazione coraggiosa e salutare della propria miseria l’uomo ritorna sincero con se stesso, rientra in sé (come è detto del figlio prodigo in Lc 15,17), si conosce nella sua verità, si autocontesta nelle sue incoerenze, ricupera un iniziale dominio di sé.

Poi fa una rinnovata esperienza della tenerezza di Dio, della sua bontà invincibile, sempre vigile e attenta a cogliere l’ora del perdono e della grazia rianimatrice. Allora la vita battesimale rinasce, la linfa soprannaturale riprende a circolare copiosamente entro le potenze dell’anima, lo Spirito Santo, “che è Signore e dà la vita”, comincia ad agire liberamente in tutte le nostre fibre e a illuminare tutti i nostri pensieri. E’ la risurrezione pasquale, che si attua in noi con una nuova pienezza e una letizia nuova.

Infine il percorso di conversione e di pentimento ci riporta alla perfetta comunione con la Chiesa, organismo santo e santificante. E la Chiesa, sposa feconda del Signore Gesù, – attraverso la parola di Dio, le azioni sacramentali e l’impeto della sua carità – giorno dopo giorno ci incalza e ci sospinge maternamente “finché arriviamo tutti (come dice san Paolo) all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).

Alla luce di questi insegnamenti, offertici dalla celebrazione delle “ceneri” auguriamoci reciprocamente una buona Quaresima, premessa indispensabile di una buona Pasqua.

28/02/2001
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